Lo stato dell’arte del post vandalismo in Italia. A Roma in mostra alla galleria Contemporary Cluster la giungla urbana di Displacement, a cura di Giacomo Guidi
Perdita della connotazione, sconfinamento. No man’s land, riconfigurazione. Sono queste le fasi prospettiche da assecondare per inoltrarsi nell’intrigante giungla urbana di Displacement, la nuova mostra presentata dalla galleria Contemporary Cluster di Roma, a cura di Giacomo Guidi. Sette gli artisti coinvolti nella proposta di un totale disorientamento socioculturale; da “dis-place”, non-luogo, una definizione che deriva dallo slang americano. La mostra, visitabile fino al 29 luglio, indaga in particolare le istanze del post vandalismo. Una corrente artistica sviluppatasi soprattutto nel Nord Europa, che nasce dal linguaggio del graffitismo metropolitano on the wall, per traslarsi sulla tela. Il risultato è quello di un’arte disambientata, tesa verso un nuovo assetto visuale.
L’artista italiano Nicolò Masiero Sgrinzatto propone la coppia Gnaro (nido in veneto): scuri grovigli di cavi dall’aspetto naturalistico sono il frutto di un mese di lavoro su copertoni di camion raccolti da terra. Smembrati, sfilacciati e torti con tenaglie, stringitubo idraulici e fascette. “L’aspetto finale è lo screenshot di un’esplosione – spiega l’artista. Mi rifaccio al mondo delle sagre popolari, ma anche a quello della fabbrica. Alla costanza rituale e manuale del lavoro”. Il pittore svedese David von Bahr, primo ad imporsi nei musei con il suo urban style, lavora invece in action painting, alla Pollock, ma bucando le bombolette spray e lavorando con i getti di colore. La sua pittura produce un double effect: agli sfondi mat, vellutati, corrispondono screziature raf, materiche e graffiate, sulle orme di un vitalismo che si ritrova anche nell’artista tedesco Nils Jendri. La sua vocazione è tesa verso il cut-up e l’assemblage di lacerti di tela, per opere centrifughe di grande impatto cromatico.
Furor vandalico stracittadino
Il connazionale Jonas Fahrenberger realizza stampe laser su zanzariere e pittura. Quadri in trasparenza che ragionano su oggetti d’uso quotidiano per un riposizionamento collettivo. Più puntuale, il taglio divisionista del pittore francese Wide, i cui ritratti dipinti a mo’ di pixel, sotto uno sguardo attento, prendono a vibrare come le figure di certi mazzi di carte. Più intimistico, il modus operandi di Anythamy Armas Garcia, artista spagnolo che lavora in B/N sul flusso di coscienza. “Il suo stile è essenziale, ma violento” commenta Guidi che, lungo il percorso espositivo, menziona la considerazione hegeliana della creatività come rottura della regola. Qualcosa che l’artista tedesco René Wagner ha preso alla lettera, attingendo dalla tradizione la produzione di vasi in ceramica per decorarli con il linguaggio dei branding da corsa anni ‘80. Da dove nasce la volontà di insinuare i frutti di un furor vandalico stracittadino entro le mura pulite di una galleria? A quale vandalismo succede il post vandalismo di Displacement?
Forse in pochi ricordano che dalla notte di capodanno del 1956 a Stoccolma e in altre città della Svezia, migliaia di ragazzi presero a riunirsi scombussolando la città. Giovani che non si conoscevano fra loro, animati da una comune carica distruttiva, misteriosamente si aggregavano e si dileguavano senza lasciare traccia. Questo fenomeno è stato classificato in antropologia come nostalgia del non-umano. In ogni epoca storica l’uomo è stato animato da misteriose forze arcaiche. Dai riti babilonesi ai saturnali romani, passando per gli atti cannibalici degli iniziati Kwakiutl, fino al neopaganesimo. Sacra è la follia poietica dell’uomo-artista, che – trasformata la potenza distruttiva in ispirazione, dopo aver saturato la città di geroglifici post-moderni – desidera elevare la propria arte al suo altare ufficiale.
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