Print Friendly and PDF

Sulla necessità di rendere la relazione tra cultura e tecnologia permanente

Data la rilevanza che ha assunto nelle nostre vite, individuali e collettive, siamo talmente assuefatti all’idea che la tecnologia agisca come leva evolutiva in qualsiasi settore da rendere il binomio “applicazione di nuova tecnologia” – “crescita e sviluppo” non più un’ipotesi soggetta a dimostrazione, ma un assioma cui piegare le manifestazioni della realtà.

Eppure non sempre la tecnologia ha agito realmente come atteso: sicuramente le comunicazioni sono state stravolte dalle applicazioni digitali, sicuramente l’industria tradizionale ha beneficiato delle recenti innovazioni.

Quando si tratta di analizzare il rapporto tra tecnologia e cultura, però, le evidenze non sono così univoche: perché se da un lato è innegabile che il rapporto tra tecnologia e arte sia, da sempre, un territorio ibrido ed ibridato estremamente fecondo, dall’altro il rapporto tra i Musei e la tecnologia è sicuramente più lacunoso.

Ci sono sicuramente casi eccellenti, ma tenendo conto che una delle regole base dei network è che questi acquisiscono valore in proporzione del loro utilizzo (se siamo in due ad avere Facebook su tutto il pianeta, Facebook vale molto ma molto poco), allora non è a quei casi-studio che bisogna guardare, ma alla dimensione generale e ampia (la cosiddetta massa critica) dei Musei.

Basti pensare che ancora oggi, nel 2022, si parla del fatto che i social siano importanti per i musei e che sia necessario che i nostri musei sviluppino competenze in tal senso per capire che finora, la tecnologia, nel settore culturale, ha inciso davvero molto poco.

La questione in realtà è complessa, e coinvolge elementi di finanza pubblica, necessario rinnovamento di molti degli organici, anche nei cosiddetti Musei Autonomi, la struttura organizzativa nel suo complesso delle istituzioni e l’incapacità, da parte del settore tecnologico, di illustrare le grandi opportunità presentate dall’adozione delle nuove tecnologie.

Non è un caso, infatti, che molti degli episodi di “punta”, hanno visto coinvolta la tecnologia come strumento “comunicativo”: dal gaming alla realtà virtuale, le applicazioni più “innovative” hanno tutte avuto un ruolo di publicity: fare notizia, e veicolare questa o quella istituzione all’interno dei canali comunicativi generalisti.

Tutto ciò è, chiaramente, comprensibile: avviare dei processi che adottino la tecnologia non già come elemento “esterno”, attraverso il quale realizzare un prodotto o un servizio da erogare poi al pubblico, ma come elemento interno, e quindi come strumento abilitatore, è tutt’altro che semplice.

A ciò si aggiunga anche la grande rapidità che oggi contraddistingue i processi di innovazione tecnologica: se tale caratteristica è sicuramente una condizione positiva in molti contesti, lo è meno in contesti che invece hanno dei tempi di adozione tecnologica più lunghi. In altri termini, se l’intervallo temporale tra la scelta di un prodotto tecnologico e la sua completa operatività a tutti i livelli organizzativi è troppo elevato, è probabile che al momento dello start quel prodotto risulti già obsoleto e più costoso rispetto a quanto presente sul mercato.

Queste riflessioni, tuttavia, non vogliono in nessun modo affermare che il ritardo accumulato nell’adozione di servizi innovativi sia completamente attribuibile ad un generico mismatch tra la domanda e l’offerta di tecnologia in ambito culturale.

Anzi.

Vogliono piuttosto sottolineare come la questione sia ben più complessa e radicata di quanto si tenda a credere, e che la generale scarsità anche dei più banali strumenti tecnologici rappresenti, ahinoi, soltanto un sintomo di una più complessa difficoltà sistemica e strutturale, che difficilmente potrà essere completamente risolta soltanto attraverso le risorse straordinarie messe in campo dall’Unione Europea.

Perché le risorse straordinarie consentiranno di acquisire qualche servizio “auto-concludente”, qualche risorsa a tempo determinato che sappia comprendere l’alfabeto e la grammatica delle nuove tecnologie, ma sarà necessario anche sviluppare un nuovo modo di intendere la relazione tra cultura e tecnologia per fare in modo che i benefici temporanei si trasformino in un sodalizio permanente. 

O vogliamo davvero avere sempre quell’aspetto affannato, di chi rincorre, rincorre e rincorre?

Commenta con Facebook

Altri articoli