Tecnicamente i luoghi sono definiti come entità socio-culturali che agiscono all’interno di geometrie e geografie precise (ovvero di spazi). Semanticamente si tratta di una distinzione sofisticata che produce effetti e conseguenze. Il luogo è da considerarsi un prodotto culturale con i suoi processi, i suoi fenomeni e le sue ritualità. Non ha solo una dimensione naturale, antropica o architettonica, ma è intrisa di memorie e si ridefinisce nella sua prospettiva storica.
I luoghi rivelano la propria storia e quella di chi li attraversa, svelano i cambiamenti e le aspirazioni di una società in divenire. Danno forma a visioni e a nuove topografie urbane o paesaggistiche, e proprio da questa congiunzione prendono vita nuove conformazioni anche geografiche.
Nuove configurazioni nascono dal dialogo tra la produzione estetica e il territorio maremmano con Hypermaremma: una manifestazione arrivata alla sua quarta edizione, nata nel 2019 dalla visione dei galleristi Carlo Pratis e Giorgio Galotti, e del collezionista e manager Matteo D’Aloja. Un evento inclusivo e diffuso nel territorio attraverso progetti artistici declinati nei vari linguaggi tra performance, proiezioni su edifici, grandi wall panting, sculture e installazioni che occupano lagune e campagne. Si tratta in gran parte di opere monumentali che hanno un grande impatto visivo, mai invasivo nell’ambiente. Proprio il dialogo con quest’ultimo diventa focus per la realizzazione del progetto, giacché è integrato nel lavoro stesso dell’artista.
Hypermaremma è prima di tutto un viaggio che – in un gioco di sovrapposizioni tra sensi racchiusi proprio nel suo nome – ha i suoi tempi. Sono quelli della lentezza e del silenzio di quei luoghi che si imparano a conoscere nel tempo, ma che ogni volta restituiscono qualcosa di inesplorato. “Qui il tempo si è fermato e si ascolta il silenzio”, cita una targa su un edificio, a circa quaranta chilometri dal mare. Quel tragitto verso il mare diventa un’occasione per scoprire le curve del paesaggio, la bellezza delle botteghe di una volta e dei tanti centri che conservano le tracce di un passato artistico e architettonico. Ma anche delle lingue di sabbia fine e lunghissime, che si lasciano alle spalle le dune bollenti e davanti il mare. Non siamo nel romanzo di Giordano Falco Sotto il sole della Maremma (che si sviluppa intorno alle vicende quotidiane della numerosa famiglia Martelli, ai piedi della campagna, tra i borghi sulle colline, sullo sfondo di vicende storiche che porteranno al secondo conflitto mondiale), eppure pare che la percezione del tempo e l’ambiente rurale siano rimasti come allora.
L’esperienza per il pubblico è autentica, fisica e materiale. In un’epoca che risente ancora dell’allontanamento sociale degli ultimi tempi, e di una invadenza tecnologica come previsione di un futuro distopico, in cui lo spazio si fa sempre più immersivo con il Metaverso (un ambiente digitale in cui potersi spostarne in tre dimensioni – ancora in via di definizione), il corpo riafferma la sua presenza. Ristabilisce il suo posto nello spazio reale, testimone di un corpo sociale che ha necessità di recuperare quell’oggettualità che gli è propria. Segue i punti di una mappa tra oasi protette e parchi naturali, tra luoghi privati che si aprono al pubblico e spazi pubblici riscoperti dalla collettività. Ma poi devia seguendo le infilate di cipressi che fanno da sfondo al cielo che si colora di rossi, rosa e aranci, interrotto dal passaggio del trattore, dai butteri, dagli uccelli sulla laguna.
Pratis, Galotti e D’Aloja hanno saputo cogliere e anticipare lo spirito dei tempi (e degli eventi), rendendo il progetto un’esperienza distante da modelli codificati e autoreferenziali. Hanno avuto ciò che manca e ci si aspetta (in generale dalla società, soprattutto da quella che si sta delineando negli ultimi tempi), il coraggio che conduce all’imprevedibilità. Perseguendo una coerenza di intenti, spostando l’attenzione verso l’alterità: “proiettare il sé nelle alterità riorganizzandolo attraverso esse e, in definitiva, fare emergere un nuovo tipo di umano come esito di questo incontro” [1].
Il saggio citato di Roberto Marchesini (etologo e filosofo) indica la possibilità di costruire un’altra identità per l’uomo a partire proprio dallo spostamento di modelli precostituiti e paradigmi antropocentrici, creando nuove relazioni.
Ne abbiamo parlato con Carlo Pratis, uno dei suoi fondatori, dialogando a distanza, in pieno fermento installativo.
Hypermaremma è un progetto diffuso intorno a un territorio specifico, lontano dalle modalità codificate nei luoghi deputati a certificare un valore (penso ai musei, alle gallerie). È radicato in un territorio in cui alcune personalità artistiche hanno lasciato un’impronta importante non solo a livello storico artistico ma anche architettonico. Mi riferisco ad alcuni luoghi simbolici come il Giardino dei Tarocchi (Niki de Saint Phalle e Jean Tinguely), quello di Spoerri e dei suoni di Paul Fuchs.
In realtà la Maremma è un luogo rimasto immutato per secoli, mai intaccato da interventi artistici su larga scala che hanno ripensato e trasfigurato la sua storia e il suo paesaggio. Hypermaremma vuole essere esattamente questo, invece. Le tre incredibili esperienze di Niki de Saint Phalle, Spoerri e Paul Fuchs rimangono comunque dei progetti per ovvi motivi autoreferenziali, dove non vi è traccia di dialogo reale col territorio e la sua storia. Delle splendide cattedrali nel deserto, insomma.
Siamo alla vigilia di una nuova epoca per l’umanità in cui è sempre più urgente che l’uomo rivaluti la sua relazione con la natura e l’ambiente, ma anche con l’idea di centralità o di uniformazione. Penso al modello di esposizione in spazi tradizionali all’interno delle grandi città ma anche a quella tendenza di spostamento del baricentro (familiare e professionale) verso localizzazioni alternative, riscoprendone le peculiarità. La vostra esperienza ha anticipato l’emergenza di queste alterità, inserendosi in una prospettiva geografica e storica.
Senza alcun dubbio il fatto che in questa avventura con Giorgio Galotti e Matteo d’Aloja abbiamo canalizzato gran parte delle nostre energie lontano dalle città in cui viviamo, è sintomo di una più o meno inconscia volontà di ricerca di uno scenario alternativo. E trovo che il successo totalmente inaspettato di questo progetto, nato per gioco, sia assolutamente la conferma che lo spostamento del baricentro della cultura dai grandi centri abitati è assolutamente possibile.
Penso alla complessità nella scelta di artisti e spazi, ai problemi installativi, considerando che si tratta di opere esposte all’esterno. I linguaggi sono diversi: pittura (anche con grandi opere come il lavoro di Marco Emanuele del 2021 per le stalle di Sant’Irma), installazioni, performance; come avviene il lavoro di progettazione, di produzione delle opere e la scelta delle stesse e dei luoghi?
Nel nostro approccio curatoriale il dialogo tra luogo e intervento artistico è sempre fondamentale. Il paesaggio diventa parte integrante dell’opera e molto spesso del suo stesso significato. Quindi, per risponderti nello specifico, il più delle volte siamo partiti dal luogo stesso, dalla nostra volontà di svelarlo e di raccontarlo, quindi con gli occhi dell’artista. Partendo da questo ragioniamo su quale pratica e intervento possa essere più adatto, e quindi si procede con la ricerca dell’artista.
La quarta edizione è partita ad aprile con l’installazione di Giuseppe Gallo e la performance di Rachel Monosov. Nel primo lavoro emerge una volontà di creare un legame con la storia locale e con l’umanità nel suo profilarsi di figure monumentali (una scelta quanto mai profetica). Nel secondo lavoro la presenza dell’artista di origini russe rappresenta la volontà e il coraggio di non cedere a quel fenomeno, privo di ogni logica, di censura culturale che ha investito anche il nostro paese. Arte e cultura hanno un ruolo – che ultimamente ritengo gli venga ingiustamente sottratto – nel loro rappresentarsi e nella loro capacità di innescare dialoghi, creare ponti e scuotere le coscienze.
Entrambe le opere celano senza dubbio un forte legame con la contingenza politica che stiamo vivendo. Nelle figure di Giuseppe Gallo è racchiusa una rappresentazione archetipa dell’umanità unita in una straniante e ludica processione, come ci dice l’artista sia su un piano spaziale sia su un piano temporale. Le culture del mondo raffigurate come in un’unica danza pronta a ripetersi all’infinito. Nella performance di Rachel Monosov, che abbiamo voluto a tutti i costi proprio in risposta di questa insensata censura, affiora la volontà di amplificare la distanza tra due corpi, due menti, due personalità e culture differenti. Una soglia surreale dove tutto è sospeso e sembra prevalere l’impossibilità di incontrarsi veramente.
Hypermaremma non è solo un festival ma anche un’esperienza da vivere tra percorsi e strade, luoghi e tradizioni, consentendo a un pubblico eterogeneo di scoprire arte, cultura e territorio.
Hypermaremma vuole essere assolutamente un’avventura per (far) scoprire porzioni e luoghi nuovi del territorio. La nostra volontà è, anno dopo anno, di abbracciare con i nostri interventi luoghi sempre meno vicini a una visione ormai scontata di una Maremma “Capalbio-centrica”. Il nostro sogno è quello di lavorare ancora nella Maremma laziale, e di arrivare alle isole: Giannutri e il Giglio.
Il pensiero che sta dietro al progetto è sempre quello di creare, pezzo dopo pezzo, un percorso che renda questa scoperta un’esperienza immersiva a tutti gli effetti: immersiva con il paesaggio e con le opere che lo ridisegnano e lo risignificano.
La scorsa edizione è stata entusiasmante! Cosa è previsto per quella in corso? puoi svelateci qualcosa delle prossime opere?
Dopo il grande intervento scultoreo di Giuseppe Gallo, la prima opera in assoluto che riusciamo a mettere in tangibile dialogo col mare, abbiamo scelto un altro intervento monumentale che anch’esso ha un rapporto strettissimo col mare e con chi lo naviga di notte. Ships that pass in the night è il gigantesco neon blu che abbiamo commissionato a Maurizio Nannucci per la facciata della Rocca di Talamone. Un omaggio ai navigatori notturni visibile come una traccia semantica blu a chi passa nel buio attraverso la baia di Talamone. A questa seguirà un altro intervento monumentale, quello di Claudia Comte nella vallata di Pescia Fiorentina. Una gigantesca scritta di 110 metri, realizzata con tronchi d’albero provenienti dal monte Amiata, un monito su come non si possa prescindere “l’altro” in natura; su come tutto sia legato imprescindibilmente in un unico grande ecosistema. Accanto a questi tre interventi di portata monumentale, abbiamo invitato altrettanti giovani artisti a relazionarsi col territorio e con la sua tradizione. Francesco Cavaliere con una straniante narrazione/performance nel Parco Archeologico di Cosa ad Ansedonia, Gianni Politi con un bellissimo progetto a Talamone, dove metterà in scena una vera e propria regata di windsurf con vele da lui dipinte, e Guglielmo Maggini che trasfigurerà con un suo intervento Porta Medina, l’incredibile porta seicentesca edificata dagli spagnoli a Orbetello.
Questo contenuto è stato realizzato da Elena Solito per Forme Uniche.
Note
[1] R. Marchesini, Alterità – L’identità come relazione, Mucchi Editore, Modena, 2016.
Hypermaremma IV edizione
16 – 30 Settembre 2022
https://www.hypermaremma.com/it/
https://www.instagram.com/hypermaremma/