Si è appena riaperto ad Arezzo, con un nuovo allestimento, il Museo Orodautore, situato al piano terra del Palazzo di Fraternita in piazza Grande
Il museo si trova nel cuore dell’antica città che tante vestigia conserva della civiltà etrusca come dell’arte rinascimentale che qui fiorì grazie alla presenza di Piero della Francesca, Giorgio Vasari, Luca Signorelli e conta più di trecento gioielli databili dagli anni ’70 ai primi due decenni del Terzo Millennio.
Frutto di un lavoro di ricognizione artistica partita negli anni ’80, è ordinato su progetto museografico dell’architetto Andrea Mariottini secondo un percorso cronologico che rispecchia anche la storia del comparto orafo aretino, la cui azienda più nota e prestigiosa, fra le milleduecento attive sul territorio, è la Uno A Erre del gruppo Gori & Zucchi, depositaria di una tradizione d’arte da tempo sfociata nella creazione di un museo aziendale interno dedicato all’arte dell’oreficeria.
Frutto della sinergia tra Regione Toscana, proprietaria delle Collezioni, Comune di Arezzo, Camera di Commercio Arezzo-Siena, Fondazione Guido d’Arezzo e Arezzo Fiere e Congressi, l’iniziativa che vede protagonista il Museo Orodautore si pone come contributo alla valorizzazione del patrimonio culturale locale, ma anche punto di riferimento internazionale per chi sia coinvolto nel settore del gioiello d’arte o, semplicemente, interessato a esso. Fra i tanti autori di dimensione internazionale oggi presenti al Museo, Gae Aulenti, Lynda Benglis, Mario Botta, Andrea Branzi, Mario Ceroli, Dan Friedman, Milton Glaser, Michael Graves, Marya Kazoun, Marta Minujin, Ugo La Pietra, Alessandro Mendini, Bruno Munari, Michelangelo Pistoletto, i Pomodoro, Ettore Sottsass.
Un po’ di storia
Trentacinque anni di ricerca scaturiti da un’intuizione, ovvero come un piccolo segno scultoreo o di design possa tramutarsi in gioiello emulando per espressività opere plastiche di grandi dimensioni e di forte impatto visivo. Furono un pugno di studiosi e operatori del mondo orafo – gli storici dell’arte Lara-Vinca Masini e Giuliano Centrodi, unitamente all’antiquario Ivan Bruschi, Daniel Virtuoso e Bianco Bianconi, questi ultimi rispettivamente direttore artistico e presidente del Centro Affari e Promozioni Arezzo –, a inventare, a corollario della Fiera Oro Arezzo (nata qualche anno prima, per la precisione nel 1980), una manifestazione che avrebbe messo in moto un meccanismo ingegnoso quanto lungimirante: chiamare artisti impegnati in varie discipline creative, anche estranee al gioiello in senso stretto, e invitarli a progettare ornamenti che sarebbero poi stati realizzati in oro, argento e pietre da aziende orafe dell’aretino e infine esposti in mostre pensate a corollario dell’esposizione commerciale fieristica. Fine ultimo, la costituzione di una collezione permanente da custodire presso il Centro Affari.
Il gioiello d’artista già vantava una sua storia, si pensi a Dalì, Picasso, Braque o agli stessi Arnaldo e Giò Pomodoro, dediti fin dagli anni ’50 a divertissement preziosi che comunque sintetizzavano la loro cifra stilistica in modo ponderato e compiuto. Aurea, Biennale dell’Arte Orafa organizzata a Palazzo Strozzi a Firenze, già negli anni ’70 aveva coagulato intorno a sé forze creative di primordine, ma fu nel 1987 che ad Arezzo l’idea in nuce di un’operazione più vasta, che poi si sarebbe tramutata nella Collezione oggi definitivamente collocata nel Museo Orodautore di Arezzo, cominciava a prendere forma.
Il tutto partì dunque con il progetto “Artisti e disegno nell’oreficeria italiana”. In particolare, furono i Pomodoro, Bruno Martinazzi, Ettore Sottsass a fare da apripista fornendo disegni e pezzi, dando valore aggiunto alla produzione locale. L’anno dopo, nell’ ’88, alla mostra “Oro d’Autore. Materiali e progetti per una nuova collezione orafa” partecipano, fra gli altri, Buti, Canuti Dadamaino, Forlivesi, Martinazzi, Mattiacci, Mendini, Pinton. Poi, nell’ ’89, ecco “Oro d’Autore. Materiali e progetti per una collezione orafa”, mostra dal taglio internazionale, allestita nella Sottochiesa di San Francesco, che include l’Omaggio a Bruno Munari (che includeva i pendenti Costellazioni Zodiacali e le spille Negativo Positivo, tutti pezzi degli anni ’70) e una sezione di gioielli polacchi riconducibili agli autori Jadwiga e Jerzy Zaremski, oltre a una selezione di nomi italiani, ovvero un pittore, tre architetti e tre autori orafi non convenzionali: Marcello Aitiani, Lapo Binazzi, Andrea Branzi, Mario Galvagni, Bino Bini, Alberto Zorzi, e l’italo-svizzera Cordelia von den Steinen. Una prova generale che non mancò di soddisfare lo scopo precipuo per il quale la manifestazione era stata concepita: “sollecitare nuove proposte di formatività per il gioiello contemporaneo”, come scrisse Lara-Vinca Masini nel testo introduttivo al catalogo.
La collezione prendeva dunque corpo, ma i contributi più significativi sarebbero giunti nel ’92 quando, cogliendo lo spunto dalle celebrazioni del cinquecentenario della morte di Piero della Francesca, fu organizzata l’esposizione “Oro d’Autore. Omaggio a Piero”, cui furono chiamati a partecipare 37 artisti e altrettante aziende.
All’ombra di Piero
Gran cerimoniere, e curatore, il critico Gillo Dorfles, che chiudeva la sua presentazione scrivendo: “… quando la ‘funzione’ d’un oggetto si lega alla carica fantastica che lo determina, l’artista riesce, meglio che nell’opera esclusivamente ‘gratuita’, a trovare il giusto sentiero della sua ispirazione”. Non stupisce che un attento indagatore delle tendenze di costume avvallasse dunque il valore espressivo del gioiello e, anzi, ne sottolineasse le potenzialità grazie al suo porsi non solo come puro accadimento d’arte, ma come strumento di affermazione e valorizzazione estetica dell’immagine sociale della persona che lo indossa.
Le vie che riguardano il ruolo dell’ornamento nell’ambito della storia dell’arte e dello stile sono già state ampiamente battute e non è questa la sede per approfondirne le ragioni. Ma certamente gli artisti, gli architetti e i designer coinvolti dal confronto con l’opera di Piero trassero vivifico alimento – guardando chi alla Madonna del Parto chi alla Pala di Brera chi agli affreschi delle Storie della Vera Croce posti nella Chiesa di San Francesco –, dando vita a pezzi straordinari: Mauro Berrettini come Remo Buti, Nado Canuti come Nicola Carrino, Mario Ceroli come Dadamaino, Piero Dorazio come Salvatore Fiume, Giò Pomodoro come Venturino Venturini, Franco Grignani come Ettore Sottsass e Alessandro Mendini, Mario Pinton come Giorgio Facchini e Alberto Zorzi.
La parola a un protagonista
Chiediamo allora a Zorzi, maestro veneto formatosi alla Scuola di Padova – Mario Pinton fu il suo maestro – , quale è oggi la valenza del Museo Orodautore, che ha raccolto i frutti dell’ imprenditorialità aretina proiettandola in una dimensione internazionale, e quale per lui, che la visse in prima persona, il significato di tale collezione originatasi da mostre destinate a protrarsi fino al 2012, tra visitazioni e arricchimenti internazionali – Giappone, Stati Uniti, Argentina, Hong Kong, Cile, Cina – e con il coinvolgimento anche dei protagonisti della moda (dal 2002): da Gattinoni ad Armani, da Vivienne Westwood a Dolce & Gabbana, da Ferragamo a Ferré.
“Il Museo rappresenta un segno di continuità: l’operazione culturale che ha esordito molti anni fa ad Arezzo oggi costituisce per studenti e giovani creatori orafi un possibile momento di riflessione su come debbano essere concepiti il gioiello e l’ornamento, e dico ‘ornamento’ poiché ci sono pezzi che vanno al di là della dimensione del gioiello”, spiega l’artista che nell’arco della sua attività ha improntato la sua ricerca a un accentuato plasticismo formale, fuori dai confini della progettazione tradizionale, per quanto riguarda sia il gioiello che l’oggetto di design, come testimoniano le recenti collezioni Pitagora e Fellini, da lui firmate per il Greggio Argenterie.
Aggiunge: “Qui ad Arezzo si può analizzare il punto di vista dell’artista orafo e quello dello scultore, quello dell’architetto-designer e quello dello stilista. Per gli studiosi, e per il pubblico in genere, il Museo Orodautore di Arezzo, riaperto un mese fa, totalmente riallestito e dotato di nuovi percorsi di visita, rappresenta la conferma dell’interesse per un’area creativa ricca di espressività da parte dei locali enti pubblici, che hanno investito molto in questo progetto, ma diviene anche occasione di approfondimento unica in Italia e strumento di appropriazione di una visione globale da cui nulla è escluso: pittura, scultura, design, moda”.
Sguardi trasversali
Parliamo della multidisciplinarietà, oggi così presente in ogni settore della creatività, che ebbe dunque un importante momento anticipatore nell’attività aretina.
“Sì certo, e, a mio parere, questo è un aspetto molto importante cui spesso non si guarda con sufficiente attenzione. In realtà tutto quello che si è manifestato nell’ambito del gioiello d’artista e d’autore in Italia, purtroppo spesso sottovalutato, è summa di diversi contributi culturali. Oggi ci sono proposte provocatorie che sfiorano la Body Art, che presentano certamente aspetti di grande interesse, ma che non denotano la conoscenza di quanto è stato fatto in passato – nel campo del gioiello e non solo –, patrimonio che è invece fondamento di ogni gesto creativo. A colmare queste lacune il Museo offrirà soluzioni adeguate offrendo anche una biblioteca dove sarà possibile consultare volumi specifici utili allo studio dei singoli temi”.
Artista orafo, designer, docente (in passato a Ravenna, oggi a Siena e presto anche a Venezia) e storico del gioiello, lei ha una visione a 360° del mondo orafo, anche a livello internazionale.
Quale ritiene sia dunque il posizionamento del gioiello contemporaneo all’estero?
“Gli stranieri danno prova di una continuità nell’organizzare mostre e attività culturali che non si può certo paragonare a quella degli Italiani. E basti pensare anche a fiere come Design Miami/Basel in Svizzera e Stati Uniti o Tefaf nei Paesi Bassi e Stati Uniti, dove il gioiello d’arte e design ha preso da tempo piede. Gallerie con cui lavoro sono presenti a tali manifestazioni: Babs Art Gallery di Milano e Didier Ltd di Londra. I riscontri in tali sedi si rivelano per loro molto positivi.
Ma anche nel nostro Paese esistono segni di crescente interesse: per esempio, le Jewellery Week, affermatesi in varie città italiane, stanno contribuendo a rivoluzionare la percezione del gioiello d’autore e acuire la prospettiva della sua diffusione. A esse il Museo Orodautore di Arezzo fornirà un utile sostegno per comprendere meglio il passato e affrontare con armi più efficaci Il futuro”.