Alla Fondazione Maeght di Saint-Paul-de-Vence (Francia) è in scena un’esaltante avventura nel cuore pulsante dell’astrazione attraverso le opere provenienti dalla Fondazione Gandur di Ginevra. Fino al 20 novembre.
“Ricca di una raccolta di più di 13.000 opere, la Fondazione Maeght è sempre curiosa e onorata di presentare altre collezioni” – dice Adrien Maeght presidente dell’omonima Fondazione. Nel passato la scelta era caduta sulla presentazione della collezione Gori (2012) e su una parte della collezione di Bernard Massini ( 2013). Questa volta viene proposta un’immersione appassionante nel cuore dell’Astrazione anni 1950-80. 120 opere provenienti dalla Fondazione Gandur per l’Arte di Ginevra sono state accuratamente scelte dal commissario invitato Yan Schubert, conservatore della Fondazione Gandur, per la grande mostra estiva Au Coeur de l’Abstraction.
Parigi 1950, fine della Seconda guerra mondiale. Artisti di tutto il mondo tornano a frequentare la Ville lumiere, che riprende il suo ruolo di capitale culturale. È un periodo di grande effervescenza creativa in cui si assiste a un’evoluzione della tendenza geometrica nata durante le avanguardie d’inizio secolo con il trio Mondrian, Kandinsky, Malevitch e all’emergere nello stesso tempo di una generazione di artisti che rivoluziona l’arte ripensando la pittura e i suoi supporti. Come nella musica d’avanguardia, nel jazz hot e cold, l’arte trascende il gesto e la materia grazie a tecniche e attrezzature inedite. Prendendo a prestito la definizione di Mark Rothko “Un quadro non è l’immagine di un’esperienza. È un’esperienza”, l’azione artistica viene intesa come manifestazione aperta e dialettica di energia vitale che tende a rappresentare l’interiorità e i suoi aspetti emotivi ed inconsci.
Articolata attorno a 9 sezioni tematiche, la mostra della Fondazione Maeght vuole ritracciare le grandi evoluzioni dell’Arte astratta della Parigi anni 1950-80. Riflesso delle molteplici forme che riveste l’astrazione durante quegli anni, propone un percorso attraverso l’astrazione lirica e gestuale di Georges Mathieu, di Hans Hartung, Pierre Soulages, l’espressionismo astratto di Sam Francis o di Joan Mitchell, l’astrazione geometrica di Victor Vasarely e tanti altri ancora.
La molteplicità delle esperienze ha come punto di partenza la sintesi compositiva e formale di Nicolas de Stael, presente con una piccola tela di grande intensità poetica. L’artista giramondo, che ad Antibes posò i bagagli e trovò la morte da suicida, si confronta vis à vis con l’astrazione lirica di Georges Mathieu, prima del percorso riservato a Jean Degottex, Jean Paul Riopelle e Hans Hartung.
Nella sala dedicata a Braque la sezione ispirata ai Dialoghi evoca l’immediato dopoguerra, quando Parigi ritrova il suo posto nel mercato mondiale dell’arte tra astrazione geometrica e astrazione lirica. La sezione Peintures accende i riflettori su Pierre Soulages, Echange ci ricorda che negli anni ’50 parecchi artisti del Nord America hanno attraversato l’Atlantico per venire a creare a Parigi. Un grande olio su tela di Sam Francis – Tokyo 1957 – dialoga qui con le opere di Martin Barré, con i movimenti centrifughi e centripeti dell’opera di Judit Reigi e di Alfons Schilling.
Seguono Vasarely e Herbin, che destabilizzano il nostro sguardo nella sezione dedicata alle Tendenze geometriche dell’Op Art. Una delle modalità alternative di rappresentare il mondo, attraverso nuove forme di espressione e tecniche inedite, sviluppatesi dopo la Seconda guerra mondiale. Tra queste anche il grande trittico di Emilio Vedova Scontro di situazioni 1959, accanto alle compressioni di César, gli assemblage di Arman , Le Affiches lacerate di Raymond Hains, le riflessioni di Alberto Burri (Umbria vera, 1952).
Alla conquista di dimensioni altre, Lucio Fontana è qui presente con Concetto spaziale 1952. Antoni Tapies mescola la sua personale lettura di psicoanalisi e surrealismo facendo dialogare il suo universo onirico con forme astratte, aprendosi così all’informale. Sul fronte Nouveaux Realistes, alternativa europea all’arte americana, gli immancabili Arman, César, Christo.
Nella sezione Materialitès i materiali poveri ritrovano i loro titoli di nobiltà nell’arte di Fautrier e Jean Dubuffet, con quest’ultimo che inventa il suo personale linguaggio con Savonarola 1954 accanto all’americano Conrad Marca-Relli, Luis Feito, Lèon Zack, Simon Hantai.
Senza tralasciare l’Arte concreta di Gottfried Honegger e Aurelie Nemours. Nella sala dedicata a Giacometti i Supports/Surfaces degli anni ’70, Daniel Dezeuse, Marc Devade, Claude Viallat, Noel Dolla, Bernard Pagés dialogano con Peinture 1984 di Pierre Soulages, che sviluppa in quegli anni il suo outrenoirs, per finire con il gesto rivoluzionario di Hartung in mostra con T 1987-H3 T87-H4. Il grande dittico del 10 marzo ’87 dipinto pochi mesi prima della sua scomparsa.