Breve Amarcord prima delle vacanze. Per risentirci a settembre. Non potevo lasciarvi senza mie notizie. Poi subito una corsa a Praga quindi in Versilia per un paio di settimane, forse. Un abbraccio a tutti. GP
Ferragni VS Venere
Nel gossip estivo Ferragni vs Botticelli, che ha visto impegnati anche molti soloni con la barba, la vince alla grande la Ferragni. Possibile che anche gli archetipi della cultura polverosa adesso gridino allo scandalo per un selfie di Chiara davanti alla Venere di Botticelli agli Uffizi? Queste grandi opere servono anche a questo. Anzi, forse solo a questo. Pare che Mona Lisa al Louvre si sia dovuta subire qualche miliardo di selfie ora e foto prima. Senza il capolavoro di Leonardo (che qualche studioso ritiene una copia, dopo il furto di Vincenzo Peruggia nel 1911 che tenne per due anni il quadro in un albergo di Firenze, mentre forse qualcuno la copiava. Dico forse.) il Louvre pare che perderebbe il 30% di visitatori (soprattutto giapponesi). Insomma, i selfie sono i grandi finanziatori dei musei, alla faccia di coloro che chiamano in causa solo la cultura.
Mi dicano questi sapientoni passatisti chi è portatrice di cultura, di idee, di energia nuova e di bellezza contemporanea, la stereotipata Venere (bellissima nella sua immobilità rinascimentale) o la giovane influencer di Cremona?
Certo, la Venere è una bella icona (molto più bella della Gioconda, che bella non è), espressione di bellezza e di cultura nuova nel 1478 (secondo il Cavalcaselle, secondo altri nel 1486: ma siamo lì), cioè nel Rinascimento, ma si può essere icona e portatrice di nuovo per qualche anno, non per sempre. L’Italia è stata fermata sulla via della modernità, dalla supponenza fomentata dalla politica e dalla cultura retrograda, che ci ha convinto che siamo la culla della civiltà, che tutto nasce e muore in Italia.
Firenze, Venezia e Roma enormi scenografie teatrali
Il paese più bello del mondo, le città più belle del mondo. Siamo il meglio in tutto. In realtà noi siamo un immane deposito di retaggi culturali che hanno condannato l’Italia ad essere obsoleta e superata da tutti. Città come Venezia, Firenze, Roma, non hanno saputo coniugarsi con la contemporaneità e sono restate, tutte, nessuna esclusa enormi scenografie teatrali, novelle Cinecittà o meglio Bollywood. Non si indignino i miei lettori: io amo molto Roma e Firenze (meno Venezia) o Verona, però mi sento a teatro.
E tutta l’Italia è questo tragicomico teatro, di cui tutti ci siamo beati, pensando fosse un universo infinito ed eterno, il nostro petrolio, direbbero i politici, e che bastava sedersi al sole per vivere alla grande. Ma come si può pensare che queste città, assalite da torme sudate di turisti con infradito e ombrellino che si trascinano faticosamente a Piazza San Marco o nel colonnato di San Pietro, o agli Uffizi, senza entusiasmo e senza energia, possano, intrappolati da qualche pacchetto turistico di agenzie turistiche senza ritegno, essere il nostro futuro?
Invece è bastata la vispa Chiara Ferragni, per farci capire quanto siamo obsoleti e che dal ‘500/’600, l’Italia si è fermata. Un po’ come la Grecia. Tutta la storia dell’arte, con l’esclusione di alcuni eletti che sono in grado di contestualizzarla e dunque di capirla, diventa un enorme fumettone per torme di turisti che cercano solo un po’ di ombra. E profondamente disinteressati. La Cappella degli Scrovegni o la Cappella Sistina rappresentano ai nostri occhi profani di arte antica (e siamo la maggior parte) i Cartoons più affascinanti del Rinascimento. In realtà sono stati dei grandi generatori di idee, spiritualità, energia e cultura nel loro tempo, ma oggi sono immagini morte. Bellissime immagini, dalle evocazioni incredibili e talvolta esoteriche, che ti lasciano senza fiato ma che non hanno alcun rapporto con la nostra cultura. È come rifugiarsi nel mondo delle fiabe. E da quegli anni le città italiane, con la loro architettura e l’urbanistica, si sono sedute. Si è ripreso a pensare alla città nuova negli ultimi cinquanta anni, ma con danni irreparabili per la vita sociale e per la nostra salute. Non si può gettare un ponte dal ‘600 per collegarlo all’oggi, come si è costretti a fare, con disastri ambientali, ecologici ed economici irreparabili.
Nella nostra cultura non esiste una continuità tra Rinascimento e contemporaneità e si è costretti a saltare da Giotto a Maurizio Cattelan senza altri punti di riferimento.
Io ho sempre amato New York, che considero la città più bella del mondo, perché è un grande laboratorio di tutto e sempre. La grande mela non si ferma mai, con le sue idee, progetti, realtà nuove. E nemmeno con i suoi errori.
Per questo mi sento frustrato quando la politica ci costringe a dire che siamo il meglio in tutto. Invece siamo gli ultimi: nella cultura (grazie al concetto arcaico che continuiamo ad esaltare), nella scuola, in economia e forse anche nella sanità. Ma non sarebbe il caso di rivedere il concetto di cultura? Ne riparleremo a settembre.
LIBRI, LIBRI, LIBRI
VITA PRADA
In tempi di lockdown si legge di tutto. Anche i libri inutili. L’altro giorno da Feltrinelli, in cerca del mio amato Nicolas Bourriaud da cui il Covid 19 mi aveva momentaneamente escluso, mi imbatto in una sorridente e dolcissima Miuccia Prada, fotografata da Guido Harari. Compero il libro per la bella foto di Miuccia (sì, anche erotica) più che per i probabali contenuti di Gian Luigi Paracchini che non conoscevo. E la sera, come di consueto, per prendere sonno mi getto su un libro qualsiasi della mia selezionata biblioteca notturna. Il titolo Vita Prada mi incuriosisce, è di qualcuno che sa prenderti per il verso giusto ma con semplicità. E il libro inizia: Venerdì, 10 giugno 1977. Perdio, mi dico, è l’anno del mio matrimonio con Helena Kontova, della nostra fuga dalla impenetrabile cortina di ferro di Praga, e dell’inizio di una vita in comune piena di fascino, di incognite di scontri culturali tra Occidente e Mitteleuropa. L’incontro tra un italiano, un po’ maschilista e un po’ cafone e una erede spirituale di Francesco Giuseppe e con qualche lontano quarto di nobiltà, vi assicuro non è una passeggiata. Ma non fu una passeggiata nemmeno quella di Miuccia Prada quando in quel giugno 1977, al Mipel (la più grande fiera di pellame al mondo) si presenta leggermente incavolata (solo come può esserlo una signorina bene di Milano) allo stand Sir Robert, di Patrizio Bertelli da Arezzo, pellettiere emergente, per chiedere ragioni di alcune borse molto simili alle sue.
Miuccia Prada era l’erede del più elitario e snob negozio di borse di Milano, con sede nella galleria Vittorio Emanuele, cioè davanti al Duomo. Le sue clienti non discutevano i prezzi ma ammiravamo solo la bellezza discreta delle borse di coccodrillo o di lucertola o di pitone.
E così, grazie a quella data fatidica, la lettura mi prese. Ma cosa dico mi prese. Malgrado dosi massicce di Minias (in genere mi abbattono poche gocce) trascorsi tutta la notte assatanato su Vita Prada. E scoprii anche un giornalista, tra i più bravi del contado (io che non ho grande stima del giornalismo italiano), questo Gian Luigi Paracchini, che si dimostra bravo in tutto. Dalla moda, al business, alla vela, all’arte. Ma soprattutto parlando di arte, territorio dove io sono particolarmente esigente (e forse competente) e che dopo la morte di Germano Celant (a parte Francesco Bonami e Francesco Stocchi) non ritengo ci siano scrittori in grado di coniugare scelte e qualità di analisi da farti star sveglio. Gian Luigi Paracchini mi ha fatto ricredere con le sue analisi asciutte (sembra di sentir parlare Patrizio Bertelli) e mirate, su opere difficilissime, da quel grande critico d’arte che io andavo cercando. Ma allora, forse al di fuori dell’arte esistono intelligenze in grado di leggere l’arte meglio di noi specialisti? E se noi che ci occupiamo d’arte fossimo i peggio del circondario? Gian Luigi Paracchini me lo fa pensare. E allora sognerei di mandare a lezione dal Paracchini tutti, dico tutti, i docenti ed esperti dell’arte in Italia, in primis il nostro Ministro della Cultura, l’impareggiabile Dario Franceschini che a molti sembra un genio e che invece è solo un asino. Per un giorno o due, non di più. E voi sapete amici miei che io non sono affatto accomodante quando si parla di arte. E di scrittura sull’arte. Ho sempre bocciato i poeti in erba, anche in età avanzata, che scrivono d’arte guardando la luna e non l’opera. E ho bocciato implacabilmente i grandi scrittori (Argan, Ragghianti, Cesare Brandi) che non conoscevano l’arte contemporanea e ne parlavano come fosse Duccio di Buoninsegna. E tutti gli storici d’arte, compreso il povero Calvesi, che essendo esperto di Caravaggio pensava che lo fosse anche di Lucio Fontana e di Kounellis. Insomma, vorrei mandare a lezione da Paracchini tantissimi critici e curatori contemporanei. Una full immersion nella semplicità. Riempire uno stadio e far parlare Paracchini. Anche io ci sarei, ovviamente.
Comunque Miuccia, davanti alle borsette simili alle sue tira fuori le unghie e grida (a bassa voce) a Patrizio Bertelli: come ti permetti di copiare le mie creature? E Patrizio, con il più grande sorriso toscano le risponde: mettiamoci in società. Miuccia è inorridita da tanta presupponenza e cafoneria toscana, lei ben educata prima dalle suore poi al Berchet, scappa sconvolta, al punto che tre giorni dopo richiama Bertelli accettando la partnership.
E Patrizio Bertelli diventa Prada. In poco tempo le cinture di Bertelli e le Borse Prada decuplicano il fatturato, ma Patrizio (intanto forse era nata una love story) non si accontenta. E chiede a Miuccia di produrre una linea di moda femminile. Miuccia sviene dallo spavento, ma si riprende subito ed accetta la sfida. Miuccia è una donna dal gusto personale particolarissimo. Insieme a Patrizio iniziano a studiare le tendenze nuove, il gusto che stava cambiando e che loro stessi volevano modificare: così nasce Prada. La Grande Prada. Difficoltà agli inizi e poi successo planetario. Allora Bertelli vuole la linea Prada uomo. Altro svenimento di Miuccia con veloce ripresa. Altro successo planetario con budget da far girare la testa. Ma Patrizio è un uomo di avventura, vuole sfidare il destino. Allora inventa Luna Rossa, la barca più bella del mondo e tra le più veloci. Un’avventura incredibile, da seguire nel libro, tra skipper, barche concorrenti, maniaci del mare e della vela. E con Luna Rossa, dopo alterne vicende, vince la Louis Vuitton Cup, che pare sia la seconda competizione mondiale per importanza. Patrizio Bertelli è un vulcano, con idee sempre nuove e vincenti e una conoscenza dei problemi da farti sentire una nullità.
Non so di chi sia stata l’idea della Fondazione Prada, dapprima con mostre esemplari poi con il museo più bello del mondo. Forse di Miuccia? Oppure dell’inarrestabile e un po’ spocchioso Patrizio? E leggendo questo bellissimo Vita Prada, vi renderete conto della sua sensibilità e conoscenza dell’arte. Grazie alla frequentazione di Germano Celant e di Francesco Vezzoli? Può darsi. Ma io credo molto negli scontri durante le cene con Miuccia che li ha fatti crescere insieme culturalmente e imprenditorialmente (io ed Helena: quasi uguali, escluso la capacità imprenditoriale). Ma si è trattata di un incontro e di una simbiosi straordinaria che ci fa capire come due persone completamente diverse, per educazione e percorsi culturali, possano vivere una vita familiare accettabile e diventare tra i più grandi imprenditori degli ultimi anni.
Ma cosa occorre per diventare Prada e Bertelli? Io credo che si nasca Miuccia o Patrizio: e poi grande intelligenza, molta umiltà e voglia di crescere con il mondo e la cultura nuova che ti circonda. Cercando la cultura nuova dove sta. In paesi vicini e lontani, in personaggi di tutte le latitudini e abitudini, ascoltando lo scemo del villaggio e il premio Nobel per l’economia, il vicino della porta accanto e l’imbonitore di turno che ti vuol vendere l’eternità.
Per scrivere a Giancarlo Politi:
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