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Se il feticcio diventa arte. Nel principato di Monaco il secondo atto della mostra su Christian Louboutin

Photo © Jean-Vincent Simonet pour Christian Louboutin
Photo © Jean-Vincent Simonet pour Christian Louboutin
Uno scintillante corridoio rosso fuoco introduce alla teatrale mostra che il Grimaldi Forum Monaco dedica a Christian Louboutin (Parigi 1963), la cui creatività viene qui celebrata con fasti e lussi inusitati. Evento glamour dell’estate monegasca, Christian Louboutin, L’Exhibition[niste], II capitolo (il I era stato presentato nel 2020 a Parigi al Palais de la Porte Dorée), è un percorso spalmato su tre decenni di un’esaltante carriera segnata da una grande curiosità per le arti e le culture del mondo. Fino al 28 agosto.

Ri- disegnata e ri-pensata dal co-curatore Olivier Gabet, Direttore del Museo delle Arti decorative di Parigi, l’esposizione svela nuove prospettive sul lavoro del talentuoso designer attraverso una scenografia spettacolare estesa lungo i 2000 m² dell’Espace Ravel del Grimaldi Forum Monaco. Un filo rosso, del resto, lega da tempo Louboutin alla singolare storia del Principato: fu grazie a un incontro fortuito nel ’92 con la principessa Caroline che decise di aprire la sua prima boutique in rue J.J. Rousseau a Parigi.

La prima intuizione nel voler disegnare scarpe col tacco, aveva appena 11 anni, fu innescata da un cartello affisso in un museo non lontano dalla sua casa di Parigi, che indicava il divieto di camminare con i tacchi alti. La sinuosa linea di contorno del disegno rimase impressa in modo indelebile nella sua mente. Fino a diventare feticcio e ossessione. Posto al confine fra conscio e inconscio il feticcio, sappiamo, si concretizza in una singolare, irripetibile sintesi di intelletto e affettività. In questo sentimento di venerazione a “statuto speciale”, l’oggetto, nel momento esatto in cui è investito del suo ruolo, si dispone a divenire non più un oggetto qualunque, ma oggetto di culto.

Photo © Jean-Vincent Simonet pour Christian Louboutin

Grazie anche al lato fetish delle sue creazioni, il marchio Louboutin è effettivamente divenuto oggetto di culto per le donne di tutto il pianeta. Quasi un simulacro in grado di stimolare il desiderio e farsi intermediario unico dell’appagamento. Non a caso una sala della mostra è dedicata a creazioni del tutto inusuali, riprese da una serie di scatti del regista David Lynch, dove le scarpe immaginate non sono fatte per camminare, ma per raccontare altre storie evocanti fantasie sessuali, esibizionismi, feticismi, dominazioni, sado-masochismi. A chi gli chiedeva come pensava che una donna potesse camminare su quei tacchi vertiginosi, lui diceva “con queste scarpe non si può camminare. Si può solo stare sdraiate o sedute”.

Ma l’ispirazione di Louboutin parte da lontano, dalla sconfinata ammirazione per i sandali-gioiello indossati dalle ballerine delle Folies Bergères, per le décolleté tempestate di diamanti appartenute a Marlene Dietrich e viste per la prima volta nell’atelier di Vivier. Già allora (siamo negli anni ’80), inizia a disegnare modelli per ballerine di teatro, lavora con Charles Jourdan, collabora con Maison prestigiose come Chanel e Saint Laurent. Alla ricerca di qualcosa di nuovo per una collezione ispirata a Warhol e alla Pop Art, notò che una delle sue assistenti si stava dipingendo le unghie con uno smalto rosso fuoco. Ed ecco scattare l’insight “ho guardato quel colore e ho pensato di verniciare le suole di rosso, come statement di quella stagione”. Da quel momento non ha più smesso di farlo e oggi veste i piedi di star, principesse e regine.

Tra le prime clienti del suo atelier la principessa Carolina di Monaco. Seguita poi nel corso degli anni da star come Aretha Franklin, Rihanna, Dita Von Teese (che le indossa nel corso dei suoi spettacoli), Beyoncé, Blake Lively (alla quale ha dedicato la collezione), “Blake”, Madonna, Lady Gaga. La mostra è un teatrale, turbinoso viaggio tra i modelli più famosi. Alcuni veri e propri pezzi d’arte decorativa, concentrati soprattutto nella Stanza del Tesoro: qui uno scintillante susseguirsi di vernici, strass, piume, suole rosse.

14 sale tematiche per raccontare una vita spesa tra sapere tecnico e creatività. Dagli esordi della carriera passando per la sezione Nude, le calzature color carne concepite come un’estensione della gamba, Love, Helmut e Pigalle. Al centro della mostra la sala dedicata al Museo Immaginario: un omaggio a chi lo ispira e motiva. Un viaggio attraverso un dialogo di oltre 300 mq tra gli oggetti d’arte provenienti dal pantheon personale dello stilista, provenienti da civiltà e culture differenti. L’eredità dei Ballets Russes, l’influenza di Warhol e di Helmut Newton, ma anche la fascinazione per gli oggetti conservati nel NMNM e nel Museo oceanografico di Monaco.

Tra le molte opere che mettono in luce la sua passione per il mondo dell’arte e dello spettacolo c’è il copricapo indossato da Josephine Baker disegnato da André Levasseur e la scenografia realizzata da André Derain per il Balletto “Jack in the box” di Serge Diaghilev, in prestito dal Nuovo Museo nazionale di Monaco. Ci si imbatte in un teatro bhutanese e in uno spettacolo attorno a due ologrammi originali, quello dell’equilibrista Traoré e della ballerina-spogliarellista Dita von Teese. E su misura per Monaco la sala 12 mette in scena un progetto in 3 D in coppia con Allen Jones, icona della Pop Art britannica, rappresentazione di un’opera in costante evoluzione e di un nuovo ciclo di opere attorno a un teatro d’ombre e alla digitalizzazione di Cover Story proiettata su uno schermo lungo più di 11 metri .

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