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La personale di Pietro Roccasalva a Lugano è un labirinto di riferimenti e suggestioni

Pietro Roccasalva, Untitled, 2010, Inchiostro e acrilico su carta, 36.5 x 26 cm. Isoli Stefano
Pietro Roccasalva, Untitled, 2010, Inchiostro e acrilico su carta, 36.5 x 26 cm. Isoli Stefano
La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati presenta Chi è che ride, una mostra personale dell’artista italiano Pietro Roccasalva. A Lugano dal 18 settembre al 18 dicembre 2022.

50 opere, dalla fine degli anni Novanta ad oggi compongono la prima personale di Pietro Roccasalva in un’istituzione svizzera. Nel campo d’indagine dell’artista la pratica pittorica incrocia altri mezzi espressivi come scultura, fotografia, video e performance, all’insegna della contaminazione linguistica. Come altrettanti sono le dimensioni che l’artista intercetta e da cui prende ispirazione: dal quotidiano alla storia dell’arte, dal cinema, la letteratura e la filosofia alla cultura digitale e mediatica.

Ad aprire il percorso sono l’immagine dipinta di un gallo che indossa la divisa della guardia svizzera pontificia, Untitled (2011) e un’insegna al neon dipinta di nero che riproduce la scritta “chi è che ride chi”, tratta da una vecchia edizione italiana de Il Bafometto di Pierre Klossowski. Questa espressione, onomatopea del canto del gallo, è un malinteso che come un “ritornello” accompagna l’artista da più di 20 anni. Una frase enigmatica che come il canto di un gallo che annuncia l’alba ed esorta a fare, malgrado tutto. Un incipit che è anche manifesto del senso ultimo della mostra: riflettere sulla crisi del Soggetto, e dunque dell’identità, dell’immagine e della forma.

Pietro Roccasalva, From Just Married Machine, 2018, acrilico su tela, 194 x 160 cm. Collezione dell'artista. Foto: Todd White Art Photography
Pietro Roccasalva, From Just Married Machine, 2018, acrilico su tela, 194 x 160 cm. Collezione dell’artista. Foto: Todd White Art Photography

Per la prima volta troviamo insieme un gruppo significativo di opere pittoriche tratte da Just Married Machine #1, un tableau vivant del 2012 ispirato alla natura morta che apre il film La Ricotta di Pier Paolo Pasolini. Queste opere ritraggono una coppia di sposi all’interno di un paesaggio affollato di oggetti ideati e realizzati per il tableau vivant: osservando quella tavola imbandita, l‘artista la re-immagina con un meccanismo simile all’omofonia tra frasi di senso diverso in Raymond Roussel e sostituisce gli elementi di cui era composta con oggetti analoghi in scala umana e figure viventi – il canestro e il panneggio con una mongolfiera, il grappolo d’uva con una persona che porta dei palloncini, un fiasco di vino con una donna che impugna una racchetta, le teste d’aglio con dei grandi calici formati dall’assemblaggio di sanitari, e così via. In cima alla composizione, infine, sull’albero maestro di una strana imbarcazione c’è il gallo che si incontra all’inizio della mostra.

Il risultato è una scena con figure umane, animali e oggetti che ha la grandiosità delle composizioni sacre, storiche o mitologiche ma allo stesso tempo rimane una natura morta. Partendo da quella scena l’artista ha iniziato un ciclo di lavori in cui la visione che l’ha generata continua tutt’ora a fermentare, variare e ramificarsi. In mostra la restituzione pittorica di questo soggetto passa attraverso diversi momenti che ne raccontano la genesi e l’evoluzione, a partire dagli studi su carta nascosti sul retro delle Moleskine di Rear Window (2016) fino alle grandi tele che ritraggono la coppia di sposi Study from Just Married Machine (2018; 2019; 2022), e ai piccoli dipinti in bianco e nero della serie Hetalvó (2018). Questi ultimi nascono a loro volta da una installazione-tableau vivant del 2013 intitolata The Seven Sleepers, in cui sette studenti – gli stessi ritratti nei dipinti – erano stati invitati a disegnare un modellino in scala di Just Married Machine #1.

Pietro Roccasalva, La Sposa Occidentale, 2021, olio su tela, 72.7 x 57.3 cm. Collezione privata, Genova
Pietro Roccasalva, La Sposa Occidentale, 2021, olio su tela, 72.7 x 57.3 cm. Collezione privata, Genova

Il personaggio della sposa diventa protagonista di un’intera sala che mette insieme una selezione di trenta disegni inediti e una serie di dipinti recenti, intitolati La Sposa Occidentale (2021).

L’incontro tra maschile e femminile e la polarità tra animato e inanimato ritornano anche in The Argon Welder (2019), un ciclo che tematizza il gesto artistico. In particolare il suo potere di sublimare l’ordinario cambiando la sostanza delle cose. Protagonisti sono una rosetta – il tipico pane italiano presente anche in alcuni achrome di Piero Manzoni – e un calice realizzato dal calco di quel pane che dunque ha la sua stessa forma ma in negativo: due elementi che nella loro forma rivelano il fatto di essere stati accoppiati. Roccasalva dipinge gli oggetti in modo realistico, ma arrangiandoli in composizioni che li animano facendoli sembrare altro.

Dalle scene con oggetti e figure a una serie di dipinti apparentemente monocromi. Questi sono tutti d’après di celebri quadri futuristi, che l’artista ha realizzato mescolando i pigmenti dei dipinti originali fino all’ottenimento di un unico colore, così da portarli ad uno stato di entropia e calma finale.

Pietro Roccasalva, Fanfaro, 2014, legno dipinto, crocchetta di riso, 121 x 73 x 127 cm. Courtesy Zeno X Gallery, Antwerp. Foto: Agostino Osio
Pietro Roccasalva, Fanfaro, 2014, legno dipinto, crocchetta di riso, 121 x 73 x 127 cm. Courtesy Zeno X Gallery, Antwerp. Foto: Agostino Osio

Una delle immagini più iconiche del repertorio di Roccasalva è quella di Giocondità, una cattedrale inabitabile e acefala con al posto della cupola uno spremiagrumi che ruota con la luce del giorno, visualizzando l’entropia e la graduale morte del sole. La cattedrale che tradizionalmente dà senso e ordine a tutto, ha una cupola che nello stesso tempo frantuma e dissolve quel senso e quell’ordine. In mostra una sequenza di sei dipinti – parte di un ciclo pittorico più ampio che proviene da un’animazione digitale del 2002 – ritrae la cattedrale da diversi punti di vista e in vari momenti della giornata, dall’alba al tramonto. Proprio come Monet.

L’ultima opera è Fanfaro (2014): un fanciullo che gioca a mordere la coda di un varano, il quale a sua volta tiene tra gli artigli un arancino, elemento che ricorre nel lavoro dell’artista come immagine del sole morto. La scultura sembra il rovesciamento del Ragazzo morso da un ramarro di Caravaggio ma evoca tanto altro, per esempio il Putto sopra un Drago di Bernini, il drago cinese con la sfera fiammeggiante, ma anche il fanciullo-faro di cui parla Duchamp negli appunti su Il grande vetro.

La mostra dunque inizia con il sorgere del sole e finisce con la sua morte. Tra i due estremi c’è un percorso che è simile a un viaggio in un “mondo intermedio”, affollato di visioni tra le quali l’artista si fa spazio con ogni mezzo a disposizione. Primo fra tutti la pittura.

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