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Le cose che accadono, un nomadismo capace di produrre luoghi fluidi. Il testo critico della mostra

Andrea Martinucci, installation view Le cose che accadono, 2022. Ph. Paolo Semprucci
Nicolò Cecchella. Occhi, 2019, fusione in ottone. Ph. Paolo Semprucci

Fano, Pergola e Milano, le tre tappe della mostra LE COSE CHE ACCADONO degli artisti Nicolò Cecchella, Andrea Martinucci, Davide Serpetti e Caterina Erica Shanta, a cura di Luca Zuccala, Caterina Angelucci e Andrea Tinterri. La mostra è l’esito della Residenza Lido La Fortuna promossa dall’Associazione Culturale Lido Contemporaneo in collaborazione con il Comune di Fano Assessorato alla Cultura e Beni Culturali e Fabbrica Urbana.

Di seguito il testo critico integrale che accompagna l’esposizione.

Probabilmente quando si esaminano gli esiti di una residenza (progetto – mostra – opera) è necessario approfondire quel passaggio temporale e spaziale in cui si concentra l’esperienza stessa, ossia il luogo e il tempo della produzione. Per dieci giorni Nicolò Cecchella, Andrea Martinucci, Davide Serpetti e Caterina Erica Shanta hanno convissuto nella città di Fano, abitando palazzo Montevecchio, una residenza del XVIII secolo. L’obiettivo, seppur in una prospettiva progettuale indipendente da qualsiasi costrizione, è una proposta dialogica con il territorio marchigiano e in modo particolare con la città di Fano. Ma qual è il luogo della restituzione? Qual è il luogo con cui instaurare un dialogo e proporre uno scambio generatore? La città e il territorio in cui essa si estende non esauriscono il luogo della residenza, anzi sono il pretesto per la formulazione di una nuova proposta spaziale.

A questo punto è necessario chiarire e distinguere, se possibile, i termini territorio e luogo, e in modo particolare proporre una definizione di luogo relazionale: il territorio viene associato ad uno spazio fisso e stabile, storicamente controllato e regolato dal potere dello Stato – nazione, mentre il luogo come spazio relazionale viene associato ad uno spazio flessibile, mutevole plurimo, dove la società può svilupparsi liberamente e pienamente, al di là dello stato. Prodotto della moderna logica cartesiana e newtoniana, il territorio viene buttato a mare per fare posto ad una nozione di luogo consonante con i dettati della condizione postmoderna, in cui il collasso di ogni misura certa e stabile a favore di caratteri di ibridità, eterogeneità, frammentazione e indeterminatezza (Marco Antonsich, Territorio, luogo, identità, in GEO_GRAFIA. Strumenti e parole, a cura di Elena Dell’Agnese, Edizioni Unicolpi, Milano, 2009). Distinzione utile e forse necessaria per stabilire lo sconfinamento della residenza e la messa in discussione del concetto di territorio. Questo non significa negare il condizionamento della storia e del paesaggio individuati come riferimento culturale, ma considerare il costituirsi di un luogo relazionale prima inesistente, individuabile nella residenza stessa, ossia in quella ristretta comunità (temporanea) accomunata da una tensione generativa comune.

Andrea Martinucci, installation view Le cose che accadono, 2022. Ph. Paolo Semprucci

I quattro artisti, i curatori e le persone parte del progetto stabiliscono la presenza di un luogo prima inesistente. La residenza diventa un organismo complesso i cui esiti oscillano tra osmosi territoriale e relazioni interpersonali. Questa tensione antitetica è evidente, ad esempio, nell’esperienza progettuale di Martinucci che per l’occasione inaugura la ricerca Le Suite una discesa nei piani più profondi della mia interiorità per accedere alle stanze più preziose fatte di desideri, emozioni e paure che chiedono di essere abitate con un’esperienza diversa. Le Suites sono un’immersione dentro i vari stati della visione e la fredda consapevolezza di un tempo senza scansioni. Le Suites sono le emersioni di episodi personali che vengono continuamente trattati, sovrascritti, riproposti, affinché la forma e le modalità di espressione non si esauriscano in un’unica narrazione ma in narrazioni molteplici in grado di abbracciare la mente collettiva. Martinucci pone come elemento centrale della progettualità marchigiana una grande tela (208 cm x 345 cm) in cui le stratificazioni pittoriche diventano metafora, appropriazione di ricordi, lacerazioni che si palesano in un atto maieutico. Ma tale processo, seppur confidenziale, ha bisogno di essere ritualizzato e reso collettivo. Ecco che piega la tela riponendola in una valigia con cui cammina per la città, come se la storia di quest’ultimo potesse aderire all’opera in una sorta di lenta osmosi. E contemporaneamente, durante una gita in barca con gli altri membri della residenza, immerge la tela in mare: un battesimo in presenza di pochi testimoni (luogo relazionale).

Caterina Erica Shanta. Calante, 2022, installation view, mixed media. Ph. Paolo Semprucci

Riferimenti evidenti al territorio, inteso come depositario di segni distintivi e caratterizzanti, compaiono invece nell’opera di Caterina Erica Shanta e Nicolò Cecchella. Calante di Shanta è un progetto installativo tripartito; un’ipnotica proiezione video del mare si contrappone ad un disegno di grafite che restituisce la porta d’acqua, ossia quello spazio liminale che funge da accesso e condivisione. Ad occupare quella soglia tra immagine in movimento e disegno, una traccia audio, il Tirreno nella sua sublimazione sonora costringe lo spettatore ad una tensione alla caduta, una perdita di equilibrio, dove la terra cade nel mare. Perché Calante rivela quel processo inesorabile di erosione costiera, la costanza dell’acqua che batte e rimodella i confini terrestri, un’erosione che il cambiamento climatico ha trasformato in emergenza globale abbattendo, anche in questo caso, ogni distinzione regionale, ma contemporaneamente racconta dell’uomo costretto a costruire accessi, porti, intersezioni: una rinegoziazione costante che muta il paesaggio, percuotendolo lentamente. Ma anche in questo caso il progetto di Shanta è sovraterritoriale, elabora un’idea di soglia che percorre qualsiasi confine acquatico, quasi fosse la sintesi di un bisogno ricorrente che puntella la Storia, la necessità di trovare punti d’accesso per la navigazione, lo scambio di merci ma anche, o forse soprattutto, la fuga, la perdita, per galleggiare su superfici liquide, increspate e instabili.

Caterina Erica Shanta. Calante, 2022, disegno grafite su cartoncino nero 100x70cm. Ph. Paolo Semprucci

Cecchella sviluppa una ricerca in cui la scultura si fa dispositivo fotografico, una retina che palesa la storia del proprio vissuto: una membrana in gomma, delimitata da una sottile cornice in acciaio che consente la verticalità dell’opera. Un dispositivo che trattiene, imprigiona, sospende frammenti del territorio stesso. I Diaframmi sono la naturale prosecuzione dell’opera video Solo con occhi, o meglio, sono l’addentrarsi di quegli occhi. Il punto in cui lo sguardo ha potuto fissarsi mettendo a fuoco il visibile fino a raggiungere l’elisione di quell’occhio, che era il centro speculare della prima opera, in favore del reale. Un reale che, in questo caso, viene materialmente richiamato e posto al centro dell’opera. In questo senso i Diaframmi sono il farsi materiale dello sguardo. In una pellicola di gomma lattice ambrata, posta all’interno di un telaio metallico, sono impressi e imprigionati alcuni frammenti di materialità profonde. La terra e la polvere provenienti dallo scavo archeologico di un insediamento romano sono mescolate alla sostanza calcarea delle conchiglie frantumate. La struttura biologica rigida posta a protezione del corpo molle dell’animale, composta dalle sostanze che questo sintetizza dal mare, viene frantumata, polverizzata e unita ai resti organici e inorganici di una civiltà umana. Queste due temporalità si ricongiungono e si saldano in quella che potremmo definire una finestra temporale, una membrana carsica, una palpebra, una diapositiva geologica che posta controluce permette allo sguardo, per un momento, di depositarsi oltre la sua stessa soglia.

Nicolò Cecchella. Narciso Inverso, 2022, fusione in alluminio e acqua marina. Ph. Paolo Semprucci

Ma da evidenziare, oltre ai lavori in mostra, è la collaborazione sviluppatasi tra i due artisti (Cecchella – Shanta) che oltrepassa il tempo della residenza confermando il concetto di luogo relazionale, come spazio fluido che si affranca dai confini territoriali politicamente definiti. La residenza diventa incubatore, forma generativa dai cui nascono protesi progettuali autonome e indipendenti.

Davide Serpetti, Le cose che accadono, 2022. Installation view. Ph. Paolo Semprucci

Ancora diverso il caso di Serpetti che osserva la città ma da esiliato volontario; lavora all’interno di palazzo Montevecchio e i riferimenti storici e culturali che compaiono sulla tela sono rimandi iconografici indiretti: letture, racconti orali, reminiscenze visive, pitture parietali inscritte nel palazzo stessoLa residenza è un lasso di tempo in cui accadono cose che altrimenti non sarebbero successe ed in questa scenografia temporale trovo lo spazio per la sperimentazione di nuove idee. Quando penso alla residenza mi viene in mente il termine filosofico eterotopia, probabilmente una possibile definizione. Serpetti sviluppa una serie di tele, Cronache di Cielo e Terra, che ibridano personaggi fanesi, animali locali leggendari, antiche icone cittadine, alle fattezze dell’ecce puer di Medardo Rosso, opera con cui l’artista dialoga spesso, cogliendone le fattezze androgine e fluide. Ad esempio Casanova, che probabilmente passò e alloggiò nel palazzo, diventa un’icona malleabile i cui tratti si confondono attraverso una pennellata liquida che si spande sulla tela. Oppure ancora l’opera Falling che evoca una tragica tradizione del palazzo le cui scale sono state oggetto di voli suicidi, anche in questo caso la figura rappresentata non rivela la propria appartenenza di genere, ma si fa portavoce di un lamento, di uno stupore, di un territorio i cui limiti sono sciolti e volutamente evanescenti. Quindi, seppur all’interno di un isolamento spaziale che però non ha impedito il confronto con gli altri artisti, anche Serpetti attraverso precisi riferimenti iconografici e grazie ad una pittura liquefatta, mette in discussione, metaforicamente, il concetto stesso di territorio come spazio fisso e stabile, storicamente controllato. In questo modo i ritratti di Serpetti si elevano a sintesi concettuale di un’esperienza collettiva, in cui il luogo è spazio ipertrofico.

Andrea Martinucci. Mezzanotte, 2022, acrilico e grafite su tela di cotone, 59x41x6 cm. Courtesy l’artista. ©Andrea Martinucci. Ph. Paolo Semprucci

Quindi cos’è successo in questo limitato lasso di tempo che ha visto quattro artisti restituire le prove di una permanenza? È impossibile tracciare una rotta condivisa, gli esiti delle ricerche non presentano punti di contatto se non sporadici e probabilmente ininfluenti ai fini di un’esamina definitiva. Ma rimane una sottotraccia che evidenzia uno strappo, una fenditura che incrina l’unità territoriale da cui ha avuto origine l’idea di residenza. Della città di Fano rimangono delle tracce di resistenza culturale, ma i lavori sembrano emanciparsi da una territorialità circoscritta. Le progettualità espresse risultano un attraversamento, l’espressione di un nomadismo capace di produrre luoghi fluidi, forse fragili, su cui la comunità (residenza) lascia segni temporanei ed effimeri, disposti a modificare la loro forma. Forse a scomparire.

Andrea Tinterri

Davide Serpetti, Maverick (dettaglio), 2022, olio acrilico e spray acrilico su tela, 100×120. Ph. Paolo Semprucci

Le cose che accadono.
Nicolò Cecchella, Andrea Martinucci, Davide Serpetti, Caterina Erica Shanta.

20 agosto – 8 settembre 2022 -Fano (PU), Fabbrica Urbana, Palazzo Montevecchio
11 – 30 settembre 2022 – Pergola (PU), Casa Sponge
6 – 18 ottobre 2022 – Milano, Artcurial

www.lidocontemporaneo.com

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