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Ultimi dieci giorni per visitare i marmi Torlonia alle Gallerie d’Italia di Milano

Sequenza dei busti-ritratto raffiguranti personaggi illustri della Roma antica della Collezione Torlonia
Sequenza dei busti-ritratto raffiguranti personaggi illustri della Roma antica della Collezione Torlonia
La più grande e importante collezione privata di arte antica è ancora per qualche giorno in mostra a Milano. I marmi Torlonia, 96 pezzi raramente esposti al pubblico, sono alle Gallerie d’Italia di Milano fino al 18 settembre 2022.

Gli scorsi mesi sono stati irripetibili per i musei di Intesa San Paolo. L’apertura della nuova sede di Gallerie d’Italia in Piazza San Carlo a Torino, dedicata interamente alla fotografia; l’apertura della nuova sede del museo a Napoli in Via Toledo; e, infine, una delle più spettacolari mostre mai allestite nella sede milanese di Gallerie d’Italia in Piazza della Scala.

Il 18 settembre si chiude la colossale mostra dedicata alla più grande collezione privata di arte antica esistente al mondo: la raccolta della famiglia Torlonia, composta in totale da oltre 600 pezzi. Un progetto scientifico curato da Carlo Gasparri e Salvatori Settis, tradotto in un progetto di allestimento senza eguali. Composta da ben 96 pezzi, tutti appositamente restaurati con il contributo di Maison Bulgari, la mostra milanese, già allestita nei mesi passati alla Villa Caffarella dei Musei Capitolini di Roma, è un’occasione unica di ammirare i marmi di età romana che, solitamente custoditi in un deposito di proprietà della famiglia, non sono normalmente fruibili. Il Museo Torlonia, fatto erigere nel 1875 dal Principe Alessandro Torlonia, è infatti stato chiuso al pubblico allo scoppio secondo conflitto mondiale e, da allora, mai più riaperto.

Invito alla danza, replica di un originale greco
Tre livelli di lettura

Il primo è quello relativo alla bellezza qualitativa delle opere, che spaziano da busti-ritratti, a statue a tutto tondo, a possenti atleti, a sarcofagi monumentali, a vasche per fontane. Si pensi, ad esempio, alla crudezza estremamente realistica del busto del Vecchio di Otricoli, datato attorno al 50 a.C., superbo esemplare della ritrattistica di età repubblicana; o alla misteriosa bellezza della Fanciulla di Vulci, un tempo policromatico e polimaterico; o ancora la Venere accovacciata, copia di un esemplare greco, interamente conservata in originale; o, infine, la sequenza cronologica dei busti-ritratti effigianti i personaggi illustri della Roma antica, dall’età repubblicana a quella imperiale, esposti scenograficamente a emiciclo nel salone centrale.

Il secondo riguarda la storia collezionistica dei pezzi. La raccolta Torlonia è infatti a tutti gli effetti una “collezione di collezione”, in quanto comprende pezzi provenienti o dall’acquisto di altre raccolte antiche (quella del cardinale Alessandro Albani o quella seicentesca del marchese Vincenzo Giustiniani) oppure dall’intensa attività di scavo promossa dalla famiglia all’interno delle sue vaste proprietà terriere. È proprio dagli scavi che sono forse state riportate alla luce le opere più significative, come un affascinante gruppo scultoreo composto da un Satiro danzante e una Ninfa o il Rilievo votivo di Porto, raffigurante quello che un tempo fu il porto imperiale.

Venere accovacciata e Caprone con testa di Bernini

Il terzo livello, quello forse più complesso e sottile, concerne il restauro. Tutti i pezzi della collezione hanno infatti subìto più o meno pesanti interventi di integrazione e restauro, soprattutto tra Seicento e Ottocento. Sono dei falsi storici? Hanno meno valore? Assolutamente no. La mostra intende infatti esaltare – e non sminuire – tali interventi, in quanto rispecchiano il gusto artistico in voga al tempo.

Un tempo infatti il restauro non era di tipo conservativo (come oggi), ma di tipo integrativo: andava cioè a colmare lacune e a completare frammenti che non piacevano allo sguardo contemporaneo. L’esposizione si configura dunque sia come una mostra di arte antica, sia come una fotografia del gusto estetico di età moderna. Si pensi ad esempio all’integrazione subìta dal Caprone, la cui testa è stata fatta realizzare nel Seicento da niente meno che Gian Lorenzo Bernini. Mirabile ed eccezionale è la scelta di esporre un pezzo, significativamente l’ultimo, la Leda col cigno, in tre fasi di restauro, proprio per far comprendere al meglio al pubblico l’importanza che assumono per il pezzo i vari interventi di restauro, che diventano parte integrante della storia dell’opera stessa. La statua, forse ancora più suggestiva in queste condizioni, vuole anche far soffermare l’osservatore sull’importanza della conservazione e della valorizzazione del nostro patrimonio culturale.

Vecchio di Otricoli
Fanciulla di Vulci, 50-40 a.C.

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