Va fatto con attenzione il percorso silenzioso delle fiabe di Francesco Casorati. Sono composizioni a olio e in acrilico, in tutto una trentina di opere, godibili sino il 13 novembre a Palazzo Lomellini di Carmagnola.
Si tratta di un ventaglio di narrazioni chiuse e concluse, realizzate da un intellettuale del segno e del colore. È stato esecutore di campiture meditate e rigorose di scuola classica, quella dell’Accademia Albertina di Torino, dove fu allievo, poi docente e direttore. Era nato a Torino il 2 luglio 1934, dove è mancato il 18 febbraio 2013. La sua storia creativa ha inizio negli anni ’50, quando prende coscienza degli orrori dalla guerra appena terminata. Lo testimonia la composizione La Torre di Babele, del 1952, metafora visiva distante anni luce dalla sirena del Realismo Socialista, imposta dal Partito Comunista in voga in quegli anni.
Francesco Casorati non ha mai permesso al suo innato talento di aderire nemmeno alle neo avanguardie susseguitesi poi a livello sia locale che internazionale: Informale, Arte Povera, Pop Art. Si è tenuto appartato, sorridente ed elegante come a Londra Graham Sutherland, con la fortuna di avere alle spalle la galleria Marlborough. L’unico grande mercante in Italia che ha perso l’occasione di inserirlo tra i suoi è stato Gian Enzo Sperone, che non aveva ben captato fino a che punto la sua arte fosse Concettuale.
Una concettualità individuabile, in Palazzo Lomellini, nelle ricerche in acrilico, stesure atonali dove Francesco Casorati ha realizzato componimenti di fredda assenza oggettiva, come Labirinto di carta del 1984. Il ritorno alla pittura intuitiva a olio gli permetterà pagine espressive di fortunose vibrazioni cromatiche e poetiche, come in Sette barche e tre pesci, del 2010. Figura appartata, ma presente in questo omaggio espositivo è Paola Zanetti, consorte di Francesco, sapiente nel curarne la memoria.
A Pavarolo, sulla collina adiacente alla città di Chieri, Zanetti ha ristrutturato Villa Casorati, costruita negli anni fra le due guerre, per farne un Museo. È un’ampia costruzione con un bel giardino alberato; qui sono stati riuniti dipinti tematici di Felice Casorati, il padre di Fancesco; sono esposte anche opere di sua madre, la pittrice inglese Daphne Maugham – nipote dello scrittore Somerset; e infine le sua fiabe esistenziali di pesci e di farfalle. Orto non era, ma reliquiario: questo verso di Eugenio Montale mi sembra perfetto per celebrare la colta civiltà di una famiglia di artisti, di cui Francesco è stato l’ultimo degno erede.