La recensione di Hamlet Puppet, la ballad-perfomance sulle vicende dell’Amleto viste con lo sguardo dello Spettro del padre andata in scena alla Tosse di Genova domenica 25 settembre
Michela Lucenti è sempre stata attratta dai testi shakespeariani da cui ha tratto materia e ispirazione per molti dei suoi riuscitissimi spettacoli. Ricordiamo Killing Desdemona del 2016, Before break (che prende spunto da La Tempesta) anch’esso del 2016 e L’amore segreto di Ofelia del 2010. Ed è ancora una volta Amleto ad intrigare la regista – coreografa, capofila della formazione di danzatori-attori significativamente denominato Balletto Civile, per questa sua ultima produzione intitolata Hamlet Puppet. Presentato domenica 25 settembre alla Sala Trionfo del Teatro alla Tosse di Genova, lo spettacolo ha una forte impronta musicale e nasce dall’incontro artistico tra la Lucenti, Paolo Spaccamonti, Giorgina Pi e Valerio Vigliar. Una ballad-perfomance sulle vicende di Amleto viste con lo sguardo dello Spettro del padre.
Come da un po’ di anni a questa parte Michela Lucenti offre un prodotto che unisce parola, canto, musica recitazione e danza, sullo sfondo di immagini video, fondendo varie forme d’arte tese a un medesimo scopo: riflettere e far riflettere sull’essenza della vita. Straordinario il suo modo di usare la voce. Il suo lavorare con le corde vocali ha un effetto pulsante, un flusso continuo di suoni che evocano lamenti, ma sono anche grida, esortazioni a capire cosa ci sta dietro quelle esclamazioni viscerali. Le è di sussidio la chitarra elettrica sul perfetto disegno sonoro di Tiziano Scali e Paolo Panella, ed ecco che dalle distorsioni della chitarra-cardiogramma nascono delle songs, che diventano dei ritornelli che si fissano nella testa dello spettatore.
E mentre la Lucenti “racconta”, sul fondo del palco c’è lui, Hamlet, un pupazzo smarrito che corre freneticamente, cade, si rialza, corre ancora e si ributta con un’energia invidiabile che sorprende. Straordinario il performer, prima avvolto da una pelliccia che poi toglie rimanendo in mutande a perlustrare il percorso della sua vita, la sua ricerca di sè. In un soliloquio in una specie di grammelot, la lingua con cui Dario Fo mescolava diversi dialetti lombardo-veneto-friulani con la memoria del parlare dei giullari medievali, Hamlet dimostra quanto sia difficile vivere con quel grosso fardello: la morte del padre ad opera dello zio e della madre. E così lo spettacolo della Lucenti indaga, decostruisce e riassembla il famoso monologo shakespeariano alla fine del primo atto. Un Amleto che a sua volta diventa fantasma di se stesso, un fantoccio del teatro, uno spaventapasseri che guarda il mondo, cercando di capire quale sia la sua eredità.
Lo spettacolo si chiude con una danza in stile orientale ad opera di Michela Lucenti. Bella, perfetta, elegante con un grosso ventaglio in mano la Lucenti si impadronisce della scena a passi di Nihon-buyo. Prendendo in prestito alcune movenze del Kabuki dimostra la perfetta padronanza dell’arte della danza che non ha distinzioni di genere, ma semplicemente è.
Lo spettacolo è una Produzione Balletto Civile – Bluemotion/Angelo Mai – Blucinque, in collaborazione con ERT Emilia Romagna Teatro e con il sostegno di MIC.