È facile pensare che i progetti più interessanti nascano all’interno di realtà grandi e consolidate, in città come Milano, Roma, Napoli, Torino e Venezia. Si tende a credere che ciò che accade al di fuori dei contesti centrali per l’arte contemporanea italiana sia meno meritevole di essere approfondito.
L’Italia non è le sue grandi città; un progetto come Two Hours Ago I Fell In Love apre spazi nuovi, guarda al contesto della riviera romagnola, in particolare a Rimini, per aprire uno spaccato storico completamente inedito.
Sveva Crisafulli, Alice Minervini e Ilaria Leonetti hanno dato vita a un festival svoltosi dal 26 al 28 agosto 2022 nell’ex Colonia Novarese a Miramare (Rimini), ospitando più di venti artisti e collaboratori provenienti da paesi diversi, articolando una programmazione con performances, workshops, talks e confronti volti a enfatizzare un lavoro di cura collettivo.
Abbiamo dialogato con loro per meglio scoprire questa esperienza.
Come mai avete deciso di chiamare il progetto all’interno di una ex colonia fascista Two Hours Ago I Fell in Love?
Patrizia Cavalli è una poetessa Italiana poco conosciuta nel nostro paese, indaga la complessità dell’amore e del senso di appartenenza nel contemporaneo senza risposte definitive. Dopo aver scoperto le sue poesie a Londra, abbiamo scelto di dedicarle il nostro progetto poche settimane prima della sua morte. Il titolo, tratto dall’omonima poesia Due ore fa mi sono innamorata, enfatizza l’attualità della nostra indagine, non solo la sua rilevanza storica e allo stesso tempo da voce a quelle soggettività e sentimentalismi spesso marginalizzati in quanto ‘femminili’ o ‘altri’ rispetto a canoni patriarcali.
Il format festival è senza dubbio un elemento caratterizzante del progetto: perché la scelta di questa modalità e non una mostra più tradizionale?
Il nostro obiettivo è quello di aprire un dibattito, al contempo introspettivo e collettivo, sui retaggi del fascismo nell’immaginario dell’identità di genere, sesso e amore. In contrapposizione alla funzione dogmatica delle colonie marine, il format del festival ci ha permesso di aprire la conversazione a più voci e tipi di partecipazione in modo interdisciplinare e comunitario attraverso installazioni, performances, sharing practices e dj-set. Per noi è importare creare uno spazio dinamico che metta al centro il piacere come pratica di resistenza e dia spazio a forme di conoscenza situate e collettive, sensuali e sensibili. Ci siamo ispirate all’idea di erotic power come descritto da Audre Lorde, l’erotismo come forza di conoscenza interiore, gioia e connessione con gli altri. Il format del festival, di una grande festa, ci sembrava il modo più coinvolgente per iniziare questo processo di decostruzione. Speriamo che il festival sia solo l’inizio di incontri, amori e ibridazioni che continueranno anche in futuro.
La Colonia Novarese è un luogo estremamente caratterizzato da un punto di vista storico, quali sono state le difficoltà e le sfide concettuali in quello spazio?
Riabitare la ex Colonia Novarese, a livello concettuale, è stato un lungo processo di ricerca legato alle possibilità di recupero dell’architettura fascista. La domanda che ci siamo poste inizialmente è stata: Come è possibile riabitare degli spazi così connotati storicamente? Quali possibilità emergono quando si esclude la musealizzazione o la totale distruzione di questi luoghi? Two Hours Ago I Fell in Love è una risposta all’attuale stato di abbandono di tali architetture, all’incapacità italiana di affrontare il proprio passato. Il nostro progetto non vuole porre una soluzione al problema, ma aprire un dibattito sul recupero dell’architettura fascista soprattutto in un momento storico di emergenza abitativa come il nostro.
La ex Colonia Novarese è stata edificata nel 1936 per ospitare i bambini della classe lavoratrice durante il regime ed educarli ai valori del “nuovo uomo fascista” attraverso una ferrea struttura delle giornate e attività sportive e militari: i bambini dovevano eseguire il saluto fascista al cospetto della bandiera italiana. In questo contesto, Two Hours Ago I Fell in Love è un tentativo di risignificare lo spazio attraverso pratiche performative e momenti comunitari accessibili a soggettività femme e queer, un ribaltamento dell’educazione militare delle colonie nella propaganda fascista.
È una scelta molto interessante quella di “decostruire i retaggi fascisti nell’immaginario contemporaneo dell’amore, identità e sesso”. Come mai avete scelto questa angolatura?
Il nostro progetto nasce da un’esigenza collettiva che è emersa dal confronto e l’unione di più ricerche e soprattutto dalle nostre esperienze personali. Anni di studio a Londra e Berlino ci hanno permesso di guardare alle nostre vite da prospettive più distaccate, ci siamo ritrovate a riflettere sulle aspettative di genere e sull’oggettificazione dell’amore e della sessualità tipicamente Italiano e a investigare le origini e retaggi culturali di queste visioni, dalle influenze cattoliche all’eredità fascista, fino ai giorni nostri. Qual è l’impatto del passato fascista e del presente coloniale sul nostro modo di vivere gli affetti e il sesso? In che misura le loro eredità taciute influenzano i nostri orizzonti, i nostri corpi e la nostra salute mentale?
Questo processo ci ha portato a demistificare molte concezioni che davamo per scontate, cresciute nell’Italia berlusconiana, e ha fatto emergere la necessità di riportare i nostri attraversamenti, esperienze di vita e studi fatti all’estero nel contesto dove siamo cresciute.
Partendo dal motto fascista “sanx, robustx, fecondx”, che vedeva le donne come mere procreatrici di prole ed escludeva qualsiasi altra forma di sessualità e di corpo che non desse vita a soldati per la nazione, l’occupazione materiale e simbolica della Colonia Novarese diventa un’occasione per riflettere sulle politiche sistemiche dell’amore e del sesso oggi. Uno spazio di convivialità, di sentimentalismi e pratiche di condivisione; una festa per tutte le vite e gli amori cancellati per dispiegare futuri alternativi.
L’evento è durato tre giorni e ha coinvolto più di venti artisti provenienti da diversi paesi. Come sono stati selezionati gli artisti? Quale il filo rosso che li collega?
Molti artisti sono stati scelti in base a incontri di vita, confronti e ricerche che vanno avanti da anni, con la maggior parte abbiamo condiviso corsi di studi ed esperienze lavorative. Tutti gli artisti a loro modo risuonano con una riflessione sui totalitarismi dilaganti e portano avanti contro narrazioni e immaginari alternativi di amore e identità queer. L’idea era di far incontrare diverse realtà, italiane e internazionali, che si battono per gli stessi ideali e creare connessioni tra ambienti e contesti diversi. I DJ set curati da Alice Minervini e Lorenzo Camera sono nati dalla volontà di unire una ricerca internazionale in dialogo con artisti e sound della Riviera.
Come è stata percepita dalla città di Rimini questa serie di eventi?
Come si può immaginare, lungo il percorso di sviluppo del festival abbiamo incontrato e avviato scambi con tantissime persone sul territorio riminese che hanno accolto il progetto in maniere completamente diverse. Se da un lato abbiamo riscontrato tantissima resistenza per le tematiche che il festival voleva far emergere, in particolare in vista della ricerca di un supporto economico da parte di realtà locali, siamo grate per il sostegno ricevuto da tutte le persone che hanno creduto nel progetto sin dall’inizio. Una soddisfazione è proprio quella di aver avuto la possibilità di incontrare persone che sposano i nostri ideali e che senza il festival non si sarebbero mai incontrate. Anche in un territorio difficile e poco preparato come quello di Rimini abbiamo visto riunirsi persone provenienti da background completamente diversi all’interno della Colonia Novarese, avviare scambi e relazioni che non avremmo mai potuto immaginare, da quello fra giovani artisti provenienti da tutta Europa e una signora nata all’interno della Colonia Novarese che è tornata tutti i giorni del festival, ad amici da tutta Italia che sono venuti a supportarci. Durante l’evento, molte persone erano spaesate per tutto ciò che stava accadendo (performances, talk o semplicemente l’allestimento nello spazio), ma abbiamo ricevuto tantissimo entusiasmo anche da parte di chi si approcciava per la prima volta all’arte contemporanea.
L’evento è concluso, con il senno di poi, cosa ha funzionato? Cosa vi sarebbe piaciuto fare ma non siete riuscite, o magari vi sarebbe piaciuto cambiare?
Questo festival è stato un po’ un sogno per noi, e col senno di poi ci sono tantissimi aspetti che abbiamo sottovalutato, soprattutto rispetto al contesto della ex colonia e alla sua difficoltà come spazio sociale. Eppure, solo il fatto di essere riuscite a realizzare il festival a partire da zero, vedere l’entusiasmo delle persone riunite lì, ballare insieme e imparare gli une dagli altri, è stata una
grandissima gioia e soddisfazione. Ci sono tantissime persone che vorremmo ringraziare e senza il loro supporto e cura non saremmo mai riuscite a portare avanti la nostra visione. Non crediamo nell’idea di ‘safe spaces’ ma di ‘safer spaces’ e speriamo che il festival sia l’inizio di contronarrazioni e resistenze a venire.
Rispetto al futuro, ritenete concluso il progetto o ci saranno altre attivazioni prossimamente?
Vista la prerogativa della nostra ricerca e, tristemente, la sua contemporaneità, all’alba delle elezioni politiche, non possiamo ritenere concluso il nostro progetto. Ci stiamo prendendo del tempo per riflettere sulle prossime iterazioni di Two Hours Ago I Fell in Love e su come dare spazio a necessità e visioni diverse.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Bianchessi per Forme Uniche.
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