Gli oggetti (giunti in prestito o realizzati da Factum Arte) ideati da Giulio Romano sono in mostra accanto ai dipinti, i disegni e le bozze che li hanno ispirati. Giulio Romano. La forza delle cose è a Palazzo Te di Mantova, dal 8 ottobre 2022 all’8 gennaio 2023.
C’è stata un’epoca in cui Mantova era l’avamposto del design europeo. Era l’epoca di Giulio Romano. Espressione totale dell’arte e della tecnica mantovana, egli fu artista e architetto, pittore e, realizziamo oggi, anche designer. Senza forzature o storture, la variegata attività di Romano alla corte dei Gonzaga ricadeva benissimo in questa definizione dall’impronta moderna. Chiamato (ma anche istintivamente spinto) dai sovrani a realizzare preziosi oggetti d’uso, l’artista riuscì a trovare vaste e variegate soluzioni per unire gli elementi funzionali con quelli ornamentali. Assecondando dunque quella coesistenza tra utilità e validità estetica che ancora oggi caratterizza il design. Tranne che, al tempo, eravamo nel 1500.
Un frangente storico in cui a Mantova Federico II di Gonzaga era determinato a rinnovare l’immagine di Mantova, prendendo le distanze dal gusto dei suoi genitori Francesco II Gonzaga e Isabella d’Este. Così iniziò a commissionare oggetti su oggetti che, al pari di un’opera d’arte o d’un capo prezioso, erano utili a ostentare la ricchezza e il potere del committente. Desiderio collezionistico che incrociava l’inesauribile capacità inventiva di Giulio Romano.
Il risultato furono una serie sterminata di oggetti, dei più disparati. Armi, oggetti decorativi, vasi, brocche, anfore, centrotavola, statuette, pinze, posate, coppe, saliere. Spesso in argento, impreziositi da decorazioni animali e vegetali. Ma non solo. Mentre gli artisti e gli orefici quattrocenteschi avevano essenzialmente applicato la decorazione al corpo, per esempio, del vaso, Giulio Romano fuse gli elementi funzionali, quali basi, manici e coperchi, con quelli ornamentali, producendo opere altamente innovative in cui forma, funzione e decorazione erano coniugate in un’unità inscindibile.
Elementi decorativi, sia animali sia vegetali, sotto il suo ingegno si trasformavano in componenti strutturali e funzionali. Forme lunghe e flessibili si prestavano particolarmente bene a tale scopo. I serpenti erano spesso adoperati come manici. Anche il collo del cigno poteva assolvere simili compiti. Lo vediamo bene in una brocca destinata al cardinale Ercole Gonzaga dove il collo di un cigno funge da ansa. Significativi anche un paio di pinze a forma di testa di anatra. Il suo becco lungo e accogliente diventa lo strumento con cui prendere la pietanza, e nel farlo mima l’atto stesso dell’anatra di mordere il cibo. E così si compie un ulteriore passo: non solo decorazione, non solo funzione e decorazione, ma funzione, decorazione e anima.
Tali soluzioni, complesse e giocose al tempo stesso, miravano quasi a dare vita alle opere, ne manifestavano lo spirito vitale. Il serpente marino lasciava sgorgare l’acqua dalle sue fauci che si facevano brocca, il satiro ebbro conteneva il vino (l’aveva bevuto!) che poi avrebbe versato in qualità di bottiglia, delle capre cercavano di abbeverarsi dalla ciotola che reggevano. Un oggetto inanimato prendeva così forma, quasi magicamente, in un connubio di tecnica e fantasia senza eguali.
E senza, purtroppo, esempi arrivati fino a noi. Essendo perlopiù realizzati in argento, la quasi totalità di queste creazioni sono andate perdute, riforgiate in moneta o altri oggetti. Per fortuna rimangono però le bozze e i disegni preparatori, peraltro custoditi con gelosia dai Gonzaga, così da mantenere l’esclusiva sui lavori di Romano. Almeno fino a quando, alla morte dell’artista, il figlio Raffaello vendette parte della raccolta a Jacopo Strada. Fu lui, diventato antiquario imperiale, a diffondere i progetti giulieschi su scala europea. L’eco delle sue soluzioni fantasiose si avverte infatti in oggetti di lusso prodotti alla corte di Spagna, Fontainebleau e Praga nella seconda metà del Cinquecento.
Proprio da Praga arriva l’eccezionale prestito di fogli sciolti provenienti dal Codice Strahov, un ricco album di progetti giulieschi, appartenuto a Jacopo Strada e conservato a Praga, qui esposto per la prima volta dopo un accurato restauro. Accanto a questi, in mostra, altri disegni di Romano o di artisti coevi o dipinti di pregio. A ognuno dei quali si è tentato di legare un oggetto derivato o connesso, come l’anfora del dipinto nella Sala di Amore e Psiche (a lungo elogiata dal Vasari, quando visito Mantova nel 1541), lo scudo e il suo progetto, la spada e il suo disegno.
E dove, come detto, l’eredità storica non ha aiutato, Palazzo Te si è avvalso delle competenze tecnologiche di Factum Arte. La società ha realizzato le ricostruzioni tridimensionali di quattro progetti di Giulio Romano: due brocche per Ercole e Ferrante Gonzaga, una saliera sorretta da tre capre e la bizzarra pinza a forma di becco di anatra di cui abbiamo parlato, che sono esposte con i loro rispettivi progetti.
Un’operazione interessante, che ribalta la pratica del “digitalizzare per conservare” in “digitalizzare per rianimare”. Tramite le scansioni dei disegni, Factum Art è riuscita a ridare vita agli oggetti scomparsi. Se vogliamo l’ennesima testimonianza che queste creazione possiedono un’anima, una forza che ne rinnova l’esistenza a distanza di secoli.