Intervista a Stefano Guindani, che è in mostra a Milano nello spazio Leica Galerie fino al 26 novembre
Il rinnovato spazio Leica a Milano accoglie fino a fine novembre un’esposizione insolita, uomini e donne di fede fotografati in attività sportive. L’autore è Stefano Guindani, un nome noto nel settore sia per i suoi ritratti alle celebrities sia per i suoi innumerevoli reportage e lavori a sfondo sociale. Dal 2016 è Testimonial Leica per le SL e SL2.
L’esposizione Mens sana in corpore sano è un’esplosione di gestualità e di imprese sportive e i protagonisti sono preti e suore in abiti religiosi, fotografati in diverse regioni d’Italia, nelle diverse discipline. Le immagini dinamiche e gioiose mostrano performance sorprendenti e rivelano anche veri e propri campioni nelle loro specialità. Abbiamo raggiunto Guindani prima della sua partenza per la Colombia per un progetto sulla sostenibilità centrato sull’Agenda 2030 dell’ONU (l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità).
Mens sana in corpore sano è un progetto recente?
“Ho scelto tutto io, sia i soggetti che il titolo. Da un punto di vista operativo, l’dea è nata poco prima del lockdown. Anni fa ero in vacanza a Leuca e ho visto delle suore alla mattina all’alba che giocavano a pallavolo. Non avevo la macchina fotografica con me, ma era come vedere una immagine di Mario Giacomelli, anni ’60/’70. Io ci ho messo un pizzico di bellezza e di allegria. In quel periodo lavoravo per Lamborghini, con un progetto sulla Sicilia- in realtà il progetto generale è sull’Italia e a me era stata assegnata la Sicilia – e proprio lì ho trovato queste suore e, parlando con loro, mi hanno raccontato che avevano fondato un Ordine religioso francescano femminile a Gubbio. Erano solo in quattro e una di loro, prima di farsi suora, giocava a calcio in serie B femminile. Da lì è partita la prima foto ed è quella in controluce in bianco e nero con la suora che palleggia. È partito da subito un tamtam. Un amico che avevo fotografato per un altro progetto, uno dei più grandi surfer d’Italia, mi ha segnalato che c’era un prete, apprendista surfista e sono andato a Levanto a fotografarlo. E poi un intenso passaparola, sia sui social, sia tra amici. A dire la verità ce ne sarebbe stati molti altri religiosi da fotografare ma a un certo punto dovevo fermarmi”.
Sorprende la leggerezza e la disinvoltura con cui praticano lo sport, anche se indossano vestiti talari o tonache.
“Con qualcuno di loro ho dovuto insistere per mantenere la tonaca. Le suore, assolutamente no, non puoi fotografarle senza l’abito talare, invece per i preti alcuni sì e alcuni no ma poi mi piaceva a livello di immagine, l’idea che avessero il vestito da prete come segno di identificazione, e devo dire che si sono anche un po’ divertiti. Quando gli parlavo di realizzare fotografie, traspariva un po’ questa voglia di apparire, perché in fondo in fondo, c’è un briciolo di vanità in tutti noi. Erano entusiasti certo però, quando dovevi materialmente fare le foto e si rendevano conto che non erano solo due scatti veloci ma che ci voleva un’ora o due per il servizio fotografico, erano meno contenti”.
Preti e suore sono accorsi a vedere la mostra?
“Ne sono venuti cinque o sei e ne aspetto altri. Purtroppo uno non abbiamo potuto esporlo perché non ha avuto il permesso del vescovo. È un personaggio fantastico e l’immagine è molto forte perché si tratta di un prete culturista, arrivato secondo alle gare italiane di culturismo. Quando ha dovuto gareggiare in costume, il vescovo ha scoperto che è tutto tatuato e non l’ha presa molto bene. Culturista certo ma uomo molto colto ed è stato per dieci anni capo del Museo Diocesano di Brescia. Comunque è venuto alla mostra”.
Hai girato in tutt’Italia per cercare i religiosi che fanno sport?
“Da Arco di Trento o in montagna nel Trentino o a Rovereto oppure in Sicilia a Pozzo di Grotto o ad Amatrice o in Toscana o ancora in Liguria. Per esempio a Milano Don Matteo Baraldi della Parrocchia di San Francesco al Fopponino è cintura nera nel Karate, Terzo Dan”.
La tua ricerca e la tua esperienza hanno aperto le porte a un mondo che molti ignorano?
“La cosa bella è proprio l’idea che grazie allo sport preti e suore riescono a coinvolgere molte persone. È la Chiesa che esce dalle mura della Chiesa stessa. Ed è anche l’osservazione di questi preti e queste suore, non come li vedevamo negli anni Settanta, ma oggi in veste di persone normali che fanno una vita normale e possono andare a fare sport. Lo stesso Papa ha detto che devono fare sport proprio per favorire l’agglomerazione. In questo progetto ho conosciuto un prete italo- brasiliano che purtroppo non sono riuscito a fotografare. Lui è protestante e sposato con tre o quattro figli ed è un super skateboarder e a Milano Rogoredo ha aggregato ragazzi con problemi di droga sul campo da skate dove celebrava anche la Messa”.
Qual è la foto che preferisci?
“La foto che preferisco è quella che apre la mostra: il prete che fa Sci Alpino. È molto metafisica. A me piace molto nelle mie foto una ricerca involontaria di geometrie e la diagonale che fa il prete su questo bianco assoluto mi fa sognare. Anche a me piace molto chiedere a chi visita la mostra la loro foto preferita ed è interessante notare che a tutti piacciono foto diverse ed è una sorta di dimostrazione che ho colpito nel segno”.
Mens sana in corpore sano continuerà con altre fotografie?
“Potrebbe essere ma adesso nell’immediato no, perché sono impegnato in questo grosso progetto sulla sostenibilità che mi porterà in giro per il mondo e si prevede una grande mostra a Venezia. Banca Generali sarà la prima azienda al mondo a raccontare sia in fotografia che in video tutti i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU. La prossima esposizione sarà a fine primavera-estate dell’anno prossimo. Tappa dopo tappa in giro per il pianeta. Tanti racconti. Dalle volpi artiche al Polo Nord fotografate sulla roccia alla donna italiana che insegna alle donne velate in Arabia Saudita a prendere la patente. Storie molto diverse tra loro che raccontano tutti i 17 obiettivi dell’Agenda 2030. Adesso andiamo in Colombia a fotografare una miniera dove estraggono l’oro in maniera sostenibile, senza mercurio. Abbiamo già realizzato dieci storie, ne mancano sette e siamo a buon punto”.
Intanto Stefano Guindani sta conducendo anche una ricerca fotografica-sociologica sulle subculture giovanili dagli anni ’50 ad oggi. Dai Punk, ai Dark, agli Hippies e anche quelle “subculture part time”, come per esempio le Drag Queen o chi si traveste solo saltuariamente fino ai sadomaso o al bondage. Il lavoro si declina in fotografia e video con l’intervista di uno psicologo a tutti i soggetti. Una ricerca interessante perché tocca proprio tutte le sottoculture giovanili negli ultimi cinquant’anni”.