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Scappano sempre. Al MA*GA di Gallarate in scena una doppia indagine sul colore

Chiara Camoni, a bad painting which wants to escape, 4/6, 2013
Chiara Camoni, a bad painting which wants to escape, 4/6, 2013
Il Museo MA*GA di Gallarate presenta due mostre dedicate al colore e le sue declinazioni artistiche. La prima – I colori scappano sempre – è un riallestimento della collezione permanente. La seconda – La forma del ritmo – è una personale dedicata a Umberto Ciceri. Entrambe sono curate da Alessandro Castiglioni. Dall’8 ottobre al 4 dicembre 2022.

I colori scappano sempre da tutte le parti, scappano al rallentatore come le parole, che scappano sempre, come la poesia che non si può mai tenere nelle mani, come i racconti belli, i colori scappano da tutte le parti, non si riescono mai a fermare.

Questa la riflessione di Ettore Sottsass che funge da innesco per il riallestimento della collezione permanente del MA*GA. A dettarne il nuovo corso è dunque il colore, materia universale e imprevedibile, che tutti conosciamo ma nessuno possiede. Neppure “Dio nostro Signore” che, in un’opera di Emilio Isgrò in esposizione, “vede questo rosso ma non lo può toccare“. L’estremo paradosso, il creatore che perde la sua creatura, fuori controllo e ormai autonoma. Forse è per questo che in un’altra opera in mostra, a bad painting which wants to escape, 4/6, Chiara Camoni intrappola un foglio imbevuto di acquerelli all’interno di un calice ribaltato. Il colore più evanescente bloccato sulla carta e chiuso da un bicchiere. Basterà per controllarlo?

Irma Blank, Il corpo del silenzio, 1984
Irma Blank, Il corpo del silenzio, 1984

La risposta rimane sospesa, come sospesa e irrisolta la discussione riguardo il colore. Meccanismo fisico da analizzare secondo scienza o soggettiva esperienza emotiva? La ricerca artistica, compresa quella in scena a Gallarate, indica che forse è entrambe le cose. Dal secondo Novecento ai giorni nostri si sono infatti succedute varie sperimentazioni che, direttamente o indirettamente, hanno posto l’accento sul colore e la sua percezione. Anche in ambito italiano. Gli esiti sono vari, ma non alternativi. Anzi, tutto pare seguire un flusso coerente e riconoscibile.

A partire dalla grande tela senza titolo di Carol Rama che apre l’esposizione. Al suo interno il colore pare respirare, comprimersi ed espandersi seguendo la frequenza scura che percorre l’intera opera. La legnosa matericità rimanda alla superficie di un albero, la cui corteccia muta a seconda del tempo, delle stagioni, degli agenti che intervengono su di essa. Impossibile stabilire dove inizi il marrone e si spenga il verde: tutto è un rigirarsi di cromie che si sciolgono insieme. Un mood che detta la linea, almeno in questa sede, di tutto un filone lirico-astratto che fa del colore un elemento strutturale della composizione. De Falla di Afro Basaldella è simbolo di un’indagine del ritmo e della forma, dell’armonia e dello slancio poetico. Tanto che l’artista scriveva: «Non ha senso la distinzione tra astratto e figurativo. L’artista, dipinga una macchia o un volto umano, avrà sempre e soltanto presenti i ritmi, i colori, le forme».

Da qui all’astrazione geometrica, che si avvale del colore per dare sostanza alle sue forme. Se ne fa interprete il Movimento Arte Concreta, ma anche il design anni cinquanta e sessanta, con opere di Soldati, Prampolini, Munari e oggetti di design di Campi, Magistretti e Sottsass. Fino alle analisi sul segno o le riflessioni di matrice concettuale, tipici di movimenti quali la pittura analitica. Un solco sperimentale che incide tanto su Irma BlankIl corpo del silenzio, 1984 – che su autori più contemporanei come Luca VitoneStanze (Casa Lambardi), 2009.

 Umberto Ciceri, Square millimeter (Sync 1164), lenti, polimetilmetacrilato, acciaio, legno, carta fotografica, cm 80x80, 2017

Umberto Ciceri, Square millimeter (Sync 1164), lenti, polimetilmetacrilato, acciaio, legno, carta fotografica, cm 80×80, 2017

Senza soluzione di continuità, né fisica né contenutistica, la collezione permanente scivola nell’esposizione temporanea di Umberto Ciceri. La sua opera, che unisce un’elevata competenza tecnica e tecnologica allo slancio emotivo del colore, intende completarsi attraverso l’occhio dell’osservatore.

I visitatori – afferma Umberto Cicerisi muoveranno continuamente, produrranno da soli le associazioni necessarie, troveranno il loro ritmo: gli articoli della Dichiarazione dei Diritti Umani che si susseguono, i corpi che si agitano, i canti regolati da codici geometrici, i colori sulla soglia dell’invisibilità, le opere intarsiate composte secondo regole contrappuntistiche, tutto entrerà in risonanza, proponendo un’atmosfera percettiva contemplativa e sospesa”.

E difatti i suoi lavori si muovono al muoversi dello spettatore, pienamente coinvolto come fruitore e componente finale delle opere. Esse, difatti, necessitano di qualcuno che le attivi, o ne esalti le possibilità, attraverso il suo movimento. L’esperienza che si configura risulta dinamica e stimolante. Una ricerca del dettaglio, del riflesso, del segreto meccanismo che regola queste ed altre ingannevoli e seducenti percezioni del nostro occhio attento ma forse, a volte, troppo fantasioso.

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