A una settimana dall’elezione di Ignazio La Russa come Presidente del Senato ripercorriamo la giornata tra reminiscenze storiche e suggestioni artistiche.
Vogliamo dare un titolo alla rappresentazione avvenuta giovedì scorso,13 ottobre, nell’aula del Senato della Repubblica? Il copione messo in scena per la diciannovesima volta era identico a quelli precedenti. La scenografia era quella di sempre: lo stesso vetusto palazzo, gli stessi scranni, identica la regia del rituale della votazione, identica l’insalatiera con le schede compilate per eleggere la Seconda Carica dello Stato Italiano. Per noi vecchi e ormai consolidati spettatori sempre la stessa performance recitata dalla stessa compagnia di giro.
E tuttavia qualcosa non tornava. Sembrava di assistere a una messa in scena della storica compagnia – nata nel 1947 a New York – del Living Theatre, che ha allestito un inedito psicodramma, con ottimi protagonisti. Insomma un capolavoro di Body Art. Abbiamo visto un’indimenticabile Silvio Berlusconi livoroso, un Bruto contemporaneo, pronto a complottare contro il suo Cesare. Abbiamo visto un inedito Ignazio La Russa emozionato e galante offrire un gran mazzo di fiori bianchi a Liliana Segre, Presidente Provvisoria, che gli lasciava lo scranno. Poi il monologo del neo eletto che ha persino stupito un vecchio ebreo come il sottoscritto, classe 1935, che si è salvato e non ha dovuto soffrire le violenze subite da Liliana Segre, marchiata a vita col numero di Auschwitz. La memoria non si cancella certo con i fiori, eppure Ignazio La Russa appariva sincero, imbarazzato, in certi punti autobiografico e chiarificatore.
Da giovane è stato neo fascista. Ha picchiato duro, ed è stato picchiato. Non ha rinnegato il suo passato, ma ha chiesto di dialogare. Perché ebrei si nasce, fascisti si diventa; e dunque ha parlato della sua famiglia, della sua educazione, evitando tuttavia di pronunciare la parola “fascismo”. Ha sottinteso il diritto alla sua libertà di “diverso” che chiede di essere ascoltato senza pregiudizi. Si è attorcigliato su se stesso nel condividere la richiesta non prevista della senatrice Segre di non cancellare le feste nazionali del 25 Aprile, del 2 Giugno, del Primo Maggio. Ha però risposto che il calendario delle feste nazionali dovrebbe anche comprendere la “nascita del Regno d’Italia”.
Il nome del suo partito suona come il primo verso del nostro inno nazionale, che prosegue con “l’Italia s’è desta”. Nella sua proposta La Russa non ha specificato la data. Ma quando s’è desta l’Italia? Il 27 marzo 1871, quando re Vittorio Emanuele II si insediò al Quirinale proclamando Roma Capitale del Regno d’Italia? O sei mesi prima, il 20 settembre del 1870, ovvero il giorno della Breccia di Porta Pia? Sta di fatto che tra le tante storie sul quel 20 settembre, c’è la presenza di un ufficiale ebreo, Giacomo Segre, alla testa del drappello che ha aperto la Breccia, perché lui solo immune alla scomunica papale decretata contro il primo che osasse violare la Città della Santa Sede. Portava lo stesso cognome della Senatrice Liliana. Stupenda coincidenza.
In questo spettacolo sperimentale si è assistito a frammenti del Giulio Cesare di Shakespeare, a pensieri del Trattato sulla tolleranza di Voltaire; a tasselli esistenziali come nello Straniero di Albert Camus, a memorie storiche che si sono intrecciate in modo inopinato. In ogni caso la spontaneità sperimentale del Living Theatre continua rinnovarsi in psicodrammi senza copione. E questo si chiama Libertà. E questo potrebbe essere il titolo.