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Sguardi senza tempo sospesi sulla quotidianità. Intervista a Laura Omacini

Laura Omacini, Le beatitudini, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela,150x120 cm. Courtesy l’artista.
Laura Omacini, Le beatitudini, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela,150×120 cm. Courtesy l’artista.

Fino al 6 novembre 2022 la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia accoglie Le beatitudini, una mostra a cura di Elisabetta Barisoni, con opere dell’artista veneziana Laura Omacini, selezionata dall’istituzione stessa nell’ambito del Premio Level 0 di ArtVerona 2021

All’interno della project room al piano terra di Ca’ Pesaro, ci avventuriamo in un cammino immaginario tra le calli di Venezia costretti a una prospettiva che guida il nostro occhio verso l’alto, un cammino ricco di rimandi simbolici e a tratti quasi onirico. La mostra dal titolo Le beatitudini ci invita a ripercorrere l’esperienza visiva compiuta dallo sguardo dell’artista Laura Omacini verso la propria città, un percorso che si sofferma in particolare sulle impalcature che avvolgono gli edifici storici e religiosi. L’ingombro di queste strutture si materializza sulle tele, svelando, paradossalmente, l’invisibile.

Il ciclo pittorico che presenti in occasione della mostra Le beatitudini a Ca’ Pesaro è il risultato del tuo abitare la città di Venezia. Potresti descrivere la fase che precede la realizzazione dell’opera? Il momento in cui, esplorando i luoghi della città, tratteggi il dialogo tra il contesto urbano che fa da sfondo all’esperienza vissuta e il tuo inconscio?

L’ideazione dell’opera avviene in maniera molto sfumata: c’è una fase pre-logica, che può iniziare in qualsiasi momento, in cui mi accorgo di sentire attrazione verso un soggetto, un dettaglio o una luce particolare, quindi scatto una foto, butto giù uno schizzo o scrivo qualche nota. Lì per lì non accade nient’altro, spesso mi dimentico di quegli appunti, poi il tempo leviga, pulisce e lascia emergere l’elemento pregnante e significativo delle immagini raccolte; solo allora comincia una fase di studio e di elaborazione in cui esamino i motivi del mio interesse per quella forma e abbozzo, quella che sarà la struttura dei primi disegni o dipinti di una serie. 

Questo processo fa sì che la genesi del lavoro sia profondamente legata all’ambiente che mi circonda, e di conseguenza a Venezia, dove sono cresciuta e ancora abito.

Le immagini dei tuoi quadri non sono mai del tutto nitide, sembrano in dissolvenza, avvolte dalla nebbia, quasi contornate dal mistero, suggerendo un’immagine effimera contrassegnata da una nota cromatica di un’intensa luce invernale.

Si, come dicevamo, c’è un vasto intervallo tra l’incontro con lo spunto reale e la sua rappresentazione, immagino sia per questo che i miei lavori non sono mai veramente “nitidi”: sono il frutto di una ricostruzione di ciò che credo di aver visto o di ciò che desidererei rivedere, e che per giunta avviene sulla base di tutto ciò che nel frattempo è intervenuto a modificarne la percezione.

La luce invernale enfatizza questa distanza, smorza i contrasti e rende tutto più etereo, quasi diafano. Amo in particolare che le atmosfere siano umide; mi piace pensare che le particelle d’acqua, così sospese, agiscano come tanti minuscoli messaggeri, capaci di mettere in comunicazione le diverse superfici, parificando l’importanza dei vari elementi della composizione. 

Installation view (da sinistra: Intermezzo, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 60×50 cm, Spot II, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 150×110 cm, Il Bacio, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 25×40 cm). Courtesy l’artista.

La tua precedente produzione è caratterizzata dalla staticità delle forme geometriche poste alla base del dipinto e la dinamicità equorea in primo piano. Per esempio, Cent’anni (2021) sembra trasportare l’osservatore in una dimensione meditativa, ostacolata dai quadrati che emergono dal film pittorico, come se la tua presenza imponesse tempo, ritmo e limiti disturbando la contemplazione. Nella nuova produzione invece la dinamicità è sullo sfondo mentre la dimensione statica la troviamo in primo piano. Cosa ti ha portato a effettuare questa inversione formale?

In effetti, quest’ultima serie può sembrare quasi una sbirciata dal retro di una mia tela dell’anno scorso, ma l’interesse è sempre quello di creare delle interferenze tra i diversi piani, di modo che si generi un’ambiguità tra interno ed esterno. 

Spero così di instaurare nell’osservatore quello stesso movimento acquatico che mi circonda, di portarlo dentro e fuori al lavoro, di offrirgli un’esperienza sensoriale che ripercorra simbolicamente il percorso emotivo che accompagna la nostra conoscenza del mondo.

È a questo scopo che ho iniziato ad alterare, fino quasi a compromettere, le superfici su cui lavoro: talvolta le seziono con dei leggeri bassorilievi, altre volte parto da basi nere e verniciate che annullano la permeabilità della materia che comporrà la rappresentazione sovrastante, oppure vi dipingo un soggetto che fungerà come una sorta di liquido di contrasto per far emergere determinati particolari dell’immagine che lo sommergerà. In questo caso, come già avevo fatto nel 2016 e 2017, ad incrociarsi con il film pittorico è un collage composto da centinaia di piccoli frammenti di foto tratte da giornali locali.

Alcuni dei tuoi lavori presentano dei titoli o connessioni legati a romanzi, poesie e ad altre forme d’arte in generale. Mi chiedo se i vari riferimenti letterari e artistici rientrino nell’ambito dell’omaggio, oppure te ne servi come fonte di ispirazione o rimandi che possano fornire chiavi di lettura per la fruizione del tuo lavoro? 

La letteratura, e in particolar modo la poesia, sono dei punti di partenza, poiché mi forniscono gli strumenti attraverso i quali io per prima decodifico e comprendo perché una particolare forma mi attrae, qual è la sua storia, cosa comunica oggi e qual è il suo potenziale evocativo. 

All’inizio del mio percorso citavo più apertamente i miei riferimenti, inserendo indizi di questi collegamenti anche nei titoli dei quadri, come, per esempio, Ada, che è il nome di una delle protagoniste de La coscienza di Zeno, oppure Cent’anni (che citavamo pocanzi) in riferimento a Cent’anni di Solitudine di Gabriel García Márquez. Non si tratta solo di omaggi, ma di vere e proprie connessioni, sentieri attraverso i quali giungo a una soluzione piuttosto che a un’altra; anche se mi rendo conto che servono più a me, per ricordarmi di alcuni passaggi determinanti, che non ad offrire una chiave interpretativa all’osservatore. 

Le beatitudini, il quadro che dà il titolo alla mostra, a mio avviso di forte impatto poetico, ricorda lo sguardo degli angeli de Il cielo sopra Berlino caratterizzato dal monocromo nella fase divina per poi diventare colorato quando Damiel, interpretato da Bruno Ganz, scende sulla terra e diventa umano, un passaggio che nel tuo quadro mi verrebbe da accostare alla tenue policromia dei collages adagiati sotto lo strato pittorico. 

Sono felice che ti sia venuto in mente proprio quel film, che è per me particolarmente importante, vuol dire che i riferimenti di cui parlavamo prima affiorano spontaneamente; per giunta, uno dei testi che più mi ha colpito tra le letture degli ultimi anni è Canto alla durata di Peter Handke, co-autore dei dialoghi del film di Wim Wenders.  

L’immagine da cui sono partita per creare la composizione di Le beatitudini è l’ombra della Scuola Grande di San Teodoro sulla chiesa di San Salvador, su cui c’era un’impalcatura. Sono rimasta colpita dal gioco di trasparenze che si creava sul tessuto del ponteggio, tale per cui là dove si stagliava la sagoma della Scuola si poteva intravedere la facciata in restauro della chiesa, mentre la porzione illuminata si mostrava come una composizione del tutto astratta. Mi sembrava inoltre che in questo gioco si creasse una sorta di rappresentazione teatrale, un dramma i cui protagonisti sono queste due figure alate, che sono gli spettri delle statue di due angeli adoranti, armate di tubi innocenti e rese quasi demoniache dalle circostanze. 

Un lavoro che ha molto a che fare con le impalcature, così come il resto delle opere presenti in mostra; delle strutture che ci spingono in un certo senso ad adottare nuove prospettive, abbracciando, tra gli altri, l’aspetto della cura, della persistenza e della protezione. Si tratta di un mezzo per custodire il passato e favorire l’interazione di tempi diversi, incidendo sulla nostra quotidianità.

Le impalcature sono strutture provvisorie che offrono uno spazio marginale per compiere un restauro, servono a raggiungere parti di un edificio altrimenti irraggiungibili ed a proteggerlo per il tempo necessario al ripristino della sua integrità; sono dunque un elemento che indica fragilità e precarietà ma anche cura e rispetto. Raccontano, insomma, di una condizione particolare, e mi sembrano esprimere quel senso di forte incertezza che caratterizza la fase storica in cui viviamo.

Laura Omacini, Spot, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 25×40 cm. Courtesy l’artista.

Venezia è una città costantemente sotto i riflettori dai quali emerge una ricca stratificazione di immagini. Dal passato al presente abbiamo un flusso continuo di visioni che rendono la città reale, ideale, convenzionale. Come pensi si inserisca il tuo lavoro all’interno della vasta tradizione iconografica che caratterizza Venezia? E più in generale, in che modo ti relazioni con questa città? 

La mia relazione con questa città è senza dubbio problematica, prima di tutto per l’amore che mi ci lega, ma anche perché Venezia, nonostante la sua indiscutibile unicità, sta vivendo una forte crisi di identità dovuta alla perdita del suo ecosistema, dei suoi abitanti e del suo tessuto sociale. È soprattutto sul senso di smarrimento che si focalizza la mia attenzione, e credo che sia proprio questo, prima ancora della luce o di certe prospettive, l’elemento che colloca il mio lavoro in un tale contesto. 

Per quanto riguarda il suo prezioso bagaglio iconografico, credo sia impossibile non venirne permeati, tanto che ne ritrovo tracce nel lavoro di artisti che hanno vissuto qui non più a lungo di qualche mese.

Laura Omacini, Cent’anni, 2021, acrilico e olio su tela, 110×110 cm. Courtesy l’artista.
Laura Omacini, Impalcature II, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 30×40 cm. Courtesy l’artista.
Installation view (da sinistra: Spot, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 18×24 cm, Ponteggi, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 18×24 cm, Muta, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 18×24 cm, Il Tetto, 2022, collage, pastello, acrilico e olio su tela, 18×24 cm). Courtesy l’artista.

LAURA OMACINI Le beatitudini
8 ottobre – 6 novembre 2022
Venezia, Ca’ Pesaro – Galleria Internazionale d’Arte Moderna
capesaro.visitmuve.it

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