Simon Starling, artista inglese di 55 anni, vincitore nel 2005 del Turner Prize, è protagonista alla Pinacoteca Agnelli con una mostra incentrata su due tagli. Il primo è quello subito da un’opera del Tiepolo nel 1820; il secondo è quello che lui stesso opera su una Fiat 125 Special di colore blu. A Torino dal 2 novembre 2022 al 5 febbraio 2023.
Tutto inizia con un alabardiere che si insinua in un quadro. Con la mano destra regge fiero l’arma, mentre la sinistra poggia sul fianco e crea pieghe sinuose sull’abito elegante. La casacca color zafferano brilla nel paesaggio grigio. Qualche nube, sullo sfondo, sorvola una catena montuosa. Dei giunchi paiono afflosciarsi stanchi, mentre dietro due figure sopraggiungono dal fiume. L’uomo ha negli occhi una tristezza. Le palpebre, gonfie di malinconia, trovano sollievo nell’animale ai piedi del soldato. É il suo fedele levriero. Anche lui sta facendo il suo ingresso nel quadro, seppure solo con il muso e una zampa. Ha fiutato qualcosa e cerca di porlo all’attenzione del padrone.
Seguendo il suo sguardo, come nell’immobilità pittorica l’alabardiere non può fare, ci imbattiamo in una scena di festa. Delle agghindatissime donne aristocratiche si raccolgono attorno a un neonato. Ma chi è? Per scoprirlo dobbiamo fare un passo indietro.
Siamo nell’Antico Testamento, siamo in Egitto. A seguito dell’ordine del Faraone di uccidere tutti i figli maschi di origine ebraica, una madre depone il suo bambino in un cesto di vimini e lo affida alle acque del Nilo. A ritrovarlo è proprio la figlia del Faraone, che decide di allevarlo come fosse suo. Il nome che gli dà significa “salvato dalle acque”. Il nostro alabardiere, dunque, sta sopraggiungendo sul luogo dove il cesto, ancora visibile a riva, ha appena condotto Mosè alla sua nuova famiglia.
Il Tiepolo, come altri pittori, ha rappresentato la scena in un quadro. Il quadro si chiamava didascalicamente Il ritrovamento di Mosè. E se si parla al passato è perché questo quadro non esiste più.
O meglio, non esiste più nella sua interezza. L’opera, realizzata tra il 1736-38, venne infatti separata nel 1820. Nulla di tragico, una pratica comune all’epoca. La necessità sarebbe originata dall’intenzione di rendere più centrale la scena del ritrovamento, tagliando (letteralmente) via l’alabardiere che dal lato destro cercava di insinuarsi. Difatti la composizione appariva inusuale, seppure raffinata. Tanto che la sua origine è da rintracciarsi proprio nello slancio creativo del Tiepolo, a cui piaceva condurre lo spettatore all’interno dell’opera, farlo muovere nell’ambiente come ne facesse parte.
In questo caso era l’alabardiere, insieme al suo levriero, a guidare gli occhi verso il centro della vicenda. Un espediente al tempo stesso tecnico (utile a disperdere la centralità classica della scena nel dipinto) sia narrativo (utile ad aggiungere complessità e movimento alla lettura dell’opera). Una trovata che alla lunga deve aver stancato il patrizio veneziano Andrea Corner, committente del quadro. E pensare che era proprio per soddisfarlo che il Tiepolo aveva provato un’ulteriore variazione sul tema, trasportando la scena biblica in un contesto a lui contemporaneo e familiare. Nell’opera non vi è infatti nulla di antico o di egizio; anzi le figure vestono eleganti abiti nobiliari e l’ambiente pare quello del nord dell’Italia. Un altro modo, se vogliamo, di rendere più prossima la scena allo spettatore.
Da questo momento inizia così la seconda vita del dipinto, che sono diventati i dipinti. Uno è diventato Alabardiere in un paesaggio e fa parte della collezione della Pinacoteca Agnelli. L’altro conserva il suo nome originale, Il ritrovamento di Mosè, ed è conservato alla National Gallery di Edimburgo. A legare le due opere il passato comune. Al quale si aggiunge il senso di assenza e mancanza che pervade l’alabardiere.
Ed è stato proprio questo aspetto a ispirare Simon Starling, che su questa vicenda ha incentrato prima la sua mostra A-A’, B-B’ da Franco Noero nel 2019, e ora un’altra esposizione, Tiepolo x Starling, alla Pinacoteca Agnelli. La collezione segna così un nuovo capitolo del suo progetto Beyond the Collection, mirato a valorizzare un’opera della raccolta.
Starling, a partire dall’Alabardiere, ricostruisce la vicenda che lo vede protagonista accostandogli prima una riproduzione della sua parte mancante, poi giustapponendogli un copia in scala ridotta dell’opera completa, concessa in prestito dalla Staatsgalerie di Stoccarda. Da questi estrae, dedicandogli un focus, alla figura del levriero. Animale ricorrente nella pittura aristocratica del tempo, simbolo di nobiltà e fedeltà. Sull’immagine del cane si intrecciano dei disegni del Tiepolo e gli scatti contemporanei di Starling.
Per cesellare il legame tra il progetto e la Pinacoteca, l’artista ha scelto di riproporre lo stesso taglio subito dall’opera nel 1820. Questa volta a farne le spese è una Fiat 125 Special di colore blu. Una berlina familiare dal motore modesto prodotta dalla Fiat tra il 1967 e il 1972. Nonché auto prediletta da Gianni Agnelli, che per la città si muoveva solo su questa vettura. Un modo per rimanere discreto (anche se la targa era A00000 TO) ed esprimere al tempo stesso la sua comunanza con i cittadini.
Starling riprende l’iconica autovettura e gli applica lo stesso taglio, ovvero conservando le proporzioni, che subì la tela del Tiepolo. Così dà vita a uno di quei rari casi in cui separare non significa dividere, bensì stringere.