Si è conclusa da poco la terza edizione di Prospettive, residenze d’artista che coinvolgono alcuni comuni dell’Emilia Romagna. Un approfondimento sull’opera dell’artista Alessandro Sambini.
Si è conclusa in ottobre la terza edizione di Prospettive, residenze d’artista a cura di Amerigo Mariotti e Giorgia Tronconi di Adiacenze con il contributo della Regione Emilia Romagna ed Emilbanca. Gli artisti selezionati sono invitati a relazionarsi con il territorio e con alcune realtà produttive autoctone. Il periodo di residenza è finalizzato alla restituzione di un’opera che diventerà patrimonio del comune interessato. Ed è proprio quest’ultimo passaggio, abbastanza comune a questo tipo di esperienza o comunque ad alcune commissioni pubbliche, a innescare possibili riflessioni e sviluppare interrogativi che oltrepassano il caso in esame. E per approfondire la questione affronterò l’opera Les Vocaux de Calderara Vol. 1 dell’artista Alessandro Sambini realizzata per il paese di Calderara di Reno, in provincia di Bologna, con la collaborazione dell’azienda Bonfiglioli.
La lunga gestazione dell’opera e la sua trasformazione nel tempo è stata oggetto di una performance realizzata nel giorno dell’inaugurazione. Come spesso accade nella ricerca di Sambini la performance diventa racconto popolare, come se la memoria rievocasse la cultura del cantastorie capace, anche attraverso disegni e messe in scena, di evocare la trama epica della storia. Il momento inaugurale, seppur effimero, diventa il prologo del lavoro, la messa in luce di una progettualità altrimenti silente. Nel caso specifico, nella casa della cultura di Calderara, alcuni attori e persone che avevano coadiuvato realmente alla realizzazione dell’opera, hanno ricostruito i tre mesi di ideazione e costruzione del lavoro, evidenziando i fallimenti generatori di una sintesi progettuale, formalizzata in un vinile su cui sono state registrate alcune tracce audio.
Infatti l’opera esito della residenza si è concretizzata in un vinile, oggi custodito dalla biblioteca di Calderara, su cui Sambini ha registrato settanta note vocali WhatsApp di altrettanti abitanti di Calderara, alcune anche di operai dell’azienda Bonfiglioli. Tracce audio che ormai, sempre più spesso, sostituiscono la scrittura o addirittura una conversazione telefonica, domande futili, a volte urgenti, appuntamenti fissati o dimenticati, raccomandazioni culinarie, previsioni del tempo, saluti, ringraziamenti, formalità quotidiane. Sambini ne raccoglie un campione, note vocali autentiche e non impacchettate e rassettate per l’occasione ma estrapolate dagli archivi personali affollati e sovraccarichi. Ventiquattro minuti destinati a resistere, ad essere incisi e conservati all’interno di un’istituzione pubblica, come fossero un’archeologia del presente, reperti effimeri permeati dal filtro dell’eternità. Ed è proprio quest’ultimo aspetto che caratterizza il progetto Les Vocaux de Calderara Vol. 1, la comunità o parte di essa viene preposta all’accudimento dell’opera, innescando un’affezione necessaria perché essa sopravviva e mantenga il suo statuto.
Sambini attraverso l’incisione su vinile dei settanta vocali sviluppa una ricerca che interroga il rapporto tra documento e archiviazione, testando un supporto inedito nella sua ricerca. Le origini fotografiche o postfotografiche dell’artista evidenziano un’attenzione, seppur mutevole linguisticamente, alla registrazione dell’evento e alla sua protezione e persistenza nel tempo. Protezione che, in questo caso, si manifesta in maniera duplice, sia attraverso l’incisione su disco, sia mobilitando la comunità e in modo particolare la biblioteca e la sua natura catalogatoria.
Sambini negozia un rapporto duraturo con i custodi del suo tempo, un rapporto imposto o suggerito da una commissione pubblica che, come spesso succede, si sarebbe potuta risolvere con l’occupazione di uno spazio fisico (scultura, installazione, ecc.). Les Vocaux de Calderara Vol. 1 si sottrae a questa logica predatoria per assumere un carattere apparentemente etereo ma potenzialmente imperituro come quello archivistico. L’origine della scelta progettuale risiede proprio in un compromesso tra due parti (artista/comunità) che possa essere accettabile per entrambe e soprattutto fidelizzabile nel tempo. Un’opera che non modifica il rapporto con lo spazio ma che chiede di essere attivata in caso di necessità o desiderio dei custodi stessi.
Quando tutti vogliono apparire e mostrarsi sulla pubblica piazza, qualcuno rivela la sua decenza e la sua invidiabile timidezza.