Arte contemporanea là dove c’era la Polizia locale. Storia di una reazione, molto personale, alla rivoluzione estetico-sociale di Roma. Che passa anche per un progetto chiamato Cabin Art
Ero tranquillo par i fatti miei. A un certo punto penso: “ma fammi un po’ controllare la mail”. Prendo il telefono. Ed è in quel preciso istante che, leggendone una in particolare, rimango tra l’incuriosito e il perplesso.
La mail in questione proviene da da Zètema Progetto Cultura, società partecipata interamente da Roma Capitale, che si occupa di cultura nell’Urbe. L’oggetto porta il nome (non proprio accattivante) nome di CABIN ART, scritto così in caps lock. La apro. Si tratta di un avviso pubblico, promosso dal Gabinetto del Sindaco – Ufficio di Scopo Politiche Giovanili in collaborazione con Zètema, destinato alla – cito dal testo – «selezione di sei giovani artisti che decoreranno la SUPERFICE esterna di sei cabine dismesse del Corpo di Polizia locale di Roma Capitale».
Ora, se loro usano il caps lock per mettere in risalto il nome dell’iniziativa, il sottoscritto – in evidente stato “oggi mi sento maestrino” – potrà fare lo stesso per evidenziare la parola “superfice”. Non manca una “i”? Uno dice: dai, magari è solo un refuso. E no, l’errore torna una seconda volta nel corpo mail, idem nel comunicato stampa allegato.
Amici di Zètema, in italiano corrente si scrive “superficie”, il ricorso – a mo’ di ultima spiaggia – a una “i” saltata in nome del «meno comune superfice» (Treccani docet) non vale. Qui c’è lo zampino di qualche “iNpiegato”, sempre pronto a maltrattare l’italiano come un Lorenzo Fontana dell’ultima ora. “Aridatece” (dai che siamo romani) la “i”.
Tuttavia, sono sicuro che il bello deve ancora venire. O meglio, devo ancora leggerlo. Questo progetto, a mio modesto parere, può dare una soddisfazione pari alle risate che ti fai con quelle barzellette che sì fanno ridere, ma solo perché – paradossalmente – non fanno ridere. È un meccanismo perverso, lo so. Spoiler: la speranza non è stata disattesa.
A Roma, non si sa quando e come, un bel giorno qualcuno deve aver pensato una cosa del tipo “oh queste cabine della Polizia locale abbandonate, ma che brutte a vedersi! Interveniamo in nome del decoro!”. Da romano, per il sottoscritto la vera notizia sarebbe solo una: come fanno delle cabine della polizia locale a essere in disuso? I “pizzardoni”, così come bonariamente chiamiamo i vigili urbani nella Capitale, li lasciamo in piedi, alle intemperie? Oppure negli uffici? E al traffico, all’ordine pubblico, chi ci pensa? Li sorvegliamo da remoto? Evidentemente mi devo essere perso qualcosa circa la gestione del traffico capitolino. Chiedo numi. Tra l’altro i punti scelti, riportati nel comunicato, sono tutti abbastanza “caldi”: Piazza Vittorio Emanuele II (MUNICIPIO I), Via Vico Jugario / Via Petroselli (MUNICIPIO I), Via Casilina / Via di Tor Pignattara (MUNICIPIO V), Piazzale Labicano (MUNICIPIO VII), Circonvallazione Gianicolense / Via Ottavio Gasparri (MUNICIPIO XII), Piazza di Villa Carpegna (MUNICIPIO XIII).
A leggere questa lista, vien da sé che per Roma Capitale l’arte contemporanea sia prima di tutto questione di pari opportunità tra centro e periferia. E già, la riqualificazione non guarda mica in faccia al censo dei cittadini. All’età però si, visto che quei sei gabbiotti saranno affidati ad altrettanti giovani tra i 18 e i 35 anni. Così street e così urban, “Cabin Art” è per forza un progetto da “gggiovani”, scritto con tre “g” d’ufficio. D’altronde Lorenzo Marinone, delegato del Sindaco Gualtieri alle Politiche Giovanili, spiega che «Il recupero di spazi dismessi attraverso i giovani e la street art è una grande occasione di rigenerazione urbana che mette insieme talento e creatività». Certo, aggiungiamo però che dipende dai casi. E diciamo pure che, in questo specifico, quelle di Marinone sembrano parole generiche copiate e incollate nel documento sbagliato. Pensare infatti che la rigenerazione urbana, in una capitale come Roma, passi per un intervento su delle cabine, le stesse che in un mondo perfetto sarebbero state semplicemente rimosse, lascia – nella migliore delle ipotesi – quantomai dubbiosi. Con tutto quello che ne consegue, dalla poca consapevolezza del valore dell’arte pubblica, alla banalizzazione stereotipata di una street art che, doverosamente “controllata”, è come il prezzemolo. E con l’aggravante di giocarsi la carta dei giovani, utilizzandoli quasi fossero un capro espiatorio.
Non da ultimo, il comunicato ci tiene a render noto che «I progetti artistici proposti dovranno avere tra gli obiettivi quello di contribuire a riqualificare in chiave culturale e sociale, i luoghi e i beni della città; valorizzare la relazione con il territorio in cui sono situate nel rispetto del patrimonio culturale, storico e artistico; esprimere integrazione e rispetto delle differenze; potenziare tematiche legate all’ambiente, natura, sostenibilità». Passino i primi due punti, ma “esprimere integrazione e rispetto delle differenze” e “potenziare tematiche legate all’ambiente, natura, sostenibilità”, su una cabina della Polizia locale? Seriamente? In Campidoglio evidentemente hanno un dono speciale: rendere vuoti dei concetti in nome del politicamente corretto.
Questo è quanto. Il bando scade il prossimo 24 novembre. Staremo a vedere quale impatto avrà e, soprattutto, a quali risultati porterà. Resta il fatto che in Piazzale Labicano, ovvero presso la centrale Porta Maggiore, a pochi metri dal gabbiotto in attesa di redenzione c’è la tomba del fornaio Eurisace. Un gran pezzo di arte funeraria del I secolo avanti Cristo. Personalmente, perlomeno a inizio 2022, non l’ho vista proprio bene, sembrava più un cespuglio per com’era coperta da vegetazione. Per quella “cabina” lì c’è qualche autorità competente che abbia previsto un intervento di riqualificazione? Chiedo per un amico.