Il nuovo libro di Luca Todarello ripercorre le cinquanta reti più iconiche dei Mondiali, ricordandoci l’eterna magia del calcio ai tempi della Coppa del Mondo meno sentimentale della storia
Non c’è luogo al mondo in cui l’uomo sia più felice che in uno stadio di calcio.
Albert Camus
Per alcuni un gioco banale, per molti una grande passione, per altri una religione laica: il calcio è questo e molto di più. Uno status symbol, una possibilità di rivalsa, il fascino internazionale, la fedeltà alla propria città, i sogni, le disfatte, i cori, le imprese… tutto si fonde nel pallone rotondo per novanta abbondanti minuti, squarciati da quello che Massimo Raffaeli definisce il momento estetico culminante della partita: «Pertanto il goal, quel goal, ti guarda mentre tu nel ricordo non smetti di guardarlo». Raffaeli introduce L’atlante sentimentale del goal di Luca Todarello, edito da Bordeaux e accompagnato dalle splendide illustrazioni di Chiara Bilei, presentandolo come uno scrigno della memoria collettiva. Un nastro temporale tra mito e realtà, una raccolta di gesti epici per intere generazioni, uno scatto di compimenti nel magma di azioni fallite.
Con uno stile schietto e una struttura speculare Todarello ripercorre cinquanta tra i goal più iconici della Coppa del Mondo dal 1930 ai giorni nostri: «Il Mondiale è il capo chino di Roberto Baggio dopo il maledetto rigore di Pasadena ed è la danza di Roger Milla dopo aver rubato palla a Higuita e aver segnato; è la gioia di Garrincha e la tristezza di Cruijff; è il rimpianto della Svezia del 1958 e l’incredulità degli esordienti Stati Uniti del 1950; è una giostra sulla quale siamo saliti tutti almeno una volta in cerca della gloria imperitura». C’è la Mano de Dios seguita, quattro minuti dopo, dalla serpentina surreale di colui che ha eclissato le ingiustizie sociali della sua Argentina, almeno per un giorno, quel ventidue giugno 1986 all’Estadio Azteca di Città del Messico. C’è la consacrazione del calcio come arte totale di Johan Cruijff, la danza ipnotica di Pelé, l’eleganza a tutto campo del Kaiser Franz Beckenbauer, l’urlo di Marco Tardelli, la rivelazione di Fabio Grosso. Ma ci sono anche testimonianze di momenti meno noti, e per questo più leggendari, come il viaggio all’inferno della nazionale inglese durante il suo primo Mondiale, dolcemente offerto dallo statunitense Joe Gaetjens durante il Miracolo di Belo Horizonte nel 1950. Oppure il fantasma di Alcides Ghiggia che ancora aleggia sul Maracanã e su milioni di brasiliani, colpiti così duramente solamente molti decenni dopo dalle sette reti tedesche. O, ancora, dalla prima rete della Coppa del Mondo messa a segno da Lucien Laurent, arrivato a Montevideo dopo aver ottenuto il permesso dal suo padrone in fabbrica per giocare la competizione. E poi il miracolo di Berna contro gli invincibili ungheresi, la giornata amara, giornata di vergogna per l’Italia causata da Pak Doo Ik, l’illusione di libertà di Mario Kempes, la bicicleta di Leônidas da Silva. Una cavalcata appassionante che evoca le parole di Fabio Caressa: «Grazie Signore per averci dato il Calcio».
Tuttavia al di là del mito c’è la realtà, dopo il passato si vive il presente. E oggi l’Italia, campione d’Europa, per la seconda edizione consecutiva è fuori dai Mondiali. Ma soprattutto questo Mondiale, ancor più di altre discusse edizioni precedenti, tradisce lo spirito del calcio. Nella sua introduzione Todarello ricorda i pericoli del cosiddetto calcio moderno, a noi contemporaneo, addomesticato dalla tecnologia e dominato da interessi economici. Per Qatar 2022 c’è di più, come se la FIFA avesse voluto dichiarare apertamente l’incompetenza e l’incapacità di conciliare i suoi stucchevoli slogan ai fatti. Perché For the game, for the world non può trovare una reale contestualizzazione in una monarchia (de facto) assoluta, in cui il sistema giudiziario è regolato in base alla Sharia e che finanzia apertamente gruppi terroristici internazionali. Con il supporto di numerose fonti (la maggior parte riportate in questo video di Nova Lectio, nonché indagate dalla recente serie Netflix Fifa: tutte le rivelazioni) senza giri di parole possiamo affermare che non si costruisce una cultura sportiva col denaro sporco e sul sangue dei poveracci. Questo è il Mondiale dei petrodollari, non della gente, e sarà ricordato per sempre come la Coppa del Mondo meno sentimentale della storia. Il calcio appartiene al popolo e (quasi) tutti noi abbiamo bisogno di un gioco catartico contro l’ingiustizia: «In quel momento non c’è stato più il calcio, sostengono alcuni; in quella frazione di secondo, dicono altri, il calcio ha preso il sopravvento su tutto, forse persino sulla vita».