La Galleria 10 A.M. ART di Milano riunisce venti opere di otto artisti astratto-cinetici in una nuova mostra che indaga le possibilità creative della linea, retta o curva che sia. Dal 27 ottobre 2022 al 27 gennaio 2023.
Linea retta e linea curva si muovono su un piano che non è quello geometrico, ma il tridimensionale spazio della Galleria 10 A.M. ART di Milano. Specializzata in arte cinetica e programmatica, anche in questo caso la galleria fa fede all’ambito creativo che più le pertiene. Lo fa riducendolo alla sua essenza, scomponendo i suoi elementi fino a trarre quelli che più di tutti costituiscono l’esoscheletro della sua poetica. La curva e la retta, interpretazioni vicine e opposte del succedersi dei punti, che accostati nella giusta maniera generano le forme che poi costituiscono il nostro mondo. Oppure strutture impossibili. O meglio, irrealizzabili; almeno in natura. Perché nel campo dell’arte e della creatività ogni cosa è perlomeno immaginabile.
Come per esempio i toroidi di Claudio D’Angelo. Ovvero, da geometrica definizione, la superficie di rotazione ottenuta dalla rivoluzione di una circonferenza in uno spazio tridimensionale intorno a un asse ad essa complanare. Forma difficile da figurarsi, che nelle opere in mostra – tra cui Progetto di spazio, 1974 – è anche complessa da intravedere. Difatti dopo che negli anni ’60 D’Angelo l’aveva mostrato nella sua completezza, nella fase successiva opta per un graduale velamento. Qui addirittura il toroide sfuma nello sfondo, oppure emerge dalla nebbia. Qualunque sia l’immagine che preferite, il toroide è più immaginato che visto. Processo che sposta il lavoro su una dimensione più concettuale che optical. E che funge da corridoio visivo per il centro della mostra, almeno nel suo piano superiore.
Ovvero la concentrazione di opere che, come attratte da un centro gravitazionale, collassano nell’angolo di fondo della galleria. Come primo, in ordine, incontriamo Luigi Veronesi. Quattro opere degli anni Settanta (Composizione Q12 del 1973, Composizione T2 del 1974 e, entrambe del 1975, Costruzione Epsilon Variante 4 e Costruzione Sigma 6) che compongono un’amormia di rette e curve, animate da diverse dimensioni e colori.
Poco distante Ennio L. Chiggio in Interferenza Lineare 8 del 1966 sovrappone una doppia lastra di plexiglass aerografato, che distorce la percezione e genera l’illusione del movimento. Nel mezzo Verde + Blu 8N di Marina Apollonio assomiglia all’incresparsi di un liquido in seguito al contatto con un sasso che precipita al suo interno. Più distante, quasi a mettere ordine nel caos, Effetto bidimensionale del cerchio di Mario Ballocco è un manifesto di candida essenzialità.
Interessante poi l’accostamento delle opere, simili ma diverse, dei coniugi Giovanni Pizzo e Lucia Di Luciano. Esemplificativi, in tal senso, i due lavori accostati in mostra: Sign Gestalt N.20 I (di lui) e Discontinuità ritmica in orizzontale e succesione in verticale (di lei). Entrambi lavori ricordano uno scrosciare di dati, rimandano in modo evocativo alla computer art; i due inoltre, accennano a effetti ottici, giocano con la percezione e ingannano l’occhio. D’altra parte resistono alcune differenze, dall’utilizzo dei colori (lui) al ricorso alla linea orizzontale (lei). Come esemplifica il titolo dell’opera, Di Luciano alterna alle linee verticali quelle orizzontali, mentre Pizzo le relega al ruolo di intermezzo o pausa.
Lucia Di Luciano domina anche il piano inferiore, con Verticalità dalla 2 alla 11 del 2003. Una sequenza di installazioni che portano in forma tridimensionale le sue riflessioni sul colore e sulla forma. Posizionati sul lato lungo della galleria, i 10 elementi sono racchiusi da due opere eccezionali: Dinamica Circolare Cratere N del 1968 di Marina Apollonio e Vibrazione induttiva (1965) di Franco Grignani. Se nella prima l’illusione ottica è dettata da un reale movimento dell’opera (che pure assume un effetto tutt’altro che consueto), nella seconda la sensazione di moto è, appunto, solo tale.
Pare di trovarsi di fronte a una serie di cerchi concentrici, ma in realtà non ci sono che tre o quattro linee lievemente curvate. Un dettaglio che riporta al binomio titolo della mostra, retta e curva, ma che soprattutto invita a una riflessione. Quand’è che un’opera optical raggiunge il suo effetto ottico? Tutti gli elementi sono necessari o potremmo toglierne qualcuno mantenendo intatto il risultato? Risposte che risiedono nell’infinita ricerca degli artisti e restituisce lo spessore di opere che nella loro ingannevole semplicità nascondo un universo davvero complesso.