Palazzo Cipolla di Roma ospita la prima grande esposizione italiana dedicata a Raoul Dufy (Le Havre, 3 giugno 1877 – Forcalquier, 23 marzo 1953). Dal 14 ottobre 2022 al 26 febbraio 2023.
Raoul non si indirizzava contro nessuno, non suscitava gelosia. Era un adoratore del sole. Lo immagazzinava e lo riproduceva sotto forma di barche, di violoncelli, di vasi di fiori, di palme.
Jean Cocteau
É in mostra a Palazzo Cipolla di Roma l’antologica di Raoul Dufy (Havre 1877 – Forcalquier 1953), curata da Sophie Krebs, conservatore del Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, da dove proviene la maggior parte delle opere esposte. Regate, ippodromi e corse di cavalli, marine, scene urbane da Parigi a Honfleur, Normandia e Costa Azzurra, nudi, bagnanti, feste, fiori, paesaggi scorrono sulle pareti fra dipinti, acquerelli, disegni, incisioni, ma anche motivi destinati ai progetti per la moda che Dufy creò in collaborazione con lo stilista Paul Poiret e la maison Bianchini-Férier. Punto forte dell’esposizione Raoul Dufy. Il pittore della gioia è la riproduzione in scala di una delle sue opere più celebri, l’enorme pannello (uno dei quadri più grandi al mondo, copre una superficie di 600 metri quadrati), che l’artista creò per il Padiglione dell’Elettricità all’Esposizione universale di Parigi del 1937 e il cui originale (La Fata Elettricità) si trova al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris.
Dalla nativa Normandia Raoul Dufy arriva a Parigi nel 1901 dove avviene l’incontro, decisivo, con la pittura di Matisse e con il gruppo dei Fauves. Sviluppando fin da subito una maniera tutta sua, che guarda ovunque da Matisse a Cézanne al Cubismo, ma da tutti si distingue per il disegno libero, rapido e morbido nel contempo, per i tocchi frammentati e vibranti, i virtuosismi calligrafici, che gli garantiranno successi e notorietà già in vita (nel 1952, un anno prima della morte, vincerà alla Biennale di Venezia il Gran Premio internazionale per la pittura).
L’inizio secolo, periodo di formazione del pittore di Havre, porta il segno di un rinnovamento profondo, il segno di un’arte icastica, che si affida soprattutto alle immagini, all’invenzione di un verbo poetico accessibile a tutti i sensi. Pittore che racconta, Dufy elude il soggetto per una sorta di magica indeterminatezza quando il segno si posa sul colore con svagata semplicità. Un’estetica dove la forma viene prima del contenuto e questo forse lo relegò al ruolo di “charmant petit maitre” in un periodo in cui l’impegno dichiarato era imperativo. La pittura per la pittura, un limite se si pensa all’arte coeva di Picasso, al suo impegno riassunto nella celebre frase “La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti“. A scavare però oltre l’apparente semplicità della forma, che ha fatto spesso attribuire a Dufy la patente di superficialità, disinvoltura, mondanità, si scopre un’elaborazione minuziosa, un’attenzione e una sensibilità che fanno riflettere.
L’antologica di Roma comprende un numero importante di opere, 160, ed un percorso che documenta l’intero iter creativo dell’artista, dalle prime esperienze impressioniste, anni in cui si ispira a Monet, Pissarro, Boudin, Manet, all’ammirazione per Matisse, l’adesione al Fauvismo e il suo superamento. Fu un viaggio all’Estaque in compagnia di Georges Braques e lo choc visuale del “Midi” a confermarlo nella sua vocazione coloristica. Il colore diviene da allora sempre più tramite di stati d’animo e di emozioni. Tra il 1903-4 Dufy soggiorna a Marsiglia, si avvicina, rielaborandola e ripensandola, alla ricerca di Cezanne. Scrive: “Nella pittura l’elemento essenziale è il colore. Il colore è un fenomeno della luce. Per i colori la natura si serve della luce. Per captare la luce il pittore si serve dei colori”. Come Matisse, Derain, Renoir, giunge sulla costa del Mediterraneo per vivere una sua personale esperienza del colore.
In mostra la Grande Bagnante dipinta nel 1914 quando si era già esaurita la spinta innovativa dei Fauves, che lo avevano affascinato per l’uso del colore puro, libero, fuori dagli schemi. L’opera si staglia tra la produzione del primo periodo dell’artista influenzata dalla lezione di Cézanne.
La violenza cromatica del paesaggio di Provenza, il viaggio in Italia e in Sicilia 1922-23, (Paesaggio siciliano, Taormina, 1923), gli fanno scoprire l’importanza del mito, il gusto per l’allegoria, il ruolo fondamentale del colore. Anfitriti e sirene, delfini e regate, la folla dei vacanzieri, bagnanti, pescatori, architetture classiche reinventate. Il colore-luce di cui sono impregnate le sue tele è frutto dell’esperienza sulle sponde del Mediterraneo. Finirà con lo stabilirsi definitivamente nel Sud della Francia: Vence, Antibes, Nice sono i luoghi e i paesaggi, che assieme alle sale da concerto e le corse di cavalli il pittore predilige e dipinge con autentico trasporto poetico.
La mostra, suddivisa in 13 sezioni tematiche, racconta il percorso dell’artista a partire dagli inizi (Caffè all’ Estaque, 1908), sulle orme di Cezanne, toccando i temi prediletti, marine e vedute dei litorali della Normandia (Il molo di Honfleur, 1928, Case a Trouville, 1933) e della Costa Azzurra (La Jetée -promenade à Nice, 1926), ippodromi, cavalli al galoppo, miti e paesaggi, incisioni di libri, moda, musica, fiori, atelier (Atelier con torso, 1946) per finire con la grande decorazione “poetica, storica e pittorica“ della Fata elettricità, la sua opera più impegnativa, in cui si mescolano in maniera perfetta modernità e classicismo.