10 A.M. ART presenta a Milano una mostra completa e delicata, che attraversa l’opera di Lucia Di Luciano dagli anni ’60 ad oggi, tratteggiandone indirettamente la vita. A supportare il racconto il documentario scritto e diretto da Fabio Cherstich, che ha collaborato alla realizzazione della mostra. Visitabile fino al 9 maggio 2024.
Un effetto non voluto ma piacevole accoglie il visitatore oltre la porta vetrata di 10 A.M. ART. L’allestimento leggero della mostra dedicata a Lucia Di Luciano lascia ancora più spazio al bianco, che l’estetica white cube della galleria volutamente incentiva. Questa volta il riverbero delle luci chiare assume però un’intensità ancora maggiore, diffonde per lo spazio una sorta di nebbia, di coltre luminosa che ondeggia lungo lo spettro visivo e rende il primo sguardo difficile il tanto che basta a creare mistero. Nessun fastidio, solo l’impressione di starsi immergendo in qualcosa di riservato, che accetta di mostrarsi solo a patto di un sincero coinvolgimento e della giusta delicatezza.
A chiederlo sono le ultime tavole dipinte da Di Luciano, sicuramente le più intime e personali, se non altro per le ragioni disinteressate con cui vengono realizzate. A 91 anni è una donna che conserva per piacere e necessità le sue abitudini: ogni giorno si alza, sveglia gradualmente se stessa, la casa, lo studio; poi inizia a dipingere senza sapere dove il gesto la condurrà. Principalmente è una forma di ricordo, del suo lavoro, della sua vita, trascorsa in modo simbiotico col marito Giovanni Pizzo, anch’egli pittore, deceduto nel 2022 a Roma. I due hanno condiviso la vita e l’arte, che come spesso accade finiscono per coincidere.
Si erano conosciuti proprio nella Capitale, all’Accademia di Belle Arti. Nel 1959 il matrimonio. A legarli l’affetto personale e la passione per l’arte cinetico-programmata. Nel 1964 danno vita all’Operativo R, coinvolgendo nella compagine Carlo Carchietti, Franco Di Vito e Mario Rulli. I lavori prodotti in quel periodo prendono le mosse dall’analisi di processi visivi di matrice gestaltica. In mostra, li troviamo al piano di sotto, una sorta di flashback, di antefatto, di storico della sua produzione attuale. Accostati vediamo cinquant’anni di ricerca, di coerenza e innovazione.
A partire dalle sovrapposizioni di griglie in bianco e nero, che conferiscono all’immagine un’evidente pluridimensionalità, dove domina una ricerca formale basata su complesse regole matematiche e capace di simulare le strategie della tecnologia senza mai farne uso diretto. Solo il titolo di alcuni di questi lavori – come Articolazione strutturale discontinua (1962) – restituiscono il livello di riflessione profuso. In un contesto privo di colore e volutamente anti-emozionale, Di Luciano si specializza così nella realizzazione di composizioni psichedeliche in bianco e nero, dominate da quadrati e rettangoli matematicamente sequenziati.
Solo qualche anno dopo (1964) le opere guadagnano ritmo, diventano partiture melodiche per lo sguardo dello spettatore, portato a spasso da uno serie di impulsi, vibrazioni e tensioni che animano opere come Struttura ritmica N.2. Una decade dopo la griglia è ancora presente, immancabile, ma ha guadagnato il colore, capace di ammorbidire la sinfonia formale proposta. Cromo struttura (1978) e Variazioni cromatiche (1) (1982) testimoniano un passo ulteriore nell’indagine sulla percezione ottica, che Di Luciano esplora aggiungendo un’inedita verve immaginativa, senza dimenticare il rigore scientifico che domina su qualsiasi suggestione emotiva. É una griglia mentale a cui Di Luciano non rinuncia mai: come nella sua testa, così sulla tela.
La maturità massima, in tal senso, è rappresentata in mostra da Cromo struttura N.27. Un’opera ambiziosa e complessa, la cui riuscita è garantita solo da un’estrema precisione nella disposizione di forme e colori. Dietrologicamente, volendo trovare un momento, un’opera in cui si raggiunge l’apice di questo approccio, che dunque inizierà poi a digradare verso altre direzioni, è Variazione N.7 (1999). Qui la griglia per la prima volta sembra regredire. Non è assente, ma si determina indirettamente grazie al colore, che in modo inedito sembra ritagliarsi uno spazio dominante. Non sarà sempre così: nel 2017, per esempio, l’artista dipinge Minimal 5. La griglia torna prepotentemente in un fitta rete di incroci, mentre il colore è assente. Eppure le linee tremano, sono tracciate a mano libera e con tratto volutamente incerto, lontano dalla precisione da righello mostrato per tutta la carriera. É l’argine del rigore che inizia a cedere.
Per quanto ricercati, desiderati, costruiti accuratamente, arriva un momento in cui i limiti perdono l’effetto generativo e di loro non rimane che l’impegno implicito. Oggi, come negli ultimi due o tre anni, Di Luciano dipinge per il gusto di dipingere, di mantenere l’abitudine principale della sua vita. Un cavalletto, un pennello, la trasposizione di sé sulla tela. Ne risulta l’impronta del passato, di Giovanni Pizzo, di una vita non convenzionale eppure fatta delle stesse emozioni che viviamo tutti, ora finalmente libere di esprimersi senza restrizioni.
Nel 2022 l’artista inaugura Minimal, una serie di delicatissimi e sognanti paesaggi astratti, dove possiamo scovare richiami a Mirò o, in tempi più recenti, a Etel Adnan. Colori pastello, forme geometriche (gli irrinunciabili quadrati) e segni tremolanti compongono una topografia senza coordinate, di luoghi inesistenti e irrintracciabili, capaci però di generare un’eco quasi fiabesca, priva di legami realistici eppure presente, da qualche parte, in tutti noi.
Nel 2023, un passaggio ulteriore. Quel quadrato un tempo preciso e circoscritto ora appare sciolto (Senza titolo), deformato, come se i confini che gli davano forma si fossero improvvisamente dissolti e alla stregua di un fluido esso possa ora lasciarsi andare, assumere la posizione scomposta di chi non ha regole. Sono pennellate pure come puro è il colore, acceso come mai è stato, gratuito perché finalizzato al solo scopo di esistere per se stesso. Non c’è effetto ottico, artificio percettivo, sovrastrutture da assimilare. Rimane il gusto impagabile dell’arte per l’arte. O forse di più: della vita per la vita. Senza uno scopo, colma di ricordi, piena di speranza.