“Riflessi sommari. È tutto oro quello che luccica” è il titolo della mostra di Favelli inaugurata presso lo Studio Sales di Norberto Ruggeri a Roma
“Ori della vita e di specchi scaduti e rigati che fanno riflessi fiocchi e per questo più fondi”. Sono i soggetti prediletti dall’artista bolognese Flavio Favelli nella sua quinta personale, inaugurata presso lo Studio Sales di Norberto Ruggeri a Roma. La mostra Riflessi sommari. È tutto oro quello che luccica – accompagnata da un testo dialogato tra l’artista e Saverio Verini – sembra anzitutto avere a che fare con il ricordo della “gran varietà di oggetti, cose e materiali che erano a casa dei miei nonni a Bologna. Le scatole di latta, di sigarette e di dolci, che si conservavano come contenitori, avevano gli interni usurati e segnati con rigature, abrasioni e macchie che facevano disegni e figure e forme strane e poi luccicanti – rivela Favelli – erano le uniche irregolarità di un mondo ingessato, di buon gusto”.
Entità eteroclite
Dopo sei anni di silenzio l’artista sceglie di prestare ascolto alla sua ricorrente ispirazione aurea, ponendo al cospetto del fruitore una selezione di entità eteroclite. Che paiono ridestare Le parti pris des choses, quella raccolta di poesie nella quale Ponge mette sottilmente in luce una sorta di animismo dell’arredo, di vivacità intraveduta nelle pur mute suppellettili casalinghe. Il palazzo entro cui inoltrarsi per raggiungere lo Studio Sales, che sa di un decadente fascino patinato, di scalinate antiche e di altissime volte, già prepara l’osservatore allo spirito dell’esposizione. O, per meglio dire, al carattere molteplice delle opere di Favelli. Che spaziano senza posa, ma anche senza affanni, tra il venerando regressivo, il monitorio solenne e il logoro realistico.
L’artista, nato a Firenze, giustifica lo stordimento evocativo dei suoi oggetti d’arte con le memorie del bambino Favelli, che andava a messa con la nonna in una chiesa dove era inevitabile il ripetuto impatto con un Guido Reni di sette metri. “In un ambiente ovattato, ordinato e di cose fatte per bene le pitture nascoste, gli sfregi inattesi su monocromi anonimi, i quadri dormienti e non riconosciuti mi hanno rapito. Sono stato un interlocutore di queste fonti di scatolame che cessavano di essere mute e sorde e si aprivano a un racconto”. Dunque, benché specchi, frammenti di cornice e assemblage di carte d’oro possano lasciar indovinare, sulle prime, l’affiorare di un represso anti-funzionale, semplicemente estetico, occorre fare i conti con una dimensione più profonda, narrativa, che chiede con discrezione d’essere rintracciata e accolta.
La pelle delle cose
Interessa a Favelli “il dentro e la parte nascosta” laddove ci sono “velature che lambiscono la psiche e ci mettono a colloquio con i nostri retri”. Interessa a Favelli sollevare la pelle delle cose non per brama voyeuristica, non per furtiva ambizione. L’opera, sommariamente, come il titolo vuole, rifuggendo l’ombra, riluce da sé. Si palesa per gradi il motivo dell’impermanenza cui far fronte. Una declinazione aurea e cosale del tema dell’Ubi sunt. Dove sono i giorni felici delle feste natalizie trascorse dai nonni, i momenti estatici dello scarto dei cioccolatini? Cosa resta venuta via la doratura? All’horror vacui si rimedia con lo sfavillio del ricordo.
“Quando vedo una certa cornice in oro zecchino o una carcassa di lavatrice o un piatto finemente decorato non faccio distinzione – sottolinea l’artista – perché il punto è creare una nuova immagine, una nuova cosa, spesso in disaccordo o di spirito contrario all’oggetto stesso. Da un certo punto di vista lo rovino, lo taglio, lo contamino. Ma non è questo lo spirito della nostra cara civiltà dalla Bibbia in poi?”. Ed ecco che, come per incanto, tra il suscitato senso del pratico, dell’edonistico, dell’emotivo, affiora anche il motivo della temporalità. Che non può non richiamare il sonetto baudelairiano La morte degli amanti nel quale fra divani, mensole, specchi opachi e porte Fredric Jameson individua il trionfo dell’arredo sull’uomo e lo schiudersi della via che conduce l’arte tutta al sublime isterico nel suo sviluppo post-umano.