Terzo episodio della rubrica realizzata da BIPART Studio Legale che per i prossimi mesi ci porterà a conoscere alcuni importanti galleristi italiani sotto un profilo decisamente più personale: sulla falsariga del questionario a cui rispose Marcel Proust, e dal quale prese il nome, scopriamo gusti e aspirazioni dei nostri interlocutori. Oggi parla Michela Rizzo
Galleria Michela Rizzo (Venezia)
Come ha scelto il nome della sua galleria (e cosa vuole esprimere con tale denominazione)?
La galleria porta il mio nome. È un’assunzione di responsabilità.
Qual è il motto della sua galleria?
Avanti tutta. Questa è la rotta, questa è la direzione, questa è la decisione (Finale di La linea d’ombra, Jovanotti).
Si sceglie prima l’artista o il tema? Qual è il filo rosso che lega le vostre scelte?
Non c’è una regola. Il lavoro è fluido, le priorità intercambiabili. Riguardo al filo rosso, le modalità in cui l’artista si esprime possono essere diversificate e non ho adottato una linea di pensiero particolare. Il lavoro deve essere rigoroso, frutto di una ricerca autentica, concettualmente significativo e formalmente risolto.
Qual è la qualità che apprezza di più in un artista?
La libertà di pensiero e la capacità di tradurre in opera concetti complessi, a volte infiniti.
Qual è la qualità che apprezza di più in un’opera?
La capacità dell’opera di elevare il mio stato d’animo, anche e malgrado i temi trattati possano essere forti e non facili da elaborare.
Ha una istituzione/galleria di riferimento (e se sì quale)?
CIMA. La Fondazione che Laura Mattioli ha aperto a New York per supportare l’arte moderna italiana. È un luogo di eccellenza, le cui mostre negli anni sono riuscite a influenzare le scelte dei musei americani che riguardano l’arte del nostro paese.
In quale ambito la sua galleria può migliorare?
Un sacco di cose. Sicuramente gli obiettivi economici, a volte considerati laterali, e l’incrementare la partecipazione alle fiere internazionali, per veicolare ulteriormente il lavoro della galleria e il percorso degli artisti rappresenti.
Qual è l’aspetto che le piace maggiormente della sua professione e che le dà maggior soddisfazione?
Aprire le casse appena arrivano le opere e predisporle per l’allestimento mi dà sempre una forte emozione. La costruzione di un rapporto virtuoso e duraturo con un artista, che sovente culmina in una relazione di stima e amicizia, è l’aspetto che mi dà maggiore soddisfazione. Non ultimo la vendita, che è sempre un momento magico che si crea tra gallerista e collezionista.
Ha, o vorrebbe avere, una galleria anche all’estero (e se sì perché)?
Al momento l’obiettivo è aprire a Milano, con altri tre colleghi. Penso che lo spirito del tempo sia la collaborazione, e non più l’individualismo che ha caratterizzato gli anni 90 e il primo decennio del 2000, e che ormai è superato.
Come pensa che si evolverà il mondo dell’arte e la sua fruizione (anche in relazione alle nuove tecnologie, alla blockchain e al metaverso)?
Sinceramente non ci penso più di tanto, ho troppo lavoro da fare.
Arte e diritto: tutela o vincolo (anche alla luce dell’applicazione del diritto di seguito e del diritto di produzione dell’opera riservati agli artisti)?
Il diritto di seguito va tutelato, poiché nei vari passaggi di vendita non è giusto che lucrino solo mercanti e privati, alle spalle dell’autore. Ritengo però che le categorie che si spendono per veicolare il lavoro dell’artista e che portano avanti un lavoro di ricerca e di produzione culturale, come le gallerie che trattano il mercato primario, vadano altrettanto tutelate e liberate da ulteriori costi e incombenze.
Le risposte di Michela Rizzo di Galleria Michela Rizzo sono state raccolte da Rachele Borghi Guglielmi di BIPART Studio Legale.