“30 years” è il titolo della grande collettiva che festeggia i tre decenni di attività della galleria Monica De Cardenas, a Milano. Ecco cosa ci ha raccontato la gallerista in occasione di questo traguardo, sul presente e il futuro di un mestiere e delle sue relazioni con artisti e collezionisti
Dalla A di Maurizio Arcangeli, passando per D come Rä di Martino, K di Alex Katz e a seguire Julian Opie, Gabriel Orozco, S come Thomas Struth, fino alla V di Franco Vimercati: sono solo alcuni degli artisti che hanno lavorato, negli ultimi trent’anni, con la gallerista Monica De Cardenas. E che da oggi, fino all’11 marzo, sono in mostra nella “casa” di via Francesco Viganò a Milano, insieme a moltissimi altri, per festaggiare questo traguardo decisamente importante per una galleria, ancor di più in questo periodo incerto.
Abbiamo intervistato, per l’occasione, Monica De Cardenas che, proprio trent’anni fa, agli inizi del 1993, presentava la prima personale italiana di Thomas Struth, con una serie di fotografie create per l’occasione…
Trent’anni di galleria, proponendo generazioni differenti di artisti ma mantenendo sempre la stessa “casa”: se lo aspettava questo traguardo?
Certamente me lo auguravo! Quando ho aperto questo spazio a Milano, in via Viganò, la galleria era anche la mia abitazione. Poi io mi sono trasferita in appartamento nello stesso stabile, la galleria è diventata più grande e nel frattempo ho inaugurato una nuova sede a Zuoz, in Engadina, vicino a St. Moritz. Chesa Albertini è una tipica costruzione di montagna del quattordicesimo secolo restaurata dall’architetto Hans-Jörg Ruch che ha conservato la sua antica struttura. Quelli che una volta erano una stalla e un fienile, nel 2007 sono diventati luminosi e ampi spazi espositivi. Qui, oltre a ospitare mostre degli artisti internazionali contemporanei che rappresento, ho organizzato e organizzo esposizioni dedicate a maestri della storia dell’arte italiana: Fausto Melotti, Carol Rama, Marisa Merz, Gianni Colombo, per fare qualche esempio.
Positivo e negativo: in cosa è cambiato il mestiere di gallerista dagli anni ’90 ad oggi?
Il mondo dell’arte è diventato globale, ci sono molti più artisti e ovviamente anche molte più gallerie. Ma soprattutto ora si comunica in tutto il mondo. Ricordo bene come all’inizio inviavamo con la posta ai nostri clienti i fotocolor delle nuove opere. Adesso in pochi secondi possiamo informare su tutte le nostre novità con immagini e filmati. E i nostri clienti ora vivono non solo in Europa e negli stati Uniti ma anche in Corea del Sud, a Taiwan o in Australia.
Nell’annuncio della collettiva che festeggia il trentennale della galleria si legge anche della volontà, appunto, di mantenere uno spazio che abbia una dimensione “privata”, un appartamento vero e proprio nel quale il collezionista possa avere una anteprima delle opere installate nella propria casa: ci sono stati dei momenti in cui ha pensato di traslocare in altre zone o in altre città?
Quando 30 anni fa ho aperto a Milano, Garibaldi e Porta Nuova erano considerati periferia e non un quartiere diventato anche simbolo della trasformazione di questa città. Non c’erano né i grattacieli né piazza Gae Aulenti e in corso Como si arrivava in macchina! Ma mentre tutto quello che sta intorno è completamente cambiato, mi continua a piacere la dimensione intima, domestica e accogliente della mia galleria che è ancora un vero e proprio appartamento che affaccia nel verde del giardino di uno stabile degli anni ’30.
Come ha scelto, in questi anni, gli artisti con cui lavora e che rappresenta?
Ho sempre fatto molta ricerca. Viaggio, visito fiere, mostre e studi di giovani artisti. La mia è un’esplorazione continua per trovare nuovi talenti capaci di farci vedere il mondo in nuovi modi e da nuove prospettive. O artisti che sanno approfondire la nostra visione e la percezione della vita e delle relazioni con tutto quello che ci circonda.
Prospettive per il futuro: come si immagina la galleria “del domani”? Che cosa, al contrario, non potrà mai venire meno in questa professione?
Posso dire che quello che non deve cambiare è il rapporto diretto, sincero e complice che un gallerista deve avere con tutti i suoi artisti ma anche con i suoi collezionisti.