Le classi dirigenti emergenti puntano (anche) sull’arte contemporanea per la loro “nuova” Arabia. Con una pulsante Art Week a Riyadh. PRIMA PUNTATA
Un fiume di automobili. Uscendo dal King Khalid International Airport per andare verso il centro di Riyadh, non ci sono alternative. Difficile contattare il driver Uber, perché il roaming dei dati non funziona in Arabia. E – scoprirò poi, dopo lunghi tentativi – acquistare una Sim locale è pressoché impossibile. Riesci a scoprire che l’autista guida una Toyota, esci a cercarlo, ma ci sono centinaia di Toyota! Tutte uguali. Alla fine ti avvii per la lunghissima King Fahad Road, l’arteria della moderna capitale, e pian piano capisci le ragioni del caotico traffico. Non esistono trasporti pubblici. Niente bus, tram, treni, solo una piccola linea di metropolitana, al servizio della Princess Noura University, l’università femminile più grande del mondo.
Un preambolo apparentemente secondario, ma che aiuta a introdurre la realtà sociale e culturale dell’Arabia Saudita. Un paese anomalo, dalla storia contrastata. Una storia cortissima, con poche eccezioni che confermano la regola. Entrando – anche se da osservatore esterno – nell’immaginario storico arabo, la sensazione è che il loro Medioevo sia collocato nel 1800, il loro Rinascimento agli inizi del novecento. Non è questa la sede in cui avviare un approfondimento del genere, ma la questione ha radici profonde. Intanto il carattere nomade nei nuclei sociali, che ha ritardato di secoli la creazione di insediamenti e di forti identità. E poi le tecniche costruttive: edifici realizzati con mattoni non cotti, e quindi raramente resistenti a lungo.
Beato isolamento
Anche in ragione di questo contesto storico, la popolazione araba – i comuni cittadini, fanno eccezione i molti dignitari o sceicchi – vive in una sorta di bolla. La citata carenza nelle comunicazioni limita la trasmissione delle informazioni, limita l’organizzazione di gruppi, limita l’emancipazione. Nei giorni di soggiorno a Riyadh non ho visto un’edicola, una sola libreria, peraltro chiusa. Un’omologazione accentuata dall’abbigliamento – quasi tutti indossano il thawb, la lunga tunica -, e anche dal panorama urbano. Quasi sempre casette basse, sempre di color sabbia. Ma la popolazione vive questo stato di isolamento con felicità, forse alimentata da inconsapevolezza. Tutti amano il Re Salman, tutti rispettano le autorità.
Un “beato” isolamento, che vale anche all’inverso. Qui arrivano a rilento la modernità, il progredire del dibattito sociale, l’ecumenismo delle nuove generazioni occidentali. Ma ora occorre tracciare una cesura. Perché nella scala sociale del regno si vanno facendo largo anche qui, le nuove generazioni. Principi o emiri che mediamente hanno studiato Business Economics a Londra, che parlano correntemente quattro lingue, che viaggiano incessantemente. Che conoscono i ritmi di vita moderni, e non ne disdegnano anche il life style. E sembrano decisi a cambiare le cose in Arabia.
New age saudita
A paradigma del “nuovo” politico saudita si presta sicuramente il principe Moḥammad bin Salmān, figlio dell’attuale re Salman e primo nella linea di successione al trono. Primo ministro del paese dal settembre 2022. È lui – è un esempio, ma decisamente calzante – a tessere le trame della candidatura di Riyadh a sede dell’Expo 2030, un impegno che già sta trasformando la metropoli in un immenso cantiere. E potrebbe essere un punto di arrivo – e di partenza – per questa new age saudita. Una strategia che ha ben compreso l’importanza dell’arte contemporanea nella presa di coscienza della realtà attuale e nel rafforzamento delle individualità.
È lo stesso principe bin Salmān ad aver fondato nel 2017 a Riyadh il Misk Art Institute, organizzazione dedicata a potenziare a vari livelli la crescita di una comunità creativa in Arabia Saudita. In particolare nel supporto agli artisti emergenti, con progetti didattici e opportunità di crescita e interscambio di esperienze creative. Grazie anche a importanti disponibilità finanziarie, la struttura riesce a muoversi su standard qualitativi molto elevati con aggiornatissimi protocolli. Che si traducono in un dinamico programma di mostre, pubblicazioni, workshop, residenze.
Una piattaforma per le arti e la cultura
L’evento annuale di punta dell’istituto è la Misk Art Week, che ha appena celebrata la sua sesta edizione. Una fitta settimana di eventi che si è già affermata come momento cardine nel panorama culturale dell’Arabia in questa nuova chiave di apertura. Rispetto al quale il principe, e lo staff che lo supporta, ha ben compreso quanto sia importante e necessario lo sguardo internazionale. Ne è prova l’ufficio stampa scelto, fra i più attivi sulla scena londinese e globale. E ne è lungimirante prova il coinvolgimento della stampa internazionale, che porta anche chi scrive a dar testimonianza di progetti seri, strutturati e inseriti in un progetto virtuoso e acutamente finalizzato. “Una piattaforma per l’apprendimento, il networking e la crescita artistica attraverso la lente della creatività“, sintetizza Reem AlSultan, CEO di Misk Art Institute. “In grado di offrire opportunità alle nostre comunità nell’arena delle arti e della cultura”.
E questa “arena” trova forma fisica nell’ampio e brulicante spazio che ospita il cuore della Misk Art Week. Edifici che presentano mostre, conferenze, masterclass, workshop, eleganti spazi aperti per concerti e affascinanti danze popolari, stand per artisti, designers, mostre satellite. Workshop creativi gratuiti aperti a tutto il pubblico. E un auditorium che accoglie il Creative Forum, fitto programma di conversazioni sui temi della memoria e della nostalgia. Senza disdegnare concessioni al food, con interessanti focus regionali. Tutto questo vi racconteremo nella seconda puntata di questo reportage: perché la storia dell’Arabia sarà anche recente, ma lo spirito degli arabi ha una profondità spirituale che merita grande attenzione…