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Sesso, arte e dipendenza. La fotografia di Nan Goldin, artista candidata all’Oscar

“Nan and Brian in Bed, NYC”, 1983Photography Nan Goldin, via New Yorker “Nan and Brian in Bed, NYC”, 1983Photography Nan Goldin, via New Yorker
“Nan and Brian in Bed, NYC”, 1983Photography Nan Goldin, via New Yorker
“Nan and Brian in Bed, NYC”, 1983. Photography Nan Goldin, via New Yorker
Nan Goldin è salita (nuovamente) alla ribalta dopo la candidatura all’Oscar del documentario di Laura Poitras – All the Beauty and the Bloodshed – a cui l’artista ha preso parte. Ma sono decenni che la fotografa si è imposta come una delle figure più originali e autorevoli del sistema artistico. Ecco come.

Nancy Goldin è nata a Washington, DC, nel 1953, la più giovane di quattro figli in una famiglia ebrea di estrazione borghese. Quello che pare un quadro familiare del tutto consueto viene sconvolto dai problemi psichiatrici sella sorella maggiore di Nancy, Barbara. Dopo vari ricoveri in istituti specializzati, la ragazza si è tolta la vita a 18 anni. Nancy, che al tempo di anni ne aveva 11, registrò indelebilmente il trauma.

É anche per questo che a soli 14 anni scappa di casa e si dirige verso Boston, dove trova alloggio in una casa famiglia. Qui scopre la fotografia e conosce una persona, un ragazzo, David Armstrong, che si rivela cruciale per la sua crescita come donna e artista. Un contributo simbolicamente raccolto nel soprannome che Armstrong le diede, che ancora oggi la identifica con precisione: Nan. Nan e David vanno a vivere insieme, condividono la passione per l’arte, la fotografia e il mondo queer. Per loro è un “terzo genere, molto più sensato degli altri due“. Il sogno di Nan diventa portare una drag queen sulla copertina di Vogue. Ma soprattutto comprende che la fotografia è un modo per perpetuare la memoria, conservare le immagini delle persone che le sono care. Così si iscrive alla School of the Museum of Fine Arts, Boston. Nel ’73 ha la sua prima esposizione al Project, Inc. di Boston. Dopo il diploma approda nella città dove i sogni prendono vita: New York.

“Misty and Jimmy Paulette in a Taxi”, NYC, 1991Photography Nan Goldin, via Wikipedia
“Misty and Jimmy Paulette in a Taxi”, NYC, 1991. Photography Nan Goldin

Qui prende corpo, tra il 1979 e il 1986, la sua serie fotografica più celebre: The Ballad of Sexual Dependency. Inizialmente uno slideshow di 45 minuti (che aveva come colonna sonora le canzoni dei Velvet Underground, James Brown, Nina Simone e Charles Aznavour), diventerà poi un libro. Ad ogni modo, si tratta di una carrellata di 700 immagini che ritraggono lei e il suo gruppo di amici nei bar, nei locali notturni, nei luoghi più underground della città. Tantissimi gli autoritratti. Del resto Nan Goldin ha 33 anni e non è spettatrice della sua vita, ma vuole viverla appieno. The Ballad of Sexual Dependency non nasce dall’osservazione, ma dalle relazioni con i luoghi e i soggetti.

È opinione diffusa che il fotografo sia per natura un voyeur, l’ultimo invitato alla festa. Ma non mi ci rivedo; questa è la mia festa. Questa è la mia famiglia, la mia storia.

Una storia fatta di feste, bar, ozio, sesso, treni, viaggi, gioia e dolore condivisa con amici dalle abitudini non certo tradizionali, spesso affetti da varie dipendenze. E proprio su questa poetica si regge The Ballad: il contrasto tra un’espressione totalmente libera di sé e la dipendenza che questa autonomia spesso implica. Dipendenza, dalle droghe per esempio, di cui la stessa Goldin soffre. Tanto che nel 1988 torna a Boston per ricoverassi in una clinica riabilitativa.

Di ritorno a New York, Nam Goldin trova i suoi amici e la comunità che frequentava affetti da una piaga drammatica: l’AIDS. Così dedica gli anni 90′ all’attivismo e alla sensibilizzazione sul tema, aggiornando The Ballad con le immagini tragiche di questi anni. Inizia a fotografare stanze vuote, paesaggi e skyline. Le raccoglie in nuove pubblicazioni: The Other Side, A Double Life (realizzato con Armstrong), Tokyo Love (con Nobuyoshi Araki). Nel 1996 il Whitney Museum di New York le dedica una restrospettiva, I’ll Be Your Mirror, che si muove poi in diversi musei, anche europei.

"Self Portrait writing in my diary", Boston 1989Photography Nan Goldin
“Self Portrait writing in my diary”, Boston 1989. Photography Nan Goldin

Agli inizi del 2000 Goldin è costretta a tornare in riabilitazione. Dal Roosevelt Hospital di New York, dov’è ricoverata, scatta alcune foto di Manhattan che confluiscono nel libro The Devil’s Playground (2003). Altri importanti lavori dell’epoca sono Le Feu Follet (2001) e Chasing a Ghost (2006). Nel 2007 Goldin vince il prestigioso Hasselblad Award. Nel 2010 il Louvre le commissiona una mostra e un nuovo lavoro: Scopophilia. L’opera unisce le fotografie di Goldin con quelle delle opere storiche del museo, tracciando connessioni dirette tra le rappresentazioni del desiderio, della sessualità, del genere e della violenza nel corso di migliaia di anni. Nel 2014 pubblica Eden and After, in cui confluiscono foto scattate a diversi bambini, soprattutto quelli dei suoi amici, nel corso di 30 anni di attività.

Una ventata di freschezza che non riesce a sollevarla dalle sue dipendenze, le quali la conducono quasi alla morte. Ma nel 2017 è di nuovo in piedi, più combattiva che mai, e dichiara guerra alla famiglia Sackler. Non è la prima a scagliarsi contro i proprietari della Purdue Pharma, produttori dell’OxyContin, farmaco responsabile della dipendenza e della morte di numerose persone. Sackler che, tra l’altro, cercano da tempo di ripulire il loro nome associandosi a importanti istituzioni museali e promuovendo l’arte.

Per questo Goldin, fondato il collettivo P.A.I.N. (Prescription Addiction Intervention Now), inizia una serie di proteste nei musei mettendo in evidenza l’operato dei Sackler. Nel 2018 è al MET di New York, poi si muove a Washington, Boston e poi torna a NY al Guggenheim. Il suo obiettivo è denunciare i crimini della Purdue Pharma e portare i musei a rinunciare alle loro sovvenzioni. La prima a farlo è la National Portrait Gallery, proprio dopo che Nam Goldin ha minacciato di non autorizzare la retrospettiva su di lei a cui il museo stava lavorando. Anche la Tate ha poi dichiarato che non avrebbe più accettato le donazione dei Sackler. Un domino a cui si sono aggiunti Met, Guggenheim, British Museum, Serpentine Galleries, Louvre, National Gallery in London, South London Gallery e Victoria and Albert Museum.

É su questa esperienza, oltre che sulla vita di Nam Goldin, che si concentra il film All the Beauty and the Bloodshed, già vincitore del Leone d’Oro alla Biennale del Cinema di Venezia e ora in corsa per un Oscar.

“Joana avec Valérie et Reine dans le Miroir”, 1999Photography Nan Goldin, via animophotography.blogspot.co.uk
“Joana avec Valérie et Reine dans le Miroir”, 1999. Photography Nan Goldin, via animophotography.blogspot.co.uk
“Rise and Monty Kissing, NYC”, 1980Photography Nan Goldin, via MoMa
“Rise and Monty Kissing, NYC”, 1980. Photography Nan Goldin, via MoMa

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