Print Friendly and PDF

“KAKUMA. Fishing in the desert”, diario di un viaggio senza catarsi

ph F.Pitto
ph F.Pitto

C’è tempo ancora fino al 29 gennaio per vedere lo spettacolo di Laura Sicignano “Kakuma. Fishing in the Desert” in scena al Teatro Nazionale di Genova

E’ certo che non tutti abbiano coscienza di cosa sia veramente un campo profughi, da chi sia sostenuto e come funzioni. Il lavoro  presentato da Laura Sicignano affronta questo tema e ne fa un quadro perfetto. Del resto la regista genovese ha fatto esperienza sulla sua pelle recandosi nel giugno scorso a Kakuma,  uno dei più grandi campi profughi al mondo che si trova al confine tra Kenya e Sud Sudan. Un campo dove vivono circa duecentoventimila persone, fuggite dagli infiniti conflitti che agitano i Paesi circostanti. 

Lo spettacolo, in questi giorni alla Sala Mercato del Teatro Modena a Genova, dal titolo KAKUMA. Fishing in the desert, nuova produzione del Teatro Nazionale di Genova, è infatti il frutto di un’esperienza diretta, toccante, di quelle che lasciano il segno,  di chi ha voluto trascorre alcune settimane della sua vita tra quelle persone che, oltre ad aver sofferto, probabilmente non avranno mai un futuro. 

La Sicignano fa un chiaro resoconto di quanto visto e sentito, un primo studio era già stato presentato a settembre 2022 nell’ambito della Factory del Teatro Nazionale di Genova, e adesso è diventato uno spettacolo compiuto.  Potremmo definire questo lavoro un dossier, perchè del lavoro tetrale in senso tradizionale ha ben poco. A darle la mano nell’esposizione del suo racconto sono la brava attrice Irene Serini e la danzatrice Susannah Iheme. Due figure femminili forti che traducono bene le sensazioni di chi, trovandosi rinchiuso nel campo o per scelta o per forza, vive una vita lontana da quella di qualunque abitante di una città. Il palcoscenico della Sala Mercato diventa così un luogo di riflessione e documentazione.

La scenografia firmata Guido Fiorato presenta la desolazione di quel luogo attraverso i pochi oggetti di cui si fa uso all’interno: sedie (una diversa dall’altra), banchi di scuola, tavolini, bicchieri di plastica.  Tra questi oggetti, come un animale in gabbia, si aggira la danzatrice con fare poco rasserenante. La narratrice la guarda con sospetto e ne ha timore, cerca un approccio, ma ha poca fortuna, sembra ci sia un baratro fra di loro. Del resto la divisione è netta tra bianchi e neri, e questo viene sottolineato spesso. Sul lato sinistro del palcoscenico una tv mostra un video dei luoghi del campo che gira in loop. Proiettati qua e là anche i volti degli operatori umanitari, che hanno dei nomi, nazionalità diverse, alcuni sono dei religiosi altri sono dei laci, tutti comunque presenti per cercare di “fare del bene”. 

Ma cosa vuol dire fare del bene a Kakuma? Davvero difficile dare una risposta se questo “fare” non è in grado di generare un aiuto effettivo che faccia cambiare le cose. La Sicignano è chiara in questa denuncia: i campi profughi sostenuti dall’ONU non cambieranno la vita di chi ci è dentro. Solo un numero risicato di loro ha la possibilità di farsi una vita migliore al di fuor dell’Africa, magari in America (il sogno americano è sempre attuale) o in Canada. Fishing in the desert, pescare nel deserto – il sottotitolo dello spettacolo – è un’utopia, ma è anche la direzione verso cui si sono mosse innumerevoli persone che hanno cambiato la Storia. Ed è in questo senso che si devono muovere gli uomini di coscienza: ognuno di noi può fare qualcosa che dia un senso alla propria vita oltre ad essere utile per gli altri.

ph F.Pitto

KAKUMA rinnova la la tradizione del teatro-documento, sempre portato avanti dal Teatro di Genova, certamente non è una piece che rispetta le regole aristoteliche per cui un dramma (mimesis, imitazione di azioni e di vita) trova una sua compiutezza nella creazione scenica, nella ricerca del senso più recondito e con lo scopo ultimo di ottenere la felicità attraverso la comprensione. Quello a cui si assiste sembra incompleto perchè manca la kátharsis, quel rito magico della purificazione, attraverso cui lo spettatore è alleviato da un carico emozionale potenzialmente nocivo. Anche se il teatro civile (così potremmo definire Kakuma) non è una tragedia greca, citando ancora Aristotele “per tutti deve esserci una qualche purificazione e un sollievo accompagnato da piacere. Ugualmente le melodie d’azione producono negli uomini una gioia innocente”. Ecco, allo spettacolo della Sicignano manca la melodia. 

www.teatronazionalegenova.it

Commenta con Facebook