Sulla falsa riga del Questionario di Proust, una serie di domande predisposte da BIPART Studio legale volte a conoscere meglio le più prestigiose gallerie d’arte italiane: oggi incontriamo la giovane Martina Corbetta
Martina Corbetta
Come ha scelto il nome della sua galleria (e cosa vuole esprimere con tale denominazione)?
Una bella domanda. Quando ho deciso di aprire il primo piccolo spazio espositivo ho guardato alle grandi gallerie, poi alle realtà più sperimentali, ma mi sembrava di essere un pesce fuor d’acqua. Volevo semplicemente aprire uno spazio dove fare mostre, organizzare eventi e poter parlare di arte. Avevo molta voglia di fare, ma le idee non erano molto chiare, di conseguenza anche il nome è diventato un componimento teatrale. Quando nel 2016 ho aperto, la mia vita era particolarmente frenetica, viaggiavo molto e mi sembrava carino dare una connotazione più internazionale e meno provinciale dato che stavo per aprire un rifugio in Brianza. Però non volevo neppure dare uno di quei nomi impronunciabili e difficili da ricordare. Così… ho pensato di fare un mix. Il mio nome – Martina, che tutto sommato mi è sempre stato caro – con l’aggiunta del genitivo sassone per connotare il luogo da inaugurare. Martina’s Gallery è stato il nome della galleria fino, circa, il 2018. Poi… nel 2018 ho cambiato spazio, mi sono trasferita in uno spazio molto ampio, che ad un certo momento mi ha fatto pensare: accidenti stiamo facendo sul serio! A questo punto ho dovuto raccogliere i pensieri e ammettere che Martina’s Gallery non mi stava poi così simpatico – nonostante ancora oggi ci siano degli affezionati al tema – e che la mia attività era troppo versatile per chiudermi all’idea convenzionale della galleria. Ho studiato critica dell’arte e amo la storia, vendere arte non era di certo la mia ambizione, l’aspetto commerciale è arrivato in maniera spontanea, ma preferisco credere che traffico pezzi di vita degli artisti. Lavorare con i giovani è stupendo perché hai la possibilità di veder nascere i progetti prima di poterli promuovere. Lavorare con gli storici è altrettanto meraviglioso perché li hai studiati sui libri e, ora, poterli toccare è una soddisfazione immensa. In definitiva… tutto è racchiuso nel più sintetico nome di battesimo Martina Corbetta. La semplicità ha vinto. Poter essere sé stessi è un dono.
Qual è il motto della sua galleria?
“Dai che spiana!”. Un motto che arriva dalla mia passione più grande: la montagna. Che sia una camminata, una corsa, una scalata… c’è sempre una salita da percorrere e una vetta da raggiungere. Per me il lavoro è la stessa identica cosa. Passione e obiettivi. Prima progetti e poi fai. E per ottenere il risultato devi darti da fare.
Si sceglie prima l’artista o il tema? Qual è il filo rosso che lega le vostre scelte?
Assolutamente prima l’artista. Per me l’artista è il cuore di tutto. Poi, insieme, si pensa al progetto e lo si realizza.
Quanto al filo conduttore… posso dire che sono amante della pittura in ogni sua forma, ma non necessariamente mi limito ad essa. Da piccola mi perdevo a guardare gli affreschi delle Chiese ed è lì che è nato il mio amore per l’arte. Poi il tempo ha sviluppato in me una sensibilità tale per cui le scelte vengono prese da quello che sento più affine alla mia emotività. Non credo si possa parlare di un certo gusto estetico.
Qual è la qualità che apprezza di più in un artista?
Costanza e metodo. Sono molto affascinata in generale dalla disciplina e credo che alla lunga la dedizione premi sempre. Tra le cose che amo di più c’è visitare gli studi degli artisti, questo ti permette di vedere oltre l’opera… ti dà la possibilità di percepire la sincerità dell’operato.
Qual è la qualità che apprezza di più in un’opera?
Parlando in termini tangibili, e non di contenuto, ammetto che non amo i lavori che lasciano i dettagli al caso. Per me un’opera deve essere curata in ogni sua parte: dai materiali, alla tela ben tirata, alla cornice perfettamente realizzata. Se parliamo invece di significato… apprezzo le opere spontanee, quelle dove si percepisce una ricerca non “ricamata”. L’opera deve riuscire in qualche modo comunicare da sola.
Ha una istituzione/galleria di riferimento (e se sì quale)?
Come galleria posso dire David Zwirner. Come istituzione sarò più nazionalista e dico Hangar Bicocca, è un luogo che mi mette pace. Trovo i Sette palazzi celesti di Kiefer un’installazione senza tempo.
In quale ambito la sua galleria può migliorare?
In tutti gli ambiti! Soprattutto scouting e comunicazione, penso siano le due cose alle quali vorrei dedicare più tempo. Per lo scouting bisogna viaggiare, guardare, scoprire. Per la comunicazione, è necessario sfruttare al meglio gli strumenti tecnologici e qualche volta ammetto essere a me ostili. Sono piuttosto tradizionalista e prediligo le relazioni vis a vis.
Qual è l’aspetto che le piace maggiormente della sua professione e che le dà maggior soddisfazione?
Sicuramente non ci si annoia mai! Sono una persona molto curiosa e questo lavoro soddisfa a pieno tutti i miei desideri. È un settore sfaccettato. Lavorare con gli artisti e i collezionisti ti permette di essere versatile e questo tutti i giorni ti insegna qualcosa. Devi sempre studiare, leggere, andare a caccia di belle mostre. Gli stimoli sono continui e una delle cose che preferisco è quando vedi, dopo mesi di idee, pensieri e confronti, una mostra allestita. Quel passaggio dalle pareti bianche all’allestimento è qualcosa di davvero gratificante.
Ha, o vorrebbe avere, una galleria anche all’estero (e se sì perché)?
Ho avuto per 3 anni un progetto di residenza artistica a Bali in Indonesia – Noa Noa Art Residency – poi è arrivato il covid ed è stato impossibile rimettere in pista il progetto. Assolutamente sì, penso che uscire dal nostro paese sia fondamentale, non solo per ragioni di apertura mentale, ma anche per opportunità economiche che in Italia incontrano difficoltà evidenti.
Come pensa che si evolverà il mondo dell’arte e la sua fruizione (anche in relazione alle nuove tecnologie, alla blockchain e al metaverso)?
Come anticipato, non sono un’amante della tecnologia. Certo riconosco la sua potenza, e capisco che ce ne sia bisogno, ma rimango fedele alla mia idea: le opere devono essere viste dal vero.
Arte e diritto: tutela o vincolo (anche alla luce dell’applicazione del diritto di seguito e del diritto di produzione dell’opera riservati agli artisti)?
Assolutamente tutela.
Le risposte di Martina Corbetta sono state raccolte da Gilberto Cavagna e Rachele Borghi Guglielmi di BIPART Studio Legale.