Fino al 18 giugno 2023 il Museo MA*GA di Gallarate ospita una colossale antologica volta ad indagare il poliedrico genio di Andy Warhol, attraverso oltre 200 opere dell’artista, tra cui eccezionali prestiti internazionali e un’installazione immersiva concepita all’Aeroporto di Milano Malpensa dal titolo Andy Warhol’s T.V. – Special Project, produzione video realizzata da MA*GA, MEET Digital Culture Center e SEA, dedicata alle produzioni televisive del più grande esponente della Pop Art.
Curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella, la mostra Andy Warhol. Serial Identity è il sorprendente risultato espositivo di anni di lavoro, durante i quali il MA*GA di Gallarate è riuscito a sviluppare un progetto ambizioso che coinvolge nella totalità i cinquemila metri quadri della sua struttura, per celebrare una delle massime icone della contemporaneità. La complessa vicenda artistica di Warhol, difficilmente ascrivibile a categorie prestabilite, è stata così ricostruita non perseguendo la canonica cronologia biografica, ma indagando la molteplicità di linguaggi indagati. Ne sono esempi l’incessante ricerca di ambiti espressivi nuovi e particolarmente innovativi, la capacità di scavalcare la tradizionale contrapposizione tra arte alta e bassa, o popolare, e soprattutto la dichiarata presenza di un evidente cortocircuito tra i vari Warhol: uomo, artista, imprenditore, scrittore, fondatore di riviste, di televisioni e programmi televisivi, scenografo, regista, produttore cinematografico e musicale, uomo di spettacolo, icona pop.
Un’ampia sezione dedicata ai disegni degli anni Cinquanta mette a fuoco la centralità del segno icastico di un artista colto, capace di veicolare nel gesto immediato riferimenti citazionistici alla classicità, coniugandoli in una sintesi personale all’immaginario visivo della società contemporanea. Emerge in questi lavori l’inesauribile potenzialità della blotted-line, tecnica che nella sua potenza espressiva consiste nel tracciare un disegno a matita su un foglio di carta non assorbente, a volte copiando o ricalcando una fotografia. In seguito questo tracciato viene ricalcato a inchiostro di china con una penna stilografica e impresso su un foglio di carta più assorbente. Il disegno finale risulta dai contorni delineati da più operazioni del genere. Questo procedimento permise a Warhol di eliminare l’aspetto di intervento manuale dell’artista e soprattutto di ottenere numerose copie da uno stesso originale, avvicinandolo irrimediabilmente alle frenetiche dinamiche della pubblicità. In costante equilibrio tra la meccanica della riproducibilità e l’unicità dell’operazione artistica, i disegni di questi anni sono già intrisi della polarità tra l’immediatezza del linguaggio pubblicitario e l’aura dell’unicum che caratterizzerà l’estetica di Warhol e il suo modus vivendi. La metodologia è la stessa che condurrà l’artista nelle imprese editoriali: le copertine di libri come Pistols for Two (1951), Love Is a Pie (1952) o A Gold Book (1957). Quest’ultimo progetto grafico, eseguito a mano in una tiratura limitata di sole cento copie, rappresenta uno dei primi grandi successi nella carriera dell’artista: un libro dalle pagine dorate che ne esaltano le litografie interne. Il manufatto, prezioso e al contempo algido, manifesta già a quest’altezza cronologica i topoi narrativi e visuali della successiva produzione warholiana: l’ossessione per la fama e la sua ambigua caratterizzazione di luci ed ombre, nella quale si alternano le tematiche dell’infanzia e di una sessualità viscerale, su cui aleggia costantemente il binomio amore e morte.
Oltre ai celebri cicli di Andy Warhol, come i Flowers, le Campbell’s Soup, i Death & Disasters, i ritratti di celebrità quali Marilyn Monroe, Jacqueline Kennedy, Mao Tsê-tung, e la famosa serie Ladies and Gentlemen, l’esposizione riserva un’inedito focus sulla produzione audiovisiva warholiana. L’operazione filmica rappresenta un’ulteriore campo di prova per l’artista, che ha saputo intercettare il mondo sonoro legato all’industria musicale dell’epoca e alle sperimentazioni cinematografiche, nel tentativo di indagare nella sua totalità la percezione dell’immagine. Rinnegando le modalità espressive hollywoodiane e le canoniche sequenze narrative, Warhol si approccia al grande schermo con la consueta indole provocatoria, seguendo le orme del cinema astratto di Hans Richter, attorno al quale gravitavano i massimi esponenti del Surrealismo: Marcel Duchamp, Man Ray e Max Ernst. In mostra è presente nella sua interezza la proiezione di Kiss, cortometraggio del 1963, tra i primi ad essere girati da Warhol nella sua Factory. Il corto, giocato su una sequenza di primissimi piani di amanti, mette in scena la celebrazione di un amore privo di categorizzazioni, espressione paradigmatica del cinema Underground.
Dal Museo di Pittsburgh sono inoltre in prestito i cinque episodi di Andy Warhol’s Fifteen Minutes, prodotti per l’iconica Andy Warhol TV, trasmessa dal 1985 al 1987, oltre ai video del 1981 realizzati per il Saturday Night Live, lo show tv più famoso d’America, considerati i vertici dell’opera televisiva warholiana. A questa sezione si aggiunge l’installazione allestita all’Aeroporto di Milano Malpensa Terminal 1 – La Porta di Milano: Andy Warhol’s T.V. – Special Project, una co-produzione video realizzata da MA*GA, MEET Digital Culture Center e SEA, dedicata alle produzioni televisive dell’artista. Analogamente a quanto realizzato con la produzione delle celebri Brillo Boxes, sculture che simulavano le reali scatole di prodotto, attraverso la Andy Warhol TV si ha il compimento di un cortocircuito nel quale il mezzo si concretizza nell’oggetto, in tal caso il medium mistificatore per antonomasia, responsabile della genesi di simulacri di massa. Nella televisione Warhol mette in scena l’atto finale della depersonalizzazione umana a cui ha costantemente alluso: sullo schermo avviene il definitivo passaggio da individuo a -dividuo, condizione esistenziale frammentata di un uomo che, separato dalla propria immagine, cessa di essere se stesso. Non a caso nell’ultima sequenza realizzata per il Saturday Night Live, intitolata significativamente On Death, l’immagine protagonista è quella dello stesso artista, che assorta in una disquisizione sulla morte terrena, si dissolve in un progressivo pulviscolo di pixel, fino alla sua totale astrazione visiva. La morte materiale è dunque assimilata all’ordigno digitale, che determina l’espulsione dallo schermo di ciò che rimane dell’individuo: la sua paradossale sparizione iconica, lo scomparire nella luminosità temporale dei media e di un’ormai labile identità.