Il MIC Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza è «la più importante raccolta al mondo dedicata alla ceramica e un polo culturale dedicato a questa materia», con un «patrimonio di oltre 60mila opere che vanno dai 4000 anni a.C. ai giorni nostri», e conduce una serrata ricerca sulla storia e le espressioni più recenti legate a questo materiale, attestandosi come centro di confronto e ricerca di rilevanza globale. Nell’ampio ventaglio di sfaccettature con cui il museo ricostruisce e restituisce la storia della ceramica c’è l’indagine aperta su figure che con la loro sperimentazione hanno contribuito alla continua evoluzione dell’uso di questo materiale, come la mostra appena inaugurata nella project room: “1922-2022. Fioravanti 100! Fuochi d’Amore” (fino al 2 aprile 2023).
Nella sua attività espositiva parallela ad eventi di portata internazionale come l’antologica in corso “Galileo Chini. Ceramiche tra Liberty e Deco” (fino al 14 maggio), la personale di Salvatore Arancio “We Don’t Find the Pieces Thay Find Themselves” da poco conclusa e l’imminente mostra dedicata alla 62ma edizione del Premio Faenza (qui i nomi degli artisti selezionati), il museo dà spazio a indagini su figure che hanno contribuito allo sviluppo dalla ceramica partendo da una dimensione più locale, come la mostra nella project room appena inaugurata: “1922-2022. Fioravanti 100! Fuochi d’Amore”, a cura di Marisa Zattini, che offre per la prima volta al pubblico «uno spaccato dell’operato artistico del Maestro scultore-architetto e artista Ilario Fioravanti (Cesena 1922-Savignano sul Rubicone 2012)», che si aggiunge alla serie di eventi dell’ampio progetto 1922-2022 “Fioravanti 100!”, ideato e organizzato da IL VICOLO, società di servizi culturali & progetti espositivi, in occasione del centenario della nascita dell’artista.
Nel percorso espositivo 46 opere ceramiche di Fioravanti dedicate alle figure femminili, «muse ispiratrici e protagoniste nelle eterogenee opere ceramiche: si tratta di una mostra rilevante, ha sottolineato il museo, perché «Ilario Fioravanti è uno degli artisti più interessanti nel panorama dell’Arte Italiana del Novecento. Fin da giovane sperimenta diverse tecniche artistiche, partendo dal disegno attraversando l’incisione e la scultura fino ad abbracciare le arti figurative. Da sempre affascinato dall’uso della materia fittile nell’arte egizia, mesoamericana, etrusca e africana intraprende una carriera ricca di contaminazioni tra mondo contemporaneo e antico, che gli permette di spaziare e produrre una costellazione infinita di lavori in ceramica, terracotta policroma, mantenendo una predilizione speciale per la “materia terra”. La sua instancabile ricerca lo porta a realizzare diverse mostre personali a livello nazionale e internazionale, come nel 2007 alla Koller Galéria di Budapest, e poi a Bruxelles, nel 2014, una mostra ha ricordato la sua ricerca nell’ambito del Semestre di Presidenza dell’Italia nell’Unione Europea».
Il percorso espositivo
«La mostra, – ha spiegato l’istituzione – curata dall’architetto-art curator Marisa Zattini, intende mettere in luce una parte della produzione di Fioravanti esponendo 46 opere ceramiche suddivise in sette fra brocche e vasi semplici ed istoriati, sedici piatti dedicati alle “belle donne”, di cui due mitologici e cinque mezzi busti femminili. Ancora a completamento dodici vasi a bassorilievo, ad ingobbio, e sei grandi figure: Salomè, Saffo, Anna col cane, La Cortigiana, L’Orsa maggiore, Il Puttanone. Un insieme eccezionale di volti femminili, ritratti che dialogano uno con l’altro come reperti archeologici riscoperti, allestiti nella sala “Project room”, adibita alle mostre temporanee del MIC, che porta il visitatore ad ammirare ed interagire direttamente con la bellezza dei dettagli, dei bordi frastagliati, delle campiture libere, delle incisioni e dei disegni “a fresco”».
«Fioravanti ha messo in scena le sue creature – ha scritto la direttrice del MIC Claudia Casali – in un palcoscenico vivace di varia umanità, curiosa, solidale, buffa, triste e spensierata, in istantanee di personaggi e situazioni colti in attimi di vita», grazie al suo modo di intendere il lavoro dell’artista, di cui così lui stesso scriveva: «l’artista deve essere un uomo che affonda le sue radici nell’arte antica, perché tutto il mistero è quello, avere queste radici lontanissime che assorbono le emozioni dell’uomo, lo completano e io questo l’ho sempre ricercato nelle mie cose”. Un’ispirazione ancestrale e profonda verso l’invisibile che diventa visibile, che prende forma nelle sue mani imprimendo nella materia grezza le fragilità dell’uomo affinché possa trascendere e trasmettere speranze, paure e desideri dell’esperienza umana».