“XXIII” è la prima personale di Adam McEwen (1965, Londra, vive e lavora a New York) nella sede di Roma di Gagosian: in mostra opere che partendo dall’estetica della penna a biro si muovono tra citazione del quotidiano, germinazioni dalla storia dell’arte e riferimenti a opere del passato dell’artista (fino al primo aprile 2023).
«Protagonista delle opere in “XXIII” è la penna a sfera, – ha spiegato la galleria – oggetto onnipresente della vita contemporanea e icona del design moderno. Trasformandone le sagome trasparenti ed esagonali in rappresentazioni piatte e schematiche, McEwen enfatizza sia l’aspetto lineare che il potenziale creativo di questi oggetti attraverso la pittura acrilica. Dalle dimensioni leggermente più grandi di una persona di alta statura, le composizioni di questi dipinti suggeriscono relazioni sia meccaniche che figurative».
«Nella loro decontestualizzazione del quotidiano – ha proseguito la galleria – i dipinti Bic di McEwen si ricollegano alle opere passate dell’artista: dalle sculture a grandezza naturale di oggetti fresati in grafite ai necrologi di persone viventi, questi ultimi al centro della sua mostra personale in corso presso Gagosian Londra fino all’11 marzo 2023. Le opere richiamano inoltre l’appropriazione del disegno meccanico nella pittura di artisti quali Francis Picabia, Marcel Duchamp e Roy Lichtenstein».
Abbiamo chiesto a Pepi Marchetti Franchi, Direttrice della sede romana di Gagosian, e ad Adam McEwen di raccontarci di più nell’intervista qui sotto.
Tre domande sulla mostra a Pepi Marchetti Franchi, Direttrice della sede romana di Gagosian
Come è nata la mostra dedicata alla produzione più recente di Adam McEwen?
«Roma è una delle gallerie più richieste tra i nostri artisti – Adam McEwen poi è molto legato all’Italia, paese che frequentava da piccolo con la sua famiglia. Non esponeva qui da quando Alessandra Bonomo ne presentò il lavoro quasi venti anni fa».
Come si colloca nelle proposte della sede di Roma di Gagosian?
«Risponde in pieno al proposito di affiancare ai grandi nomi che la galleria rappresenta quelle voci originali e di ricerca che fanno parte integranti del nostro programma».
Può darci delle anticipazioni sulla programmazione futura?
«Dopo McEwen proseguiremo con un artista americano giovane ma molto seguito che torna ad esporre a Roma dopo nove anni, Alex Israel, con un progetto ambizioso e sorprendente. Non mancheranno proposte più storicizzate, con una figura sofisticata dell’arte astratta come Simon Hantai».
Tre domande ad Adam McEwen
Quali aspetti della tua ricerca sono particolarmente presenti nelle opere selezionate per questa mostra?
«Le opere di questa mostra prendono le mosse dal motivo di una penna a sfera, che ho usato nei dipinti per circa un anno e che ho mostrato a New York nel 2022. Sono disegni astratti di una biro classica, che rendono omaggio ad aspetti della primo Pop art o del Dadaismo, che trovo stimolanti. Mi piace la sua semplicità: penso che il design della penna sia bello, generoso, democratico. Mi piace il fatto che tutti la conoscano, probabilmente fin dall’infanzia. Penso che sia un oggetto numinoso e potenziante, nascosto sotto gli occhi di tutti, quindi può essere usato come un “grimaldello”. La struttura formale delle penne, inoltre, mi permette di giocare con più scioltezza nella pittura degli sfondi».
Qual è il rapporto tra le tue opere e la vita quotidiana, gli oggetti ordinari e l’immaginario comune?
«Tendo a utilizzare oggetti che amo, cose che sono così familiari da dimenticare la natura del nostro rapporto con loro, che è di gioia. Se riesco a rendere non familiare ciò che è molto familiare per un momento, allora in quel cambiamento tutto diventa instabile e forse possiamo vedere le cose sotto una nuova luce. Tutto è uguale, tutto ha la stessa importanza e la stessa generosità. Se mi concentro su un oggetto molto comune, allora quel senso di sorpresa e gioia è più inaspettato e quindi più accessibile ed efficace».
Qual è il rapporto tra la tua ricerca e la storia dell’arte, in particolare con le opere d’arte antiche?
«Mi rivolgo alla storia dell’arte solo per supporto e consigli. Se mi riferisco alla storia dell’arte di solito è per prendere nota di qualcosa che amo e per provare piacere nel fare quella notazione. A volte vado alla storia dell’arte per una soluzione a un problema che qualcun altro ha risolto prima di me. Si risparmia tempo a prendere in prestito la loro soluzione, così si può continuare a provare ad andare avanti. Oppure si può prendere una vecchia soluzione e applicarla a un problema nuovo o diverso, così la vecchia soluzione diventa a sua volta quella nuova, proseguendo in modo circolare».
Il percorso espositivo
«Nella sala principale – ha raccontato la galleria – sette tele rettangolari di identiche dimensioni sottolineano interrelazioni compositive e simboliche: contemporaneamente aggressive e giocose, le opere sembrano suggerire idee e strutture sociali in competizione. Accomunate da sfondi violacei, presentano tinte che vanno dal lavanda al porpora, applicate alternativamente come strati monocromatici e passaggi pittorici in contrasto deciso con le linee delle penne. Il porpora è un colore associato alla storia di Roma fin dall’antichità, dai senatori e imperatori dell’antico impero alle vesti liturgiche, mentre le linee incrociate tracciate dalle penne in molte delle opere ricordano i numeri romani del titolo della mostra.
Disposte in precise linee parallele, le penne a inchiostro rosso di Materiel (2023) puntano verso il basso in una configurazione diagonale che trasmette un senso di ordine militaresco. In Kling Klang (2023) si incrociano tra loro penne a inchiostro nero e rosso le cui linee intrecciate ricordano una sorta di danza o di esercizio fisico. In Dodger (2023), il senso di regolarità e ordine è messo in discussione da una penna che rompe i ranghi, mentre Good Night (2023) sostituisce le linee rette delle penne con forme fantasticamente ondeggianti.
Il dipinto più grande della mostra, Big Spear (2023), ricorda la mischia di lance nella Battaglia di San Romano di Paolo Uccello (c. 1435–40, Uffizi, Firenze), un’opera chiave del Maestro rinascimentale per la definizione delle potenzialità della prospettiva lineare. In un’altra sala opere ovali giocano con la forma geometrica che caratterizza la galleria. La disposizione delle penne in questi dipinti assume la forma della croce in Colosseo No.1 (2023), dell’Uroboro, il serpente che si morde la coda in Colosseo No.3 (2023), e del numero 8 o segno dell’infinito in Colosseo No.5 (2023), simboli che risuonano con la storia di Roma e non solo».