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L’osservatorio del presente: Elisabetta Benassi al Macro

Elisabetta Benassi Autoritratto al lavoro MACRO, 2024 Ph. Agnese Bedini – DSL Studio In primo piano: Shadow Work, 2017 Mattoni, malta, tappeti Courtesy l’artista e Collezione Maramotti, Reggio Emilia
Elisabetta Benassi, Autoritratto al lavoro, Exhibition view, MACRO, 2024, Ph. Agnese Bedini – DSL Studio
“Una mostra western”. Così l’artista romana Elisabetta Benassi (1966) definisce “Autoritratto al lavoro”, la sua prima antologica in un’istituzione museale italiana, curata da Luca Lo Pinto e aperta al Macro di Roma fino al 25 agosto.

Per continuare con i paragoni musicali, sarebbe ancora più calzante descriverla come una “ballata country”, caratterizzata da toni e melodie calde ed intense, che si ascoltano intorno al fuoco dopo una giornata trascorsa tra galoppate e rodei. E’ infatti con i ritmi e le cadenze di una ballata che Benassi ha trasformato il difficile spazio della sala Enel -la più grande del museo romano-in un gioco a rimpattino della visione, che obbliga il visitatore a percorrere la mostra attraverso slalom tra pannelli che nascondono le opere dietro ruvide pareti in cartongesso. Architetture che compongono una sofisticata messa in scena, non teatrale ma concettuale, simile alle pagine di Rayuela (1953), il romanzo di Julio Cortàzar che si può leggere in modi diversi, predefiniti dall’autore. Come lo scrittore argentino anche Benassi chiede al visitatore un surplus di attenzione, catturata già all’ingresso da accordi cromatici affidati al rosso, il colore predominante nei lavori di Elisabetta, che i compagni del liceo chiamavano affettuosamente “Bettagol”.

Elisabetta Benassi, Autoritratto al lavoro, MACRO, 2024, Ph. Agnese Bedini – DSL Studio
In primo piano: The Bulletproof Angela Davis, 2011, Acciaio, plexiglas, registratore a nastro Uher, nastro magnetico, cavo
elettrico, acquerello su carta, Courtesy l’artista

Ed è con questo appellativo, che campeggia su un giubbotto di pelle, che Benassi si affaccia alla ribalta della scena internazionale con una delle opere più poetiche dei primi anni Duemila, You’ll never walk alone (2000): un video che la vede giocare una partita di pallone con un sosia di Pier Paolo Pasolini, protagonista di alcuni dei lavori più nostalgicamente dolorosi di Benassi. Un’opera che rivela un’attitudine verso il lavoro artistico sulla quale l’artista costruisce un credo e una carriera tutta giocata su un estremo rigore, legato all’affermazione di un’identità disturbante, che si muove secondo l’intenzione di “entrare nella storia non per citarla ma per poterla rivivere nel presente, creando una sorta di intrusione” spiega. Così le diciotto opere presenti in mostra si dispiegano nello spazio gestito in maniera matura e consapevole, secondo la tradizione dell’Arte Povera, della quale Benassi riprende la componente simbolica e politica per attualizzarla nel mondo contemporaneo, secondo la medesima attitudine antropologica di alcuni artisti come Eliseo Mattiacci, Jannis Kounellis e soprattutto Marisa Merz.

Elisabetta Benassi, Autoritratto al lavoro, Exhibition view, MACRO, 2024, Ph. Agnese Bedini – DSL Studio

Tra le opere più interessanti e poco viste a Roma, la città dove l’artista vive e lavora, ci sono Gorilla Gorilla Gorilla (2015), ispirata alla gabbia dove visse per due decenni Bushman, uno dei primi gorilla vissuti in uno zoo, e The Bulletproof Angela Davis (2011), ispirato alla cabina antiproiettile che proteggeva Angela Davis durante un discorso tenuto al Madison Square Garden nel 1972: all’interno della struttura in plexiglas e acciaio-simile ai pavilions di Dan Graham è posizionato un registratore a nastro, che diffonde una composizione di Luigi Nono dedicata alla filosofa marxista americana. Molto inquietante l’installazione The Sovereign Individual (2018), che riflette sul desiderio dell’essere umano di esprimere la propria sovranità all’interno di rifugi scavati nei tronchi di palme tropicali.

Elisabetta Benassi, Autoritratto al lavoro, MACRO, 2024, Ph. Agnese Bedini – DSL Studio
In primo piano: Shadow Work, 2017, Mattoni, malta, tappeti, Courtesy l’artista e Collezione Maramotti, Reggio Emilia

Un’altra opera d’impatto è Shadow Work (2017), realizzata con un gruppo di tappeti che arredava gli uffici della Maramotti, inseriti dall’artista in un muro di mattoni, mentre Fixator V (Centurio Senex) (2024) è il calco ingrandito del cranio di un pipistrello dove è visibile il segno di un trauma violento. La sala è attraversata da una tensione disturbante, che aumenta per la presenza del suono proveniente dal video Yield to Total Elation (2006), giocato sul rapporto di velocità tra una macchina Fiat 124 e un cavaliere su un cavallo bianco, che insegue l’automobile all’interno di una cava di sabbia in Trentino. In conclusione si tratta di una mostra di un’artista matura e consapevole, che ha finalmente avuto il giusto riconoscimento museale per una carriera rigorosa e costellata di opere strutturate e significative, che forniscono una lettura critica della modernità strutturata e originale.

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