Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain presentano la mostra personale dell’artista aborigena Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori (circa 1924-2015). Vicende personali e storia coloniale si uniscono in un pittura intima e potente. Dal 16 febbraio al 14 maggio 2023.
Nella maggior parte dei casi, le note biografiche che introducono le mostre personali si tende a saltarle. Non perché non siano utili o interessanti, anche perché poi si torna a leggerle con calma. Piuttosto c’è una certa fretta di giungere al succo del discorso, di penetrare nelle dinamiche artistiche e guadagnarsi subito una chiave di lettura su quel che si intravede nelle sale espositive. Ma nel caso della mostra che Triennale Milano, in collaborazione con Fondation Cartier, dedica all’artista australiana Sally Gabori, il meccanismo non scatta. Nella prima riga della sua biografia si legge infatti: Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori è nata circa nel 1924 sull’isola Bentinck, nel Golfo di Carpentaria, al largo della costa settentrionale del Queensland, in Australia. Una riga che contiene la sua vita, la sua arte, la sua poetica.
La prima cosa che salta all’occhio – prima strappando un sorriso, poi inducendo alla riflessione – è senza dubbio quel circa. L’indeterminatezza sull’anno di nascita, sorprendente nella nostra società, conduce immediatamente a un’epoca, a un luogo e a una cultura in cui il dato, invece, non pare così importante. In un contesto incontaminato, che affonda nel primo quarto del secolo scorso, all’altro capo del mondo, prima che gli occidentali arrivassero per trasformarlo, si nasceva e basta. Non c’era burocrazia da assecondare, calendari da seguire, scadenze di cui tenere conto. Probabilmente nemmeno c’erano gli orologi. Il tempo era tutt’uno, legato solo all’alternarsi di giorno e notte, al succedersi delle stagioni.
Qui nacque Sally Gabori, forse nel 1924. Una cornice esistenziale dove era inevitabile sviluppare un legame viscerale con il paesaggio circostante. L’uomo era nella natura, faceva parte dell’ambiente, ne era un ingranaggio pienamente inserito. Il luogo dove si nasceva era più importante del quando si nasceva. Era così anche per i Kaiadilt, la popolazione aborigina di cui faceva parte Sally Gabori. Pertanto il suo nome completo sarebbe Mirdidingkingathi Juwarnda Sally Gabori. Mirdidingkingathi indica che Sally Gabori è nata a Mirdidingki, una piccola insenatura situata a sud dell’isola Bentinck. Quel giorno, anche se non sappiamo con esattezza quale esso sia, i delfini parevano festeggiare la sua nascita vicino alle coste dell’isola. Per i Kaiadilt un segno inequivocabile che l’animale sarebbe stato la guida spirituale di Sally Gabori, che prese anche il nome di Juwarnda, ossia il delfino.
Due altre annotazioni, per così dire, risaltano nella sua biografia. Ultima popolazione aborigena a entrare in contatto con i coloni europei, ai quali si erano opposti con fermezza, continuando a vivere secondo le loro tradizioni, i Kaiadilt nel 1948 furono costretti ad affidarsi a una comunità di missionari presbiteriani che nel 1914 si erano stabiliti sull’isola Mornington, a nord dell’isola Bentinck. Un ciclone e un maremoto avevano distrutto gran parte delle terre, salato le riserve d’acqua dolce e provocato la morte di tanti membri della comunità.
Il loro esilio, che credevano solo temporaneo, durerà diversi decenni. Quando arrivarono a Mornington, i Kaiadilt furono alloggiati in campi lungo la spiaggia e i bambini furono separati dai loro genitori e sistemati in dormitori all’interno della missione. Fu loro proibito di parlare la loro lingua madre, creando perciò una frattura profonda con la loro cultura e le loro tradizioni. Qui crebbe Sally Gabori, che rivide la sua terra natale più di quarant’anni dopo, quando negli anni ’90 l’Australia concesse ai Kaiadilt di fare ritorno, seppure temporaneamente, nella loro terra natale.
Infine, l’ultimo, anch’esso incredibile, dato biografico. É solo dopo il ritorno a Bentinck che qualcosa scatta nella mente dell’artista, che diventa tale solo all’età di 80 anni. Sally Gabori ha infatti iniziato a dipingere nel 2005 e in nove anni di attività ha realizzato oltre 2.000 opere. Prima su piccola scala, arrivando poi a tele lunghe anche 6 metri. Su 29 di queste Triennale Milano e Fondation Cartier incentrano l’esposizione. A cui finalmente arriviamo.
Combinazioni di colori e giochi di forme si cercano, si sovrappongono, si intersecano in soluzioni astratte che alludono ai paesaggi del Golfo di Carpenteria. Un territorio ancora oggi dominato dalla natura, che interviene su di esso con infinite variazioni di luci dettate dal clima estremamente mutevole. Ciò si traduce in suggestioni coloristiche vastissime, tanto quando la capacità immaginativa di Sally Gabori, che con i suoi pennelli sottili è riuscita a trasportarle sulla tela con impressionante libertà formale. Una ricerca estetica del tutto personale, senza diretti riferimenti in altri artisti, che potrebbe vivere delle sole suggestioni-connessioni che è in grado di instaurare con l’immaginario archetipale che abbiamo del paesaggio australiano.
Ma Sally Gabori fa di più, lega ogni ciclo di opere a un preciso luogo. All’astrattismo spinto delle opere associa un preciso riferimento topografico, in modo da riportare l’ispirazione artistica a una sorgente reale, totalmente identificabile. Una soluzione che non solo aumenta il fascino dei luoghi rappresentati, ma permette anche di aprire un varco di essi. Scoprire dove si trovano, approfondire la loro storia, comprendere quel che è accaduto alle persone che li abitavano. Uno slancio lirico purissimo, dunque, ma anche una denuncia diretta dei torti subiti.
All’interno di questi crepacci coloristici precipitano i ricordi di Sally Gabori, l’infanzia, il dolore, il rimpianto; ma anche la riscoperta, l’incanto, il riscatto. E soprattutto la necessità di perpetrare una tradizione antica, la sua, rigettata dal mondo moderno ma che a lungo ha resistito nel suo cuore e ora non vuole scomparire, ma trovare una vita nell’arte, potente veicolo di trasmissione. Di storia, di sentimenti. Per questo verso la fine della sua carriera, Sally Gabori ha dipinto una serie di grandi tele con le sue figlie, Amanda ed Elsie, e incoraggiato le sue altre figlie, Dorothy ed Helena, a fare lo stesso.
Sono loro, come anche le nipoti e bisnipoti, a perpetrare il ricordo di Sally Gabori e della storia dei Kaiadilt. Ma non sono le sole. Dopo la sua morte nel 2015, la Queensland Art Gallery | Gallery of Modern Art di Brisbane e in seguito la National Gallery of Victoria a Melbourne hanno presentato una grande retrospettiva del suo lavoro, rispettivamente nel 2016 e nel 2017. I suoi dipinti sono ora presenti in molte delle più importanti collezioni pubbliche australiane e in diverse collezioni europee.
In questo verso, la Fondation Cartier, in stretta collaborazione con la famiglia di Sally Gabori e la comunità Kaiadilt, ha creato un sito web dedicato alla vita e all’opera dell’artista.