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L’arte? Non esiste. Esiste il sistema dell’arte. Il viziaccio del veteromarxista Bonito Oliva

Achille Bonito Oliva Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva

Con un corsivo pubblicato da Robinson di Repubblica Bonito Oliva rivendica il primato del sistema dell’arte sull’autodeterminazione degli artisti

Pensare l’artista come un demiurgo, produttore isolato d’immagini, vuol dire non riuscire a comprendere l’esistenza di una condizione filosofica dell’arte e dell’artista. Calata all’interno di un contesto molto articolato, suddiviso in lavori specializzati”. Signori, eccovi servito su un piatto d’argento il disastro dell’arte italiana. A dare forma a questo rigurgito del peggior zdanovismo sovietico è nientemeno che sua maestà Achille Bonito Oliva, con un pensoso corsivo pubblicato da Robinson di Repubblica. Che, a scanso di equivoci, chiarisce al meglio nel sommario: “Senza un sistema composto da media, collezionisti, mercato, musei, pubblico le opere in sé non avrebbero valore”.

Chiaro? La “fantasia individuale dell’artista” [sic] non è che un piccolo anello in una complessa costruzione. Che si deve assoggettare all’intervento di altri “soggetti produttori di cultura [sic]: artista, critico, gallerista o mercante, direttore di museo, collezionista e, infine, pubblico e mass-media”. Siamo all’annichilimento dell’individualità. Alla rivendicazione della primazia della “società” sull’autodeterminazione, sulla libertà dell’opzione creativa. “Un plusvalore culturale travalica anche la qualità stessa dell’oggetto”, rafforza un catenaccio nella pagina.

Dinamiche sociali

Conoscere la vita del popolo per poterla rappresentare verosimilmente nelle opere d’arte”, rivendicava Andrej Aleksandrovič Ždanov nel 1934, intervenendo al I Congresso degli scrittori sovietici. “La verità e il carattere storico concreto della rappresentazione artistica devono unirsi al compito di trasformazione ideologica e di educazione dei lavoratori”. Cambia il contesto storico, ma la sostanza resta quella: l’arte deve assoggettarsi alle dinamiche sociali. Quali disastri questa dottrina abbia introdotto sugli sviluppi della creatività sovietica, è superfluo richiamarlo ora. Ma è grave, gravissimo che a riproporre simili meccanismi sia un personaggio ancora – sempre meno, ci si augura – influente sulla scena italiana, come Bonito Oliva.

Del resto, lo stesso indiscusso maestro dell’Achille nazionale, Giulio Carlo Argan, nel 1963 – sessant’anni fa, per capirci! – poneva le basi per un approccio che avrebbe decretato tanti ritardi nell’arte contemporanea in Italia. Pubblicando su Il Messaggero il celebre articolo “Le Ragioni del Gruppo”. Che avviava la fallimentare era dei gruppi, intesi come formazioni nelle quali i singoli membri si uniformavano a opzioni di natura sempre collettiva. Nelle quali diventava dominante il ruolo del CRITICO.

Superarte?

Per decenni abbiamo assistito a situazioni dove questa impostazione era palese: l’Arte Povera che “era” Germano Celant, poi i “gruppi” dei primi anni settanta, poi la Transavanguardia, impersonata dallo stesso Bonito Oliva. Oggi il focus si sposta, ma l’approccio proposto resta il medesimo. Dal critico ad un più ampio “sistema dell’arte”. “Un valore aggiunto, un plusvalore culturale che spesso travalica anche la qualità stessa dell’opera d’arte e la modifica in una sorta di superarte”, puntualizza l’articolo. Una “superarte” – sempre a cercare di stupire con le sue invenzioni linguistiche, Achille – dove l’artista resta un elemento trascurabile.

Il vizio di tutto questo qual è? È che per confrontarsi con un “sistema dell’arte”, dovrebbe esistere, questo “sistema dell’arte”. E questo in Italia non è dato: piuttosto esiste qualche orticello, dove alcuni Boniti Olivi si spartiscono premi, residenze, mostre personali, inviti a biennali. Orticelli assolutamente impenetrabili per chi non voglia assoggettarsi a questo sistema chiuso, dove “la qualità stessa dell’opera d’arte” (cit.) conta zero. Chissenefrega dell’Italia? Ormai gli artisti devono guardare al mondo? Ebbene: l’arte contemporanea italiana nel mondo non esiste. Proprio grazie a decenni di disciplina Zdanov-Argan-Bonitoliviana. Si vedano – chi scrive lo fa quotidianamente – le liste degli invitati a biennali asiatiche, africane, anche europee. Mai un italiano.

Posizioni radicali, queste? Che si apra un dibattito, sarei felice di essere smentito con argomentazioni solide. Ma non credo che ci si voglia arrendere al primato dei “soggetti produttori di cultura”…

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