“I treni della felicità“, coproduzione Fondazione Luzzati Teatro Della Tosse/Associazione Made’, è andato in scena al Teatro della Tosse dal 23 al 25 febbraio e tornerà a Genova il 12 marzo al Teatro del Ponente di Voltri
Torniamo indietro nel tempo. “I treni della felicità” sono stati quelli che nell’immediato dopo guerra, tra il 1946 e il 1947, su iniziativa delle donne della neonata Udi, trasferirono “in Alta Italia” circa 70mila bambini che si trovavano in condizioni di assoluta miseria. Questi vennero ospitati da famiglie che, pur non essendo ricche, li accolsero come figli propri, cercando di comprendere dialetti indecifrabili che sono stati obbligati a decifrare, dietro i quali si celavano bisogni ed esigenze che ogni piccolo ha soprattutto quando lontano dalla famiglia, dalla mamma. Quello che lo spettacolo, scritto a quattro mai da Alessandra Vannucci e Laura Sicignano (che ne cura anche la regia), si propone di raccontare sono le storie emotive di relazioni e di affetti che poi durarono nel tempo. Storie di solidarietà vera, storie di chi sapeva costruire comunità.
“I treni della felicità”, coproduzione Fondazione Luzzati Teatro Della Tosse/Associazione Made’, in programma al Teatro della Tosse dal 23 al 25 febbraio, e che tornerà a Genova il 12 marzo al Teatro del Ponente di Voltri, è una piece che Vannucci e Sicignano elaborano sulle storie vere di Ida Cavallini, Rosanna De Luca, Elvira Suriani, Ada e Teresa Foschini, Maria Maddalena Di Vicino, Anna Berio, raccolte da Giovanni Rinaldi in C’ero anch’io su quel treno di Paola Zeni (ed. Solferino ) e in Gli occhi più azzurri, Le storie vere dei Treni dei bambini di Simona Cappiello (Colonnese Editore).
Tre donne del presente, tre attrici, Fiammetta Bellone, Federica Carruba Toscano, Egle Doria, di età diverse e provenienti da diverse zone d’Italia, attraverso il proprio corpo “che è vero, non come la parola, che sul palco può anche mentire”(come dice una battuta del testo) restituiscono una grande storia del passato. E lo fanno presentando apertamente, senza alcun pudore, se stesse, come donne e attrici. C’è chi dice che non è mai stata pronta per avere figli, chi invece, madre lo è, ma nel parto ha provato forte sofferenza fisica, e chi, desiderosa di avere tanti figli (che ancora non ha), dichiara l’importanza di ridere sempre considerando quest’atto salvifico. La maternità dunque al centro del testo di Vannucci e Sicignano che in un delicato equilibrio tra la finzione e la realtà del teatro ci offre una riflessione sull’essere madre come condizione non solo biologica, ma anche etica e politica.
Sul palcoscenico scarno dove la scenografia è rappresentata solo da tre tavoli, che per l’occorrenza diventano anche letti, si racconta l’operato di Teresa Noce, Maria Maddalena Rossi, Luciana Viviani, Angiola Minella, Adele Bei, Miriam Mafai e centinaia di altre donne generose e intelligenti. Grazie a loro Nanninella, Rosanna, Greta e altri 70 mila bambini sono riusciti ad avere un pasto, un letto caldo e tanto affetto benchè lontani da casa. Se anche qualche bimba non ha avuto subito la sua pazziella, è riuscita in seguito a costituire la sua identità.
Queste non sono certo vicende raccontate sui libri di storia, perchè sono quelle “degli eroi perdenti e dimenticati” tanto care a Laura Sicignano, ma sono quelle che ”cospargono di fiori la morte”, quelle di donne che sono state in grado di “inventare un nuovo linguaggio e nuovi valori, per ricostruire dalle macerie” sempre usando le parole della regista.
A farci arrivare al cuore tutto questo riescono benissimo le tre attrici che rinventano il proprio corpo tutte le volte che calzano un nuovo personaggio, che sia una mamma che sia un bimbo o una bimba. Fiammetta Bellone, Federica Carruba Toscano, Egle Doria usano tutta la loro delicatezza per maneggiare quelle storie vere (comprese le loro). Le lacrime quando arrivano agli occhi delle attrici sono sincere, nulla a che fare con l’arte attoriale. L’unico uomo in scena è Edmondo Romano, che con la sua musica discreta dialoga con loro creando un mondo sonoro capace di evocare tempi e spazi tanto reali quanto immaginari. Bravo anche lui.
Una frase del testo dice ”ci si dimentica di tutto, anche delle storie indimenticabili”. E’ una frase amara detta da una donna ferita, ma noi pensiamo non sia così come ha dimostrato il solerte lavoro di Vannucci e Sicignano che ha riportato alla luce quel treno dove succedeva il finimondo, ma in cui le accompagnatrici pur arrivavando stremate alla meta, sapevano di aver fatto il giusto per riprogettare il mondo. La regista sceglie il gesto semplice ma carnale del cardare la lana per questa ”riprogettazione” . Un gesto che ha tanti significati: bisogna avere il coraggio di mettere mano, remesciare, staccare, riunire, togliere il cattivo per tenere il buono. Perchè il buono c’è sempre, anche in fondo alla tinozza. Basta non stancarsi di cercarlo.
Spettacolo da vedere.