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Il Sistema dell’arte? Abnorme anomalia. Il gallerista risponde a Bonito Oliva

Achille Bonito Oliva Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva

Domenico Nardone – Galleria Volos, Roma – interviene nel dibattito sul Sistema dell’arte aperto da ArtsLife dopo il corsivo pubblicato da Achille Bonito Oliva su Robinson di Repubblica

Lo stringato ma incisivo intervento di Ugo La Pietra ha il pregio di sgombrare il campo da un equivoco di fondo. Il dibattito acceso dal corsivo di Bonito Oliva apparso su Repubblica non è in sè particolarmente attuale. Sembra quasi ovvio sostenere che senza un sistema deputato al riconoscimento del valore d’arte non esisterebbero nè l’arte, nè gli artisti. Ed è del pari ovvio che, all’interno della nostra organizzazione sociale, alla formazione di questo sistema concorrano una serie di istituzioni (musei, riviste specializzate, case d’asta, etc.) e figure (gallerista, critico, collezionista, giornalista, etc.). Ho precisato “nella nostra organizzazione sociale”, perchè La Pietra nel suo testo cita artisti che all’epoca vivevano e lavoravano in una società socialista. Dove il “sistema” si struttura in modo ben diverso, non esistendo un libero mercato dell’arte.

Stante che se fosse vissuto anche gli ultimi due anni della sua vita chiuso in un capanno in riva al fiume anzichè all’interno del sistema dell’arte (con mostre in gallerie di primo piano e vertiginosa impennata delle quotazioni di quadri che prima nessuno voleva neppure a cambio merce), la Storia dell’arte ignorerebbe del tutto finanche l’esistenza di un artista come Antonio Ligabue, mi sembra che ci sia poco da eccepire sull’osservazione di Bonito Oliva che un artista non può esistere al di fuori del sistema. Nè, onestamente, avevamo bisogno di Bonito Oliva per comprendere la capacità del sistema di promuovere ad arte qualsiasi cosa, a prescindere dalla sua forma e dal suo contenuto.

Il sistema sono io

Lo aveva già dimostrato nel 1917 quell’orinatoio pescato per caso da Duchamp in un negozio di sanitari. Talmente comune che l’artista non ritenne opportuno conservarne l’originale. E che un sondaggio condotto nel 2004 presso 500 tra i più accreditati esperti d’arte del Regno Unito ha indicato come l’opera d’arte che ha maggiormente influenzato l’arte contemporanea. Non è quindi di questo che si tratta, non è a questo che reagiscono in maniera più o meno consapevole gli interventi che si sono sin qui succeduti. Dietro l’apologia del sistema che fa Bonito Oliva si cela il ghigno beffardo di chi fieramente proclama: “il sistema sono io”. La reazione è quindi verso un’anomalia abnorme da lui introdotta nella fisiologia del sistema dell’arte, verso la crescita ipertrofica del ruolo del critico/curatore in seno al processo di produzione dell’arte.

Critico/curatore che va ad occupare il centro della scena, respingendone ai margini l’opera ed il suo autore. Come nell’apoteosi dell’A.B.O Theatron, la retrospettiva che l’anno scorso il Museo di Rivoli ha dedicato al lavoro del celebre critico. Dove le opere d’arte sono chiamate a svolgere il ruolo di mere illustrazioni e didascalie di questo lavoro. A me piace pensare che a questa anomalia aberrante risponda idealmente Gian Maria Tosatti: nella “sua” biennale di Venezia. Con un magnifico colpo di carambola rovescia il rapporto di forze. E si riprende il ruolo egemone che gli spetta in seno al processo di produzione dell’arte. Il critico/curatore smette i panni del demiurgo per indossare quelli, meno rutilanti ma forse più consoni al ruolo, di portavoce e compagno di strada. Ca va sans dire..

 

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