La mostra di Giacomo Manzù “La scultura è un raggio di luna” al Polo Arca, a cura di Marta Concina, Daniele De Luca, Alberto Fiz, sarà visitabile fino al 21 maggio
Nascere Manzoni, scegliere di diventare Manzù, lo scultore, l’artigiano, lo spirituale laico, il partigiano. Un artista che potrebbe essere considerato tradizionale ma che fu in realtà un grande sperimentatore: impeccabile nel disegno, plastico nella scultura, onirico nelle tele.
La sua era una capacità interpretativa che passava anche dalla trasformazione degli elementi percepiti attraverso l’utilizzo di materiali sempre diversi, come l’ebano, l’oro, il bronzo, la ceramica e così via.
L’intero percorso espositivo al Polo Arca gioca soprattuto con le rifrazioni luminose perché per Manzù la luce era un’alleata in grado di partecipare alla resa artistica, evidenziando ad esempio quell’ebano “bello, durissimo” che “ha come il sangue nelle sue vene”.
Nel corso della sua vita ha rielaborato diversi nuclei tematici, variandoli cercando così di non esaurirli ma riconducendoli a brani della sua esistenza.
Come la sedia, un elemento ricorrente e freudiano – rappresentando l’eredità del padre che era ciabattino – a cui ama aggiungere elementi statici che nelle sue mani diventano tridimensionali e dinamici. Sono le aragoste, i pannelli, le nature morte classiche che costituiscono un omaggio a Caravaggio ma anche un legame con la dimensione domestica e le sue origini modeste, oltre a una predilezione di Manzù, che come racconta la figlia Giulia, spesso disegnava in cucina.
Non solo sculture ma anche molti ritratti dominati dalla presenza di Inge, la modella, musa e seconda moglie dell’artista. Manzù nell’incontrarla si ritrovò ancora una volta di fronte “a qualcuno che incarnava ciò a cui desiderava dare forma ed esprimere”. Ed è così che il 1954 diventa per lui una seconda giovinezza, perché il legame con Inge “ha portato l’amore nella vita e nel lavoro”, un’energia vitalistica che diventa anche una componente legata alla materia.
La sezione femminile, oltre ai busti di Inge e di Danielle Gardner, include anche le figure giapponesi. L’artista era affascinato dalle caratteristiche delle donne asiatiche, delle “statue nate” perfettamente statiche e dalla bellezza pulita e essenziale.
Significativa anche Tebe la poltrona, la fanciulla che “sembra materializzarsi su un raggio di luna”, rievocando una celebre citazione di Cesare Brandi che meglio di ogni altro si è fatto interprete del linguaggio di Manzù. Il rapporto tra la figura femminile e la base è dialettico, sembra voler uscire fuori, la poltrona non è un semplice elemento d’appoggio.
Poco dietro L’Ulisse e l’opera dedicata ai figli troviamo la sacralità, priva però di religiosità, dei suoi noti cardinali, tra cui compare il Grande Cardinale seduto, un’opera monumentale alta oltre due metri e modellata nel 1983.
Queste figure feticcio, con il loro alone lirico in fuga verso l’attrazione, conferiscono dignità mistica ed eternità sovrumana alla rappresentazione. Ne esistono almeno 300 e si trovano in tutto il mondo, sono in bronzo, in oro, sdraiati o in piedi. A loro era legato da un rapporto odi et amo: voleva cessare di produrli ma non vi riuscì mai, condannandoli così a diventare la chiave stilistica della sua poetica.
Curioso anche il rapporto con Giovanni XXXIII, i due erano legati dalle origini bergamasche e dall’affinità umana ma Manzù non era religioso e quando papa Roncalli gli chiese in cosa credesse lui rispose: nell’uomo.
Chiude il percorso Il miracolo di San Biagio che ci accompagna verso La porta della morte, rievocata con una stampa 3d, da cui emerge una componente politica e sociale, l’attenzione agli ultimi.
GIACOMO MANZÙ. “La scultura è un raggio di luna”
10 marzo 2023 – 21 maggio 2023
Vercelli, Arca ed ex Chiesa di San Vittore