La buona Ernestina, ovvero la fanciulla educata è un progetto dell’artista visuale e curatrice indipendente Clara Scola (Lecco, 1994) il cui titolo è un riferimento a uno dei manuali di Economia domestica più utilizzati in Italia, quando, negli anni della riforma Gentile, viene imposto l’insegnamento di questa materia a tutte le bambine e le giovani ragazze di istruzione primaria e secondaria.
La buona Ernestina è ligia al dovere e al lavoro di cura a cui sembra essere naturalmente destinata: dall’accudimento dei figli all’arredamento, e dalla cucina alla gestione dei risparmi, in lunghi anni di “addomesticazione” femminile ha imparato come amministrare meticolosamente sé stessa e il nucleo domestico in cui vive. La caduta della riforma Gentile verso la fine degli anni Settanta determina l’abolizione dell’Economia domestica nelle scuole il cui retaggio tuttavia permane all’interno del più ristretto nucleo familiare: è principalmente la figura materna a occuparsi dell’educazione domestica dei figli e a garantirne una trasmissione anche successivamente.
Persiste secondo una dimensione più intima e personale una volontà di tramandare l’atto del prendersi cura del luogo in cui si vive; un atto che assume un aspetto quasi ritualistico, fatto di operazioni metodiche semplici e che ripetute nel tempo permettono a una memoria corporea e materiale di sedimentare di generazione in generazione. È a quella memoria, personale e storica, a cui Clara Scola ricorre e che sarà fondamentale per lo sviluppo della sua riflessione.
I primi germogli del progetto sono le video performance che risalgono al 2021 intitolate La buona Ernestina, ovvero la fanciulla educata – La doccia e La buona Ernestina, ovvero la fanciulla educata – Il balcone. Il linguaggio performativo è la cifra distintiva della ricerca metodica e artistica di Scola; il corpo, che può essere quello dell’artista o quello di coloro a cui viene delegata la messa in atto dell’opera, viene inteso come dispositivo di ricognizione spaziale e temporale la cui azione performativa viene avvalorata nella misura in cui può arrivare a innescare una riflessione legata al tempo di fruizione o esecuzione.
Nelle due opere in questione a performare è l’artista stessa, che interpretando il ruolo della buona Ernestina che in lei vive, intende farsi portavoce di tutti coloro che normalmente svolgono questo tipo di lavoro. Il linguaggio intimo e familiare emerge sin dall’inizio: le registrazioni video vengono effettuate proprio nella casa dell’artista impegnata una volta nella pulizia della doccia e un’altra in quella del balcone; prima di cominciare però, una breve telefonata alla mamma risulta necessaria per apprendere le metodologie migliori a ottenere un buon risultato.
Le inquadrature, frutto di riprese prolungate sapientemente studiate, permettono di analizzare e osservare una a una, tutte quelle semplici operazioni che scandiscono in maniera ritmica e metodica l’attività di pulizia. Dalle immagini traspaiono con grande chiarezza le difficoltà e le fatiche annesse a questo lavoro così come dai suoni, che fanno da accompagnamento alle scene, e che sono il risultato dell’intensa opera di pulitura che l’artista esegue a tutti gli effetti. La partecipazione nel 2022 a una residenza d’artista curata da Sofia Baldi Pighi presso BNBIZ Coworking-hotel di Fiorenzuola d’Arda, permette successivamente di estendere la riflessione de La buona Ernestina da personale a collettiva.
Compresa la natura duttile del progetto, Sofia Baldi Pighi chiede a Scola di decontestualizzare l’oggetto dell’atto performativo – le faccende – rispetto alla precedente dimensione domestica, e di riproporlo come intervento estemporaneo per le strade della città, in forma di performance itinerante, che avrebbe coinvolto l’artista nella pulizia di cinque luoghi simbolici di Fiorenzuola d’Arda. In questi termini l’atto performativo, privato di uno spettatore consapevole e calato nella dimensione pubblica, senza quei codici e quelle sovrastrutture che normalmente fanno da filtro in uno spazio più convenzionale come la galleria o il museo, acquisisce nuova forza sia nel contenuto sia nella fruizione; innesca una reazione immediata che durante la performance vede i presenti aderire quasi d’istinto al corteo che si snoda lungo le cinque tappe simboliche della città, e che a mano a mano che la buona Ernestina li guida, si cala in una dimensione sempre più conchiusa e rispettosa dell’atto.
La performance assume così un aspetto processuale, tipico del linguaggio religioso, sorto proprio a partire dall’osservazione dello spettatore il cui comportamento risponde a codici connaturati al genere umano, quegli stessi codici che almeno inizialmente lo attirano incuriosito, non senza qualche remora dovuta all’estemporaneità dell’evento. Il corpo libero di agire nello spazio pubblico si carica di un valore politico e la buona Ernestina da figura liminale, conduce al cammino il proprio corteo, ergendosi a portavoce di istanze che in quel contesto vogliono stimolare una riflessione critica.
Presentata lo scorso 25 novembre in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, la performance di Clara Scola riflette sull’imposizione di un ruolo che da sempre è stato ricamato sulla figura femminile, in quanto considerata elemento “debole” della società, e che negli anni ha continuato a perpetuare discriminazioni. L’artista avverte la necessità di soffermarsi su quello che diverse donne, e non solo, impegnate lavorativamente in questo settore, vivono ai nostri giorni: quell’atto di cura – di cui parlavamo all’inizio, è alla base della riflessione artistica di Scola, che in maniera delicata ma incisiva ci permette di comprendere come ci appartenga naturalmente – è invece vero e proprio campo di battaglia per molte e molti che decidendo di farne un’attività lavorativa, vivono continue discriminazioni dovute a un retaggio culturale da cui fatichiamo a prendere le distanze.
La conferma arriva da una frase che uno spettatore rivolge all’artista durante la performance: “Anche casa mia è da pulire!”. La facilità con cui certe parole sono state da noi introiettate in maniera del tutto normale e consuetudinaria deve portarci a riflettere sulla pericolosità che una simile dinamica nasconde dentro sé. È proprio nel tentativo di riappropriarsi di un certo linguaggio che, contestualmente all’atto performativo, Clara Scola elabora un secondo intervento urbano dal titolo Lenzuola in fiore, un’opera di affissione pubblica di manifesti che ha voluto coprire tessuti differenti della città proprio per cercare di interagire con uno strato il più possibile variegato di popolazione.
La serie consta di cinque immagini ciascuna delle quali propone diversi livelli di lettura. Le mani colte in primo piano sono quelle dell’artista e reggono alcuni strumenti di lavoro, quegli stessi strumenti utilizzati in passato da sua madre e con i quali ha tramandato l’atto della pulizia alla propria figlia. Le trame sottostanti sono quelle delle tovaglie della nonna, prima Ernestina di questo racconto a ritroso, vissuta davvero durante la riforma Gentile. Con questo atto Clara Scola recupera quella memoria materiale tramandatagli dalle figure femminili della sua storia per sottolineare, a loro stesse e allo spettatore, cosa oggi sia diventata e di quali discriminazioni si faccia testimone: sui manifesti è infatti possibile leggere frasi fatte di luoghi comuni, cliché nei confronti del genere femminile, nonché quelle stesse parole che l’artista si sente dire nel momento in cui sta performando e che sono prova tangibile di tali violenze.
Decontestualizzare certe frasi, estrapolandole dal loro contesto originario, ponendole con una certa veemenza di fronte allo spettatore, serve a lavorare su l’interiorizzazione progressiva del contenuto verbale e cercare di aggirarlo in termini sovversivi. Alla luce di questo è necessario riconoscere alla buona Ernestina l’essere un progetto che si è sviluppato secondo una moltitudine di linguaggi, diversi tra loro, ma che hanno saputo agire con pregnanza e necessaria ridondanza sullo spettatore. Durante la performance Clara Scola indossava abiti e utilizzava strumenti appartenenti al vero mondo delle faccende domestiche, ripeteva di tanto in tanto alcune frasi che erano le stesse che le venivano rivolte da sua madre durante l’atto della pulizia.
Questo addentrarsi in maniera così tangibile nel mondo preso in esame ha permesso di portare il discorso su di un piano non più meramente intellettuale ma a contatto con la realtà stessa, difesa anche attraverso le testimonianze di addetti e addette alle pulizie con i quali Clara ha avuto la possibilità di dialogare. Da queste interviste sono emersi racconti di donne che hanno fatto dell’attività di pulizia un lavoro che ha consentito loro di vivere autonomamente garantendosi agio economico, in altri casi ci sono state storie di vere e proprie imprenditrici che hanno fatto della propria conoscenza e consapevolezza in materia domestica motivo di emancipazione non solo per sé stesse ma anche per tutte quelle donne che hanno poi deciso di assumere nella loro azienda. È grazie ai loro volti – che in maniera egregia Clara è riuscita a rappresentare – che il progetto de La buona Ernestina ha potuto aspirare a essere il germoglio di una piccola rivoluzione collettiva.
Questo contenuto è stato realizzato da Giulia Moscheni per Forme Uniche.
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