A pugno chiuso o a bloccare le lacrime, mimando amplessi o riflesse specularmente: le mani nella storia dell’arte vanno ben oltre la loro anatomia e trascendono la gestualità. Da Bruce Nauman a Matthias Grünewald, ecco qualche esempio
Che le mani contino non sarebbe nemmeno da dire e, in realtà, neppure da fare, secondo qualche maestra esigente che impedisce l’atto di contare con l’aiuto delle dita, preferendo il calcolo mentale. Nella storia dell’arte le mani contano tantissimo e più di un connoisseur le analizzava per capire se la mano, appunto, era quella di un autore o di un altro, del maestro, dell’alunno o del comprimario, sostenendo il metodo morelliano. Giovanni Morelli, a proposito, fu un critico fondamentale per la storiografia dell’Ottocecento e riteneva che le fonti e i mezzi esterni sui quali abitualmente si sforzavano gli storici dell’arte fossero inutili perché privi di oggettività e riscontro. Suggeriva dunque di fare luce su peculiari aspetti interni e di studiare analiticamente i particolari anatomici del testo figurativo.
Orecchie, mani, unghie, bocche, capelli, ma anche forme del paesaggio, vesti e panneggi, costituivano la calligrafia del pittore e bastava paragonarli tra loro per individuare le varie personalità, pregi e difetti, smentite e attribuzioni. Freghiamoci le mani per la sua preziosa aggiunta e proseguiamo con questa scoperta. Tralasciamo le solite opere: le Mani che (si) disegnano di Escher o quelle indimenticabili che si stanno per toccare nella creazione d’Adamo di Michelangelo; i vari sketches di Leonardo, lo studio per le Mani in preghiera dell’apostolo di Albrecht Durer, la mano dipinta dal Caravaggio con il dito di Gesù che indica la chiamata per San Matteo, la mano obliqua della Vergine dell’Annunciata di Antonello a Palermo e molto altro.
Saliamo a Colmar: l’Altare di Isenheim di Matthias Grünewald, opera sublime, ha una qualcosa di incredibile soprattutto nella tavola della Crocifissione. Ci sono delle mani mai viste: quelle del Gesù più martoriato della storia dell’arte che, inchiodate alla croce, rivolgono le dita verso l’alto e sembra che l’atto del contorcersi sia ancora in atto. Uniche per la loro lunghezza, sembrano esprimere il dolore lancinante per il chiodo che trafigge i palmi delle mani e per quello che il resto del corpo ha dovuto subire, con orrore e crudele agonia che traspare a ogni vena. Ma non solo gli arti del Messia sono diversi. Anche le mani di Maria Vergine sono speciali e fuoriuscendo dalla bianca veste monacale si uniscono strette come a dire: ma com’è possibile? E poi ci sono un altro paio di… mani: quelle di Maria Maddalena, la più piccola del gruppo ma non per questo meno disperata. Unisce la sue dita a incastro e le porge verso l’alto: formano una corona di spine, una ruota dentata che provoca ferita e ogni singola falange urla alla tragedia. Anche i pollici sono sovrapposti, intrecciati e contorti. Non è stata la mano di dio, quindi cambiamo tono, che l’angolo macabro l’abbiamo avuto. L’arte contemporanea piuttosto ci viene incontro e ci dà una mano a riguardo.
Le mani vuote del polacco Piotr Uklanski le ho viste aperte e a pugno chiuso, sempre scottanti e molto energiche. Bruno Munari le ha fatte parlare in Speak Italian riprendendole nella forchetta, Bas Jan Ader in I’m too sad to tell you le sfrutta per bloccar lacrime e pianti a dirotto. Alighiero Boetti ci aiuta nel contare da uno a dieci con una cartellina con alette che contiene venti fogli: dieci hanno la mano disegnata di Alighiero Boetti che indica il numero progressivo su dieci diversi fondi-arazzo, mentre i dieci rimanenti sono griglie in bianco e nero con quadratini in formato crescente: da uno a dieci e viceversa, giusto per dirla tutta.
Anche Bruce Nauman torna spesso sulle mani. In For Beginners (all the combinations of thumb and fingers) esposti lo scorso anno a Punta della Dogana presentava due grandi proiezioni video non sincronizzate che mostravano le 31 possibili combinazioni di dita e pollice. Ma già prima, nel 1996 aveva creato 15 paia di mani (Fifteen Pairs of Hands) di bronzo in combinazione, disposte su una base. E prima ancora, che si vede che la ricerca si è evoluta man mano, erano comparse delle mani al neon in Human Sexual Experience, nel 1985.
Jonathan Monk ha complicato la questione per chi le osserva: se si appoggia la mano sinistra su un foglio e ci si limita a contornarla, una volta rimossa la mano non si può capire se il contorno sia davvero quello della mancina, poiché potrebbe essere anche quello della mano destra posata di palmo. Se poi il contorno parzialmente si ritaglia e sotto s’intravede uno specchio, allora l’effetto si ribalta e il titolo diviene addirittura questo: la mano sinistra come fosse la destra riflessa come la destra se fosse la sinistra, che poi è un dittico quindi esiste anche il doppio opposto. Che difficile! Mi do’ il cinque da solo per aver raccontato questo lavoro e alzo le mani che ormai ho finito.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni