Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma “riscopre” Galli esponendo cinquanta lavori, provenienti per lo più da collezioni private
Quando oggi si osserva un dipinto o si legge un testo non basta trovarvi un concetto, un’immagine su cui interrogarsi. Il più delle volte si pretende di scorgere tra righe e pennellate il volto dell’autore. Pena un implacabile (inspiegabile) sconforto. È il problema dell’antropomorfismo culturale. Il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di Roma presenta la mostra Gino Galli (1893-1944). La riscoperta di un pittore tra Futurismo e ritorno all’ordine, a cura di Edoardo Sassi, con il coordinamento scientifico di Ilaria Schiaffini, direttrice del museo e docente di Storia dell’arte contemporanea all’Università La Sapienza.
La personale, fruibile fino al 6 maggio, ha il merito di riportare in luce, attraverso cinquanta lavori, provenienti per lo più da collezioni private, un’artista dimenticato. Che aderì al futurismo di Marinetti, fu precoce frequentatore dell’atelier pariolino di Balla, suo maestro, fu precettore di Luce, co-direttore della rivista “Roma futurista” e vicino a Bottai. Protagonista di due importanti mostre nel ’19 e nel ’21 alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma. Sembra che la data della morte di Galli sia stata spesso erroneamente spostata dal ’44 al ’54. Pare inoltre che Gino fosse morfinomane, omosessuale, d’indole cupa e in aggiunta anche vulnerabile. Ragione per cui, dicono, fu facilmente inglobato fra i membri della polizia segreta fascista.
Dov’è l’opera?
Era sub-confidente nella rete di Bice Pupeschi, amante del capo dell’OVRA Arturo Bocchini. Inoltre Galli fu appassionato di occultismo e il suo profilo sfugge perfino agli studi storici ad ora esistenti sul Futurismo. In questo brulicante ed intricato chiacchiericcio, senza dubbio la ricostruzione di un volto c’è, ma dov’è l’opera? A leggere le molte recensioni viene quasi da chiedersi se la mostra sia su Gino Galli o sui suoi lavori, se i suoi dipinti siano un pretesto per raccontare il loro autore. Sulla scorta di Benjaminin, Sanguineti suggeriva qualcosa di condivisibile: se proprio si vuol dedurre qualcosa – in questa frénésie de commeràge (invero al cospetto di un quadro ci tramutiamo volentieri in comari, donne del vicinato) – si deduca l’artista dall’opera, non l’opera dall’artista.
Salviamo Balla per le influenze pittoriche e Mussolini per l’inquadramento storico. Il resto è biografia, che conta quanto può contare che Caravaggio si faceva portare la spada da un garzone per far credere di essere nobile. Interessa forse di più che in mostra si presenta la produzione di un Galli anni Venti, Trenta e Quaranta. Che ai suoi esordi futuristi segue una virata all’ordine, come il titolo della mostra anticipa. La tensione verso un realismo magico inusitato, tra luci calde e sagome luminescenti. Interrogheranno le sue nature morte, i paesaggi con rovine, i ritratti nei quali la luce concorre all’intensificazione del carattere psicologico.
Quadri scandalo
E se proprio si vuol fare del pettegolezzo lo si faccia coinvolgendo le opere: a Galli si riconosce il merito (o il torto?) d’aver dipinto su grande formato alcuni soggetti esplicitamente erotici, “quadri scandalo”. Uno dei quali fu trovato murato in fondo ad una cantina e sul quale Elica Balla, secondogenita del maestro, avrebbe voluto intervenire con un atto pittorico di censura. Le abitudini sessuali o narcotiche di un artista non pesano sulla bilancia del valore dell’opera, né risponderanno mai davvero al quesito-ritornello: perché tale fu dimenticato? Cui la giostra dell’arte replica col suo sorriso ondivago: gusto, tendenze, fortuna, caso.
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