Max Mara, Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti hanno svelato poco fa il nome della vincitrice dell’edizione 2022-2024 del Max Mara Art Prize for Women: Dominique White (1993). Il nome della vincitrice è stato annunciato da Gilane Tawadros, direttrice di Whitechapel Gallery, e da Luigi Maramotti, presidente di Max Mara Fashion Group, nel corso di una cerimonia conclusasi poco fa alla Whitechapel Gallery di Londra.
«Il premio, istituito per sostenere e promuovere artiste in una fase cruciale della loro carriera, offre a Dominique White un periodo di residenza della durata di sei mesi da trascorrere in Italia, organizzata su misura per consentirle di dare forma e sviluppo alla proposta con la quale si è aggiudicata il premio. Tale percorso culminerà con una grande esposizione prevista per il 2024, prima presso Whitechapel Gallery di Londra e successivamente alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia», hanno spiegato gli organizzatori.
White è stata scelta nella rosa di cinque finaliste a cui appartengono anche Rebecca Bellantoni, Bhajan Hunjan, Onyeka Igwe e Zinzi Minott. A decretare la vincitrice una giuria composta dalla gallerista Rozsa Farkas, dall’artista Claudette Johnson, dalla scrittrice Derica Shields e dalla collezionista Maria Sukkar, e presieduta dalla curatrice ospite del Premio, Bina von Stauffenberg, in collaborazione con Gilane Tawadros.
«A nome della giuria e di Whitechapel Gallery, – ha dichiarato Gilane Tawadros – desidero congratularmi con Dominique White per aver vinto questa edizione del Max Mara Art Prize for Women. Pur essendo l’artista più giovane tra le finaliste, Dominique ha presentato una proposta che, per maturità, rigore e coerenza nell’approccio creativo, risulta totalmente in linea con le finalità del Premio, vale a dire consentire ad artiste di sviluppare e creare progetti capaci di parlare del e al mondo circostante.
I temi che esplora nel suo lavoro risultano oggi particolarmente attuali e rilevanti: siamo dunque lieti di poterle offrire il nostro sostegno nel corso della residenza e fino alla realizzazione di una mostra personale. In un’epoca in cui il bisogno di spazi sicuri e di rifugio è tanto acuto, e il passaggio via mare di individui e comunità pone tante vite a rischio rivelando tanta ingiustizia, sembra particolarmente urgente interrogare ed esplorare i sistemi sia storici che contemporanei che controllano il movimento e l’identità”.
“Sono molto lieto – ha proseguito Luigi Maramotti – che il Max Mara Art Prize for Women continui a rappresentare un progetto tanto speciale per tutti i partner e i soggetti coinvolti, e che sia supportato con entusiasmo da Gilane Tawadros, nuova direttrice di Whitechapel Gallery. Questo premio offre alle vincitrici un’occasione pressoché unica di concentrarsi sulla propria ricerca artistica, di sviluppare un’idea e realizzare un progetto ambizioso in relazione alla lunga residenza in Italia. Sono certo che Dominique White riuscirà a sfruttare al meglio questa opportunità”.
Le parole di Dominique White
Silvia Conta: Cosa significa per te essere la vincitrice della nona edizione del Max Mara Prize for Women a questo punto della tua carriera?
Dominique White: «È un onore aver vinto questo premio e in verità non riesco ancora a crederci. Quando ho ricevuto la telefonata con la notizia della vittoria, è stato così inaspettato che mi ha lasciato davvero senza parole. Ho chiamato mia madre pochi istanti dopo aver ricevuto la comunicazione e sono scoppiata in lacrime per la totale incredulità.
Essere nominata per il premio insieme ad artiste così incredibili è stato – ed è – un privilegio “travolgente”, come avere anche l’opportunità di realizzare un nuovo lavoro è immensamente eccitante, anche se un po’ mi intimorisce.
Sento che molta fortuna, decisioni rischiose e lunghissimi periodi di lavoro hanno portato a questo momento. Onestamente non avrei mai immaginato che questo fosse possibile – e ancor meno raggiungibile – 10, 5 anni fa, persino un anno fa.
È un’opportunità che capita una volta nella vita e sono incredibilmente orgogliosa ed entusiasta di vedere cosa mi riserverà questa nuova era».
SC: A quali aspetti del tuo lavoro si collega in particolare questa nuova opera?
DW: «Deadweight, il titolo della nuova opera, è il seguito della serie Hydra (2021- in corso) che rilegge il mito di Ercole e l’uccisione della creatura a più teste come allegoria della Blackness e della sua posizione in uno Stato-nazione capitalista. Il titolo deriva dal termine “Deadweight Tonnage”, un’unità di misura nautica che riduce tutto ciò che si trova su una nave (carico, equipaggio, provviste, ecc.) in un’unica unità contenibile che determina la capacità della nave di galleggiare e quindi di funzionare come previsto.
L’essenza della mia pratica consiste nell’osare sognare nuovi mondi nell’ignoto e tentare di portarli a compimento. Deadweight non è solo un nuovo filo conduttore in questa esplorazione dei mezzi per abolire lo Stato, ma anche un nuovo capitolo nell’immaginare un futuro diverso. È un promemoria che ci ricorda che non esiste un solo futuro o una sola interpretazione di come dovrebbe essere il mondo: credo davvero che questi siano i tempi in cui dovremmo persistere in queste aspirazioni a sopravvivere, a reagire e a sfidare le categorizzazioni.
Il mare è sempre stato un punto di attrazione, poiché credo davvero che incarni un luogo di immaginazione e di resistenza ed è stato presente in tutta la mia pratica negli ultimi dieci anni. Mi affascinano le qualità sconosciute o incommensurabili del mare, la sua capacità di eludere la cattura e di sfumare il confine rigido della terra e quindi del potere».
SC: Quali sono le tue aspettative in merito alla tua futura residenza in Italia?
DW: «Questa residenza è arrivata in un momento cruciale per la mia pratica e mi consentirà di portare a termine alcune ricerche attese da tempo e di sviluppare un serie di abilità “da sogno”, non da ultimo la lavorazione dei metalli. Sono una persona che apprende molto a livello tattile e credo che questo aprirà la mia pratica a una moltitudine di possibilità, elevandola (letteralmente) a nuove altezze. Era da un po’ di tempo che non mi sentivo così vitale alla prospettiva del “fare”.
Sarà interessante gestire questo progetto in questo periodo politico, sia nel Regno Unito che in Italia, e mi sento allo stesso tempo a disagio e in potere. La mia pratica è apertamente politica e, in questo clima particolarmente teso, richiederà ancora più energie per inquadrare i “futuri” a cui apparteniamo».
Il progetto vincitore
Nei prossimi mesi conosceremo i dettagli del lavoro che l’artista realizzerà, per ora queste le anticipazioni da Whitechapel Gallery e Collezione Maramotti:
«Dominique White, vive e lavora tra Marsiglia e l’Essex. L’artista utilizza scultura e installazione per creare nuovi mondi influenzati dal concetto di ‘Blackness’ e trae ispirazione dalla potenza metaforica e dalla forza rigenerante del mare. Le sue opere eteree, apparentemente fragili ma al contempo profondamente fisiche, sono spesso composte da residui nautici evocativi, come vecchie vele, alberi, frammenti di mogano bruciato, catene, corde, e materiali come l’argilla di caolino e il ferro grezzo. La sua pratica intreccia teorie legate alla Black Subjectivity, all’afro-pessimismo e all’idrarchia dal basso (concetto legato allo smantellamento o alla sovversione della capacità degli individui di conquistare nuove terre via mare), insieme a miti nautici particolarmente rilevanti per la Diaspora Nera. White ridefinisce il termine “Shipwreck(ed)” [naufragio/naufrago] come un verbo riflessivo e uno stato dell’essere per incarnarne, tramite il suo lavoro, l’abolizione. Le sculture, o “fari”, di White evocano mondi marini che profetizzano l’affermazione degli individui apolidi nella società contemporanea: “un futuro [Nero] che, pur non essendosi ancora materializzato, deve arrivare”.
La proposta con la quale l’artista ha vinto la nona edizione del Max Mara Art Prize for Women riguarda un nuovo gruppo di opere dal titolo Deadweight, che prende come punto di partenza il “deadweight tonnage”, il “tonnellaggio di portata lorda”, termine ufficiale usato nell’industria marittima per calcolare quanto peso una nave possa sopportare prima che affondi. Oltre a porre in luce gli interessi artistici e politici di White, il progetto chiama in causa narrazioni e livelli culturali aggiuntivi che saranno oggetto di ricerca e ulteriore approfondimento nel corso dei sei mesi di residenza in Italia.
Grazie al contributo di tutor specifici, ad attività di studio e ricerca, a escursioni e lavoro in studio, White avrà la possibilità di esplorare e interrogare il significato storico e contemporaneo e lo sfruttamento del “deadweight tonnage”, analizzando la sua rilevanza nella storia della tratta degli schiavi e le sue forme contemporanee nel Mediterraneo. L’artista lavorerà con storici e giornalisti, e visiterà siti significativi nell’Italia meridionale per la sua indagine. Il programma di residenza la porterà anche a visitare musei, archivi e collezioni nautiche, a raccogliere materiali presso cantieri (e cimiteri) navali, e a collaborare con operatori metallurgici tradizionali e contemporanei per approfondire la conoscenza dei processi produttivi, delle competenze e delle tecniche necessarie a sviluppare la sua opera. Nell’ambito dello sviluppo creativo di Deadweight, White ha intenzione di immergere nelle acque del Tirreno, lungo la costa occidentale italiana, alcuni elementi dell’opera finale, che diventeranno il fulcro della mostra personale prevista per il 2024».