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Progetto (s)cultura XII. Davide Rivalta: “Attenti al gorilla!”

Davide Rivalta
In questa dodicesima puntata di Progetto (s)cultura, Davide Rivalta ci parla dei suoi animali poderosi, possenti, meticolosamente modellati e della loro (ri)conquista dello spazio. A cominciare dai tribunali.

Come ti sei avvicinato alla scultura?
Il mio percorso è iniziato nel modo più ordinario. Ho frequentato il Liceo Artistico e mi sono appassionato al corso di Figura e Ornato Modellato. Mi accorsi subito di avere una certa attitudine per le forme e i volumi. Perciò, quando più avanti mi iscrissi in Accademia, scelsi Scultura.

I tuoi soggetti pressoché unici sono animali a grandezza reale: ritratti o figure idealizzate?
Gli animali sono in effetti il mio soggetto preferito; non l’unico, ma quasi. Devo però correggerti quanto alle dimensioni. Le prime opere significative, che realizzai per il Tribunale di Ravenna, sono gorilla ingigantiti in relazione allo spazio che li ospita: un gorilla sulle sue zampe sarà alto un metro e mezzo, quelli di Ravenna misurano il doppio. In linea di massima le mie sculture sono sempre leggermente maggiori del vero: l’animale in carne ed ossa ha un’energia più intensa rispetto a una forma statica; perciò avverto quasi sempre la necessità di “abbondare”. Alcuni ingrandimenti sono più marcati, come nel caso delle aquile, che a grandezza naturale risulterebbero insignificanti. Voglio che i miei animali appaiano presenti e potenti, come sono in realtà.

I modelli, se non sbaglio, sono animali in cattività. La scultura è quindi un modo di restituirli alla natura? Che rapporto instaurano le tue creature con l’ambiente circostante?
Cerco di rendere loro la dignità perduta. Collocati in ambienti diversi, gli animali ne prendono possesso, acquisendo i valori formali e di significato legati al contesto.

Davide Rivalta, cavallo al porto di Antibes

Imbattendosi, ad esempio, nei gorilla in tribunale, in molti avranno pensato al Gorilla di de André, con la sua passione per i magistrati.
Quando realizzai le sculture per il Tribunale di Ravenna, dal 1998 al 2002, pensavo a un animale che avesse a che fare con l’intelligenza umana ma che avesse anche in sé una componente di brutalità. Il gorilla, in un periodo come quello – si era nel pieno di Mani Pulite – era perfetto: la giustizia era un tema molto caldo.

Anche i gorilla sulla scalinata della Galleria d’arte moderna di Roma si prestano, a pensarci bene, a letture laterali. Mi hanno ricordato subito i primati del Pianeta delle Scimmie: dominatori di un mondo (il sistema dell’arte?) dove l’umanità è scomparsa.
Certo anche l’arte, come la giustizia, è legata all’intelligenza umana. E anche in questo caso gioca un ruolo importante il periodo storico. Tutte le interpretazioni sono consentite.

Parliamo un poco dello stile: che funzione ha il disegno nella tua scultura?
Le mie sculture nascono da una fotografia, che scatto io stesso. A partire da quest’immagine traccio i contorni, calcolo le proporzioni. Il disegno vero e proprio, che pure pratico, ha uno statuto autonomo rispetto alla scultura.

Davide Rivalta, Gorilla sullo scalone della Galleria Nazionale di Roma

Prima di modellare, realizzi dei bozzetti?
Per le sculture di grandi dimensioni realizzo di solito dei bozzetti in scala 1/3. Ma non sempre. Due degli ultimi gorilla o i miei leoni li ho modellati senza bozzetto. Tuttavia non c’è dubbio che il bozzetto aiuti. Per non prepararlo, devo essere costretto da un’urgenza.

Quali materiali prediligi?
Da giovane usavo le resine, oggi le ho praticamente abbandonate. Le mie sculture sono in bronzo, in alluminio o in acciaio inox.

Lavori con qualche fonderia in particolare?
Da quindici anni collaboro stabilmente con la Fonderia de Carli: una collaborazione che va al di là della semplice trasformazione dalla creta al metallo. Presso la Fonderia si trovano infatti il mio magazzino e il mio deposito degli stampi e alcuni soci della stessa hanno fondato assieme a degli svizzeri Ap Artproject, una società che si occupa della produzione e della commercializzazione dei miei lavori.

Chi sono i maestri e gli artisti cui guardi?
Quanto agli artisti, non saprei. Quanto ai maestri, un nome posso farlo: Pier Luigi Tazzi, che mi ha accompagnato dai primi anni Duemila sino allo scorso anno. Tazzi è stato fondamentale per chiarire, anzitutto a me stesso, il senso del mio lavoro e con le sue parole lo ha descritto rivelandomelo anche nei suoi aspetti sotterranei.

Che cosa pensi della scultura oggi in Italia?
Di sicuro si pratica poco, e con uno sguardo eccessivamente rivolto al passato. In tanti si dedicano a espressioni e medium nuovi, ma è sempre più difficile trovare chi abbia voglia di fare scultura. Lo dico soprattutto sulla base della mia esperienza di docente d’Accademia.

È chiaro che la diffusione della scultura dipende dalla formazione degli scultori, ma pure dal livello della committenza. Certe opere richiedono una committenza pubblica o comunque il supporto di una fondazione o di un museo…
Il pubblico in Italia è un disastro, non ci sono soldi, o se ci sono a mio avviso li spende male. Neanche i musei mi sembra guardino alla scultura con particolare attenzione. Lo stesso però non può dirsi dei privati. Il loro sostegno economico, almeno per me, è imprescindibile.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Anzitutto a un grande progetto per Brescia Musei, al Castello di Brescia: gorilla, un orango, scimpanzé e babbuini. Ho poi in programma una mostra a Dublino in collaborazione con la Galleria nazionale, fortemente voluta dalla Direttrice Cristiana Collu e dall’Ambasciatore d’Italia in Irlanda Ruggero Corrias: una decina di sculture di grandi dimensioni per la nostra Ambasciata. Sto inoltre per portare una mia leonessa presso l’Ambasciata italiana a Washington, nella dimora dell’Ambasciatrice. È infine in preparazione, sempre in America, una grande mostra presso il Maidstone negli East Hampton.

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