Quinta puntata in sella de Il sole allo Zenit, che vi porta a pedalare con Andrè Cadere, Marcel Duchamp, Pablo Picasso ma anche il giovane italiano Gabriele De Santis. Pronti a correre?
Arriva la primavera e la natura chiama. Una bella pedalata in mezzo alla campagna è quello che ci vuole, ma visto che Charles Schulz ricordava che la vita è come una bicicletta con dieci rapporti e tutti noi abbiamo rotelle che non usiamo, provo a far funzionar la testa e a ricordarmi di una mostra che riguarda proprio la bicicletta. Risale a dieci anni fa circa, a Berlino, e la frase dell’invito citava ovviamente Fausto Coppi che, con una sacrosanta constatazione, avvertiva che pedalare era come lottare contro un gorilla: non si smette quando si è stanchi, si smette quando è la scimmia a stancarsi. Esposta c’era L’André di Saâdane Afif, una Single Speed Fahrrad in grandezza naturale prodotta dall’azienda britannica Bob Jackson Cycles che aveva un bastone di Andrè Cadere proprio nel centro del suo telaio bianco grazie al quale la bicicletta da corsa diventava arte in movimento. L’altra opera esposta sembrava andare a fuoco ed era quella di Ariel Schlesinger, israeliano, che come Nerone contemporaneo metteva in luce la sua invenzione facendo uscire da ciascuna valvola Schrader due piccole fiammelle vere. Il resto non me lo ricordo bene, ma sommo a altre note la mia passione per le due ruote.
Del resto ho voluto la bicicletta… e anche Hemingway sosteneva che è pedalando che s’imparano meglio i contorni di un paese, sudando sulle colline e andando giù a ruota libera nelle discese. Gabriele De Santis, un amico artista, pochi anni fa ha ceduto lo studio romano per prendersi una bicicletta da corsa, perché gli venivano più idee pedalando che stando di fronte al foglio bianco. Come biasimarlo. Duchamp fece, oltre al readymade della wheel, un bellissimo disegno intitolato Avoir l’apprenti dans le soleil che, a ben guardare, potrebbe aver ispirato anche l’immagine del protagonista di quel cartone animato francese che s’intitola Les Triplettes du Belleville. Con il corridore appena accennato sul pentagramma, chinato in avanti a far fatica e la solita frase dall’interpretazione ambigua. Immagine così poetica e così bella che io me la sono addirittura tatuata sulla spalla. Ma saltiamo in sella e continuiamo la lista: c’è una ruota su uno sgabello tondo che sembra quella di Marcel Duchamp ma ha delle pezze autoadesive aggiunte: servono a coprire tutte le forature che Andreas Burger ha malauguratamente messo a segno nel tragitto da casa sua allo studio, nella sua città che percorre in lungo e in largo.
Attila Csörgő, artista ungherese, nel 2011 ha disegnato un clock-work che ripercorre il segno dell’infinito e, per far capire che il tempo avanza, ha messo all’infinito sella e manubrio e ha trasformato il segno in un progetto. Bas Jan Ader, ad Amsterdam, nel 1970, ha pensato bene di terminare l’episodio numero 2 delle Fall finendo in un canale direttamente pedalando in bicicletta lungo una via alberata e deserta. Una bicicletta doppia, un grande tandem, era anche l’immagine da sfondo nella taverna letteraria di Els 4 Gats de Barcelona, dove Picasso all’inizio del secolo scorso, iniziò a far mostre e baldoria.
Toulouse-Lautrec, inoltre, ha largamente abbozzato in pennello a cobalto e qualche accenno di giallo, il ritratto di Bruant in bicicletta, con cappello in testa e manubrio riverso come si usava al tempo, realizzando più di un manifesto con il nostro soggetto. Uno, ad esempio, fu quello dei Cicli Michael creato per propagandare le proprie biciclette ma che sembra fosse stato rifiutato perché la catena del velocipede era disegnata in modo errato. In primo piano si trovava il corridore inglese Michaël che, come d’abitudine, aveva lo stuzzicadenti in bocca messo di traverso come se avesse appena terminato il pasto, mentre in piedi, alla sua destra, stava un curioso giornalista. Dall’altro lato, infine, stava l’allenatore Choppy Waburton, chino sulla valigia, a cercare chissà cosa. Stampato dall’autore in due esemplari, in solo verde scuro, rimane un bellissimo lavoro di sicuro. L’altro manifesto, al riguardo, fu commissionato da Louis Bouclé che appare (come usavano fare storicamente i committenti) in secondo piano e con la bombetta, mentre i corridori gli sfrecciano davanti a manetta. E anch’io soltanto adesso, riverso sui tasti Bianchi del macbook, mi rendo conto che questo testo dovrebbe essere scritto sul tavolino Tour di Gae Aulenti, nonostante la bassa altezza, indossando magari una bella camicia a righe di Paul Smith, ciclista mancato, che in gioventù aveva Gino Bartali come idolo. Il suo sogno era quello di una carriera nel ciclismo ma dovette radicalmente cambiare obiettivo dopo un incidente che lo costrinse a letto in ospedale e a sei mesi senza poter uscire.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni