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Progetto (s)cultura XIII. Coraggiosa, ribelle, indipendente: Alessia Forconi

Alessia Forconi
Tredicesima puntata di progetto (s)cultura al femminile: Alessia Forconi ci racconta il suo rapporto con il marmo; coraggioso, ribelle e indipendente

“La scultura mi pare un’arte meno adatta alla donna della pittura: intendo della scultura vera come dovrebbe essere sempre, grandiosa, eroica, solenne”. Era il 1916 quando Virginia Tedeschi Treves, in arte Cordelia, scriveva queste parole in Le donne che lavorano. La donna, ammetteva, “può riuscire anche nella scultura”. E tuttavia quest’ultima restava “un’arte faticosa”, non facile da esercitare in casa: “ad un essere delicato quale la donna, alle sue mani piccine usare lo scalpello e mettersi alle prese coi grandi massi di marmo” non si addiceva proprio. Fortunatamente, dal Novecento in avanti, la situazione è cambiata. Ne abbiamo parlato, in questa tredicesima puntata di Progetto (s)cultura, con Alessia Forconi, artista del marmo, che ha fatto di Lilith il prototipo della donna contemporanea: coraggiosa, ribelle, indipendente.

Come ti sei accostata alla scultura?
Dopo un acerbo inizio formativo in una nota scuola di moda romana, dove tuttavia ho scoperto le potenzialità delle mie mani e soprattutto il piacere per il disegno plastico, ho “studiato” nell’epicentro della Roma barocca, tra San Pietro, Castel Sant’Angelo e il “Tridente”; non è stato poi così difficile assimilare la scultura: gli angeli avvolti nei panneggi e stagliati sul cielo, sovrapposti ai tramonti di fuoco per cui la mia città è famosa in tutto il mondo, hanno contribuito decisamente. Certo di base ho sempre avuto un trasporto interiore e atavico per la plasticità e la manualità, un’esigenza di contatto fisico con la materia.

La materia viene prima del pensiero?
Sì, credo siano proprio le sensazioni fisiche alla base di questa mia urgenza artistica, la scultura.

I tuoi soggetti sono spesso figure di donne come Lilith, la prima moglie (ripudiata) di Adamo, che conosciamo dalle tradizioni mesopotamiche e giudee: un essere sospeso tra il bene e il male, il divino e il demoniaco: un’immagine di emancipazione?
Lilith è il prototipo della donna contemporanea (almeno nella cultura occidentale) coraggiosa e ribelle, indipendente e capace di scatenare tempeste e devastazione, proprio come l’uomo con le sue politiche scellerate e le sue guerre. Nella cultura ebraica fu ripudiata e divenne una “piaga”; in quella cristiana, per sicurezza, non viene neppure menzionata… Probabilmente è il personaggio che più di qualunque altro suscita paura nell’uomo riguardo alla parità effettiva (nel bene e nel male) con la donna. È tanto un simbolo di emancipazione quanto di complessità interiore.

Chi sono i maestri cui guardi? In certi lavori, ad esempio in Ophelia o ne Il sogno di Angelica, si percepisce sottotraccia una memoria della scultura barocca.
In quest’ultimo periodo, dopo gli anni complessi e curiosi della pandemia e del nuovo status internazionale, mi sono avvicinata ad una scultura più intima, con delle atmosfere che guardano al passato ma strizzano l’occhio alla “psicologia” e alla sottile linea rossa che separa consapevolezza e inconscio. La forma, secondo me, dovrebbe calzare, anzi rispecchiare a pieno il concetto dell’opera nella scultura. Premetto questo perché il marmo, il materiale che prediligo, essendo indiscutibilmente legato alla forma e alla superficie, alla tecnica e all’equilibrio tra luci e ombre e alla nostra tradizione mediterranea, mi porta ad una grande empatia con i maestri del Barocco e del Romanticismo. In questi ultimi, infatti, il materiale non viene solo trattato artigianalmente o accademicamente ma si scalda e prende vita…

Alessia Forconi, 500 ore di Venere, gesso e petrolio

Li hai proprio osservati da vicino.
Letteralmente. Ho avuto la fortuna di vedere e quasi toccare, dopo il restauro, la Santa Teresa d’Avila di Bernini nella cappella Cornaro, rimanendo con Lei in contemplazione artistica per qualche minuto e condividendo un’estasi percettiva. Il Barocco, nella sua più alta traccia, è di sicuro il mio faro nella nebbia caotica dell’arte contemporanea. Ciò che mi stimola a livello tecnico è la sperimentazione di un linguaggio non verbale che possa andare oltre le proprie intenzioni, rivolgendosi ai sentimenti, alle emozioni.

Anche l’Oriente, il Giappone hanno un posto di primordine. Penso alle tue sculture vegetali, alle tue piante immaginarie.
Il Giappone è stato per me la riconciliazione con forme armoniche quasi musicali. Ho amato la spazialità dei luoghi, almeno fuori dalle città, i silenzi anche negli spazi affollati. Mi sono immersa in una vegetazione rigogliosa che quasi costringe a immaginare forme fantastiche, oniriche, ibridazioni di flora, fauna e umano che non attutiscono anzi esaltano la Forza primordiale degli elementi. Tuttavia, pur ammirando il minimalismo orientale, mi ritrovo lontana dalla sua essenzialità: nelle mie forme aggrovigliate la complessità è cercata in tutti i modi: tagliando e scavando il blocco di marmo, facendo entrare la luce al suo interno, definendone la forma esterna in un ritmo piuttosto altalenante… Un approccio, se ci rifletti, molto poco orientale.

In un altro progetto, 500 ore di Venere – un busto di gesso affacciato su una vasca ricolma di petrolio –, la donna che si specchia sembra un’immagine dell’umanità al cospetto del disastro ecologico che lei stessa ha provocato.
Il progetto è nato infatti da una riflessione sul genere umano e sulle conseguenze delle sue azioni. Viviamo come se non facessimo parte di un unico mondo, quasi vi fosse una disconnessione tra ogni individuo e ogni elemento, quando invece ciò che facciamo qui e ora ha conseguenze nei posti più lontani e disparati.

Lorenz lo chiamava effetto farfalla.
Sì. L’uomo prende dal proprio Habitat qualunque cosa, ma non restituisce mai nulla di buono, al massimo scarti dannosi. Questo inaridimento emotivo, questo impoverimento interiore, prende forma a poco a poco.

Lo sguardo di Venere è lo stesso di Narciso: uno sguardo offuscato.
Vedendo la bellezza della propria immagine replicata nella ricchezza del petrolio, Venere non si rende conto del pericolo che corre sinché non vi è più nulla da fare per evitarlo. Distratta, come Narciso, dal suo gradevole riflesso, finisce per assorbire il male di cui è lei la prima causa. E diventa indistinguibile da esso.

Hai realizzato anche opere di grandi dimensioni: a Frascati, in un parco, le tue M’egattere di travertino bianco danzano sulla ghiaia da quasi vent’anni. Sono invecchiate bene?
Il travertino, di per sé, invecchia bene. Ma le sculture non cambiano solo in ragione del tempo, degli agenti naturali. Sono piuttosto la somma degli sguardi di chi le fruisce. Nel caso delle M’egattere, installazione ambientale progettata da me e realizzata in collaborazione con lo studio M’arte scultura 18 anni fa presso Villa Sciarra a Frascati, migliaia di bambini, adolescenti, anziani. Possiamo dire che le M’egattere sono cresciute con loro. Bene o male non saprei.

Alessia Forconi, m’egattere, panorama

Che cosa pensi delle scritte e dei nomi che sono stati incisi dai passanti sulle tue statue?
Mi piacciono. Il gesto di scrivere su un oggetto in un luogo è un tentativo di aggregare la propria presenza a quell’oggetto, a quel luogo e soprattutto a un certo tempo. La pelle delle sculture diventa lo spazio in cui la memoria, facendosi segno, si consegna alla storia.

I tuoi materiali preferiti sono il marmo, la pietra: non sono tante le donne che li scelgono. Ti senti un po’ una mosca bianca?
Avendo frequentato l’Accademia di belle Arti di Carrara, di donne che lavorano il marmo ne ho conosciute un bel po’. Se non sono molto note, ciò non è da imputare esclusivamente alla qualità delle loro opere; la verità è che, in Italia, siamo troppo affezionati allo stereotipo dello scultore maschio, solitario, che va in montagna e si cava il marmo da solo, magari a mani nude. La verità è molto diversa.

Ok, non cavi il marmo da sola o a mani nude [ride]. Qual è il tuo metodo? Di solito fai un disegno e un bozzetto prima di iniziare?
Sì, muovo da un’idea, la disegno e poi molto tradizionalmente procedo con modelli in argilla, stampi e quant’altro per ottenere una figura in gesso o in resina da poter riprodurre in marmo. Quel che caratterizza la fase finale del lavoro è però l’abbandono della tecnica tradizionale del riporto: dopo una copiatura volumetrica piuttosto sommaria, dimentico il modello, facendomi suggerire linee e forme dal materiale stesso, arrivando a cambiare anche radicalmente volumi e superfici, dove la materia ancora lo consente…anzi lo chiede. Questo rende ogni mia opera un unicum: non sono un’amante delle copie, né tantomeno delle tirature d’autore.

Alessia Forconi, Lilith, 2021, marmo

Hai scritto che “L’insoddisfazione, la semplicità apparente e l’umiltà, forse sono le caratteristiche di chi ha il bisogno impellente di fare arte visiva, di chi ha un impulso istintivo di posare occhi e mani sulla materia”.
Sono un’eterna insoddisfatta, e questo è forse un limite. Ma nel lavoro l’insoddisfazione è curiosità, ricerca: un bipolarismo operativo che permette migliaia di variazioni, anche impercettibili, del medesimo soggetto, arricchendolo di nuove prospettive.

Dividi lo studio col tuo compagno di vita: come riesci a sopportarlo?
Chi ha detto che ci sopportiamo!? Scherzo, abbiamo una famiglia insieme e la casa/studio costruita negli anni – ne sono trascorsi ventitré – di collaborazione e scoperta reciproca. La nostra quotidianità è complessa. Siamo in una routine familiare che si mischia con quella dello studio, intorno al quale ruotano molti artisti. Nel tempo abbiamo sviluppato un rapporto di incontro/scontro continuo che, paradossalmente, ci tiene vivi. Non penso avrei potuto trovare un compagno migliore: ha tante idee e conosce il suo mestiere. Sarò di parte, ma ritengo sia uno dei più bravi scultori del marmo attualmente in circolazione.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Ho diversi progetti in mente, molti dei quali ambiziosi, per la cui realizzazione sono in cerca di supporto. La scultura, come sai, richiede molte risorse e ormai i mecenati sono sempre di meno, anzi meno interessanti alla partecipazione attiva ai progetti. Sul fronte studio, sto lavorando a nuove opere in marmo legate alle mie visioni di simbiosi con la natura e sto pensando ad un evento espositivo specifico per mostrarle nel loro insieme, dagli alberi alle trasmutazioni corporee.

 

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