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Muholi, a Visual Activist. 60 autoritratti in mostra al Mudec

Muholi. Ntozakhe II. Parktown, Johannesburg, 2016 © Zanele Muholi
Ntozakhe in lingua Zulu significa “Qualcosa di tuo”. Si tratta di una delle immagini più celebri e potenti di Muholi. Adornata di una corona di accessori per capelli, con una ripresa fotografica dal basso per conferire una plasticità statuaria all’immagine, Muholi mette in scena il concetto di libertà rifacendosi stilisticamente alla statua che più la simboleggia. Muholi ci parla di libertà – quella libertà che tutte le donne dovrebbero avere – e orgoglio, di essere donne e nere. Questa iconografia vuole essere il manifesto di tutte le donne discriminate e di tutte le donne che combattono per i loro diritti, in situazioni domestiche o nella società, soprattutto le donne nere.

Macchina fotografica come arma di denuncia e contemporaneamente di salvezza: oltre 60 autoritratti in bianco e nero di Zanele Muholi sono in mostra Mudec di Milano fino al 30 luglio

Zanele Muholi (Umlazi, Sud Africa 1972) ama definirsi attivista, ancora prima di sentirsi – ed essere – artista. La sua arte indaga instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sessuali. Muholi è una delle voci più interessanti del Visual Activism, il suo lavoro è in continua trasformazione e i suoi mezzi espressivi sono la scultura, la pittura, l’immagine in movimento.

Ma è con la fotografia, e in particolare con la serie di autoritratti – iniziata nel 2012 e ancora in corso – “Somnyama Ngonyama” (Ave, Leonessa Nera) che Muholi riceve il plauso planetario, in un crescendo di mostre nei più prestigiosi musei del mondo: dalla Tate Modern di Londra a mostre personali al Goethe-Institut Johannesburg (2012), al Brooklyn Museum, New York (2015) allo Stedelijk Museum, Amsterdam (2017), al Museo de Arte Moderno in Buenos Aires (2018), solo per citarne alcuni.

Il suo è un messaggio che arriva forte e chiaro. “… siamo qui, con le nostre voci, le nostre vite, e non possiamo fare affidamento agli altri per sentirci rappresentati in maniera adeguata. Tu sei importante. Nessuno ha il diritto di danneggiarti per la tua razza, per il modo in cui esprimi il tuo genere, o per la tua sessualità perché, prima di tutto, tu sei”.

“Muholi. A Visual Activist” è il progetto attraverso cui il Mudec di Milano porta in Italia una selezione – curata da Biba Giacchetti e dall’artista – di oltre 60 immagini, scatti magnetici e di denuncia sociale che spaziano dai primissimi autoritratti realizzati ai più recenti lavori, tratti dal progetto artistico di Muholi, in costante evoluzione.

Muholi è oggi ambassador di spicco della comunità LGBTQIA+ esponendosi in prima persona. Ogni sua immagine racconta una storia precisa, un riferimento a esperienze personali ouna riflessione su un contesto sociale e storico più ampio. Lo sguardo dell’artista commuove, denuncia, inquieta lo spettatore, mentre oggetti di uso comune, ripresi in maniera fortemente simbolica, sono posti in un dialogo serrato con il suo corpo trasfigurandolo, raccontandoci ‘altro’, costringendoci a guardare fisso negli occhi di Muholi, sostenendo il suo sguardo per andare oltre il primo livello di lettura dello scatto.

La bellezza delle composizioni e il talento assoluto di artista sono per Muholi solo un mezzo per affermare la necessità di esistere, la dignità e il rispetto cui ogni essere umano ha diritto, a dispetto della scelta del partner o del colore della pelle, e del genere con cui si identifica. Il suo scopo è la rimozione delle barriere, il ripensamento della storia, l’incoraggiamento a essere sé stessi e a usare strumenti artistici quali una macchina fotografia come armi per affermarsi, e combattere.

Muholi
Xiniwe at Cassilhaus
North Carolina, 2016
© Zanele Muholi

Chi è Zanele Muholi

Zanele Muholi nasce nel 1972 in Sudafrica durante il periodo dell’apartheid, plasmata dalla violenza di quel regime e dalle sanguinose lotte per la sua abolizione. Presto si deve confrontare con le ulteriori violenze riservate alla comunità LGBTQIA+, di cui fa parte. Violenze morali e fisiche, torture accompagnate spesso da sevizie e morte. Per dieci anni Muholi combatte contro l’occultamento dei fatti e documenta fotograficamente gli orrori e gli assassini di innocenti, condannati a causa del proprio orientamento sessuale.
La prima serie di scatti artistici di Muholi documenta i sopravvissuti a crimini d’odio che vivevano in tutto il Sudafrica e nelle township. Sotto l’apartheid, infatti, furono istituite township separate, ovvero ‘aree residenziali’ segregate per le persone nere che venivano ‘sfrattate’ dai luoghi designati come “white only”. Qui venivano perpetrate violenze di ogni tipo, tra cui la pratica dello ‘stupro correttivo’, contro la comunità LGBTQIA+.
Negli anni Novanta il Sudafrica intraprese un cambiamento politico significativo. La democrazia venne stabilita nel 1994 con l’abolizione dell’apartheid, seguita da una nuova costituzione nel 1996, la prima al mondo a bandire la discriminazione basata sull’orientamento sessuale. Nonostante questi progressi, la comunità nera LGBTQIA+ rimane ancora oggi uno degli obiettivi principali della violenza più brutale in Sudafrica.
Il 2012 è un anno particolarmente doloroso nel percorso di vita e artistico di Muholi. La sua lotta documentativa si interrompe bruscamente con un furto intimidatorio di tutti i suoi file non pubblicati. Muholi prova uno strazio indicibile che, unito al ricordo di tutto il dolore che ha documentato, porta l’artista quasi a cessare di esistere.
È in questo momento che Muholi reagisce, decide che la sua lotta personale deve continuare, ma in altri termini.
Gira la macchina fotografica verso di sé piuttosto che verso gli altri, decidendo così di esporsi in prima persona. Rinuncia alla propria identità di genere per rappresentare un’identità collettiva che dia voce alla comunità nera omossessuale attraverso la fotografia, e in particolare l’autoritratto. La macchina fotografica diventa così per Muholi un’arma di denuncia e contemporaneamente di salvezza.

La mostra

La selezione speciale di oltre 60 autoritratti in bianco e nero scelti appositamente per il Mudec dalla curatrice Biba Giacchetti insieme a Muholi veicolano messaggi indelebili in un contesto espositivo – quello del Museo delle Culture – che risponde in piena coerenza alla visione valoriale dell’artista sudafricana. Muholi, infatti, esplora e dà voce all’Africa nera e ai drammi degli ultimi, degli emarginati, e attraverso la sua arte porta il suo messaggio all’attenzione di un Occidente spesso poco consapevole della violenza di genere, ancora attuale, proprio come il Mudec fa ogni giorno attraverso la ricerca, la collezione e la tutela delle espressioni di cultura materiale e immateriale delle popolazioni non europee e del Sud globale. Muholi racconta tradizioni africane ancestrali che ritornano nei suoi scatti, un’identità culturale che attraverso il suo obiettivo diventa arma potente contro l’odio razziale e di genere, messaggio di speranza e di inclusione da dare all’umanità; esattamente il messaggio che il Mudec veicola attraverso la sua costante attività quotidiana.
In mostra viene presentata anche una speciale selezione di opere tratte dal progetto in divenire dell’artista, insieme a una installazione site specific creata da Muholi appositamente per il Mudec, unica ed esclusiva, che si allontana dalle forme iconiche di rappresentazione che hanno caratterizzato il suo progetto di autoritratti, ma che si fonde e si completa in una riflessione sui modi in cui l’interiorità, la tenerezza e l’espressione di sé possono essere atti radicali e unificanti.

Muholi
Bester I
Mayotte, 2015
© Zanele Muholi
Bester è il nome della madre di Muholi, scomparsa ancora giovane nel 2009 dopo una vita di lavoro come domestica che le aveva permesso di mantenere i suoi otto figli; il padre era morto poco dopo la nascita dell’artista. Muholi intitola Bester varie immagini dedicate alla madre. La posa ieratica e l’acconciatura a forma di corona simboleggiano il riscatto che Muholi vuole offrire alla memoria di Bester. In questo caso, l’apparente ironia dell’acconciatura realizzata con le mollette da bucato si confronta con la tristezza accusatoria dello sguardo e parla di una condizione di soggezione comune a molte donne nere sudafricane sottopagate, che dedicano la vita al benessere altrui.

Muholi. A Visual Activist

Dal 31 marzo al 30 luglio 2023
MUDEC
Via Tortona 56, Milano

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