Incontriamo oggi uno dei più grandi e attenti collezionisti italiani, Giorgio Fasol, che insieme alla moglie Anna ha contribuito a rendere pubblica parte della sua raccolta. Perché comprare arte è anche un atto d’amore
Giorgio Fasol ha cominciato a collezionare negli anni sessanta, perciò fa parte di quella generazione fortunata che ha visto nascere alcuni dei movimenti più significativi dell’arte contemporanea in Italia. Via via, l’incontro con alcuni di quelli che sono poi diventati tra i più famosi artisti italiani contemporanei, da Fontana a Cattelan, ha plasmato il suo modo di vedere l’arte e collezionarla, e tuttavia c’è un filo conduttore che ha sempre e da sempre guidato tutto il suo percorso di collezionista. È quello che lui chiama la “scintilla”: quel click che scatta nell’incontro con un’opera o un artista che ci dice qualcosa, di cui ci accorgiamo che davvero ha qualcosa da dire.
E poi l’impegno, sviluppato nel tempo, perché anche la comunità di cui facciamo parte possa conoscere l’arte e goderne. Perché collezionare è anche, e forse soprattutto, collezionare incontri che ci cambiano la vita in meglio. Qui sotto la nostra conversazione.
Come nasce la passione per il collezionismo?
Sono sempre stato appassionato, fin da bambino. Ho cominciato con la raccolta di figurine di calciatori, poi sono passato ai francobolli e infine arrivato all’arte. Il mio primo incontro con l’arte fu tanto tempo fa. Ero andato con un gruppo di amici del ricreatorio parrocchiale per vedere una mostra di artisti veronesi. Era una mostra di beneficienza, raccoglievano soldi per un ospedale in Africa, ma le cose non stavano andando tanto bene. Poi nell’arco di mezz’ora abbiamo acquistato tutto e io sono andato a casa con diverse opere. Erano i primi anni 60, non frequentavo ancora le gallerie; solo ogni tanto leggevo qualche rivista d’arte. Poi un giorno, a metà degli anni ’60, io e mia moglie Anna eravamo in una galleria, un sabato pomeriggio e una voce ci disse bruscamente: “Non dovete guardare le croste, ma solo vere opere!” Era Renzo Sommaruga, un pittore, poeta, scultore e musicista, ma era soprattutto un bravo stampatore di libri d’arte. Aveva da poco stampato un libro con una poesia di Quasimodo L’uomo del mio tempo con allegate nove litografie di noti artisti. Tra quelle vidi un Capogrossi e lì è scattata la prima “scintilla”. Dopo qualche tempo lo accompagnai nello studio dell’artista Ajmone a Milano perché voleva stampare un libro con una poesia di Blanchard con allegate cinque serigrafie dell’artista. Ajmone ci fece attende oltre un’ora prima di riceverci. Quando venne fuori dal suo studio, senza un cenno di saluto, ci fece vedere il foglio che teneva in mano (era un A4 con disegnato un ovale fatto con una biro e tre buchi) e ci disse, tutto concitato, “Guardate, guardate cosa ho preso questa mattina: è Lucio Fontana” e li scattò la seconda “scintilla”: da allora volevo assolutamente un Fontana. Incominciai ad acquistare i suoi primi multipli, ma io volevo l’opera unica! Nel 1969 la galleria Cattaneo di Brescia fece una mostra museale; io scelsi il più piccolo che era esposto: era bellissimo! Mi chiese 3 milioni e io non li avevo, così lo presi a rate. Il gallerista mi disse «Tu fai bene a prendere Fontana, però io ti faccio vedere un giovane che sarà altrettanto famoso»; mi fece vedere una tela di cm 180x 200 bianca con delle frecce e delle esse nere: era Kounellis; mi chiese un milione di lire: mia non lo acquistai dato che avevamo fatto già un debito di due milioni per l’acquisto di Fontana. – Però da questo fatto iniziai ad interessarmi ai giovani artisti, ed è ancora così. Spesso faccio un giro con mia moglie per gallerie a Milano e…
Qual è stato il filo conduttore delle tue scelte artistiche nel tempo?
Ho iniziato a informarmi sull’arte contemporanea attraverso le riviste, frequentando mostre, fiere, artisti, convegni. Per me è molto importante vedere le opere dal vivo. Vedere è conoscere, anche nelle riviste. Poi se scatta la “scintilla” prendo l’opera…
Qual è stata la tua prima scintilla? E l’ultima?
La prima opera acquistata è stata un’opera di Rodolfo Aricò, la penultima Wilfredo Prieto e l’ultima nella galleria Artericambi che aveva una mostra di quattro giovanissimi dell’ultimo anno della Accademia delle Belle Arti di Verona (Lorenzo Conte, Claudia Sallustio, Letizia Frescura e Federica Cortese). Vedremo che succederà… nell’arte giudice implacabile è il tempo!
Dimmi a quale opera della tua collezione sei più affezionato e perché…
A tutte, perché io non prendo nulla se non scatta la scintilla. Io devo vendere un’opera all’anno per andare avanti, ma mi interessa la scoperta. I giovani hanno qualcosa in più da dire, portano la novità. Nelle scelte non seguo particolarmente i critici e i galleristi, ma solo il mio istinto, anche se mi tengo informato. Poi la conoscenza porta già a fare una selezione…
Perciò se ti chiedo se il collezionismo ha a che fare più con l’istinto o con la conoscenza…?
Prima viene la conoscenza e poi l’istinto. Per me è estremamente importante conoscere che cosa fa l’artista, la sua vita, il percorso, con chi si confronta. La conoscenza ti permette di fare la prima selezione, ma poi deve scattare la scintilla. Delle volte è scattata anche con giovanissimi di cui non conoscevo nulla, come l’ultimo acquisto. Ma per me vedere è conoscere. Poi ascolto anche critici, galleristi, direttori di museo e ho sempre da imparare, però a volte ho le mie idee. Per esempio contesto, non per la qualità ma per il contenuto, la mostra che fanno al padiglione centrale della Biennale di Venezia. Dovrebbero dare una sintesi di quanto accaduto nei due ultimi anni e fare una proposta per i prossimi due, e invece spesso fanno mostre che potrebbero essere fatte in qualsiasi museo: fanno mostre storiche e non di proposta.
È bello che da parte tua ci sia disponibilità con i giovani, e attenzione nei loro confronti. Ma, in tutto questo, quanto conta l’investimento?
Ho avuto la fortuna di indovinarci più di qualche volta. Ho acquistato Garutti nel 1978, Cattelan nel 1990, Vezzoli nel 2001, Tino Sehgal nel 2004, Saraceno nel 2008, Ibraihim Mahama nel 2015 e molti altri. Sono fortunato e porto fortuna agli artisti giovani!
Un’altra opera che hai acquistato d’istinto e ci hai preso?
Mi ricordo nel 1971, a Milano, in una piccola galleria di via Lanza c’erano delle opere appoggiate al muro, nell’ufficio del titolare. E lì ho visto un’opera che mi ha fatto scattare la scintilla. Una tela di un metro per un metro un po’ sporca, con virgole di colore bianco e rosso e scritto con una matita Rome 1959 sai chi era? Cy Twombly… è scattata subito la “scintilla”! La presi a rate e poi purtroppo ho dovuto venderlo per onorare il mio debito, però fa parte della mia storia.
Ma come si riconosce un talento?
Bisogna avere anche un senso del rischio perché il talento alla fine lo dice solo il tempo. Ci sono dei giovani promettenti che poi non hanno la costanza. L’arte è il settore più difficile, forse solo dopo la, politica se fatta bene e in modo moralmente integro. Oggi si parla solo d’investimento e poco di cultura e io non sono d’accordo.
Per te c’è un ruolo sociale dell’arte? e del collezionista?
Può esserci. Per esempio, io ho dato in comodato ottanta opere all’università Verona, ma in cambio ho chiesto loro di creare una serie di eventi e situazioni, come visite guidate, talk con artisti e altre iniziative che coinvolgono direttamente gli studenti. Alcune iniziative che erano in programma sono poi saltate per via della pandemia, ma passato il momento critico si è ripreso il programma. Un gruppo di docenti con alcuni studenti hanno organizzato il Festival del Contemporaneo di Veronetta, a Santa Marta: per quindici giorni ci sono stati incontri e rappresentazioni di musica, teatro, poesia e arte contemporanea. Ora c’è un altro progetto di un museo diffuso nei vari dipartimenti dell’Università di Verona. È un progetto a cui tengo molto.
Complimenti, è un impegno lodevole il tuo! Ma tornando ai giovani, c’è un nome che in questo momento tieni d’occhio?
Vorrei trovare un giovane pittore che… m’illumino d’immenso. Ma per ora non ho ancora trovato il pittore che mi faccia scattare la scintilla. L’acquisto di un’opera d’arte è un atto d’amore. Se no diventa una compravendita qualunque.